30 Giugno 2025
Intervista. Don Piumatti sulla guerra in Congo: il dialogo è ancora l’unica via possibile

In occasione del suo recente viaggio in Africa, don Giovanni Piumatti è stato intervistato dalla web radio dell’Università Cattolica del Graben, a Butembo, in Repubblica Democratica del Congo. Riportiamo di seguito la traduzione dell’intervista.
Don Giovanni, può presentarsi ai nostri ascoltatori?
Sono qui perché, innanzitutto, considero questo un ritorno a casa. Ho vissuto molti anni a Butembo, più che in Italia. Non ho una missione particolare in questo viaggio, se non quella di rivedere gli amici e la mia seconda famiglia. Inoltre, in un tempo segnato da conflitti e oscurità — sia in Europa che qui — sento il bisogno di condividere alcuni segni di speranza che ho visto nascere proprio in questo luogo. Credo che ci siano segnali importanti, forse non solo per il Congo, ma anche per l’Africa e per il mondo intero. Oggi si parla delle guerre in Ucraina, in Medio Oriente, in Iran… L’Europa è in guerra, anche se a volte non sembra, e sta distruggendo se stessa. La guerra in Congo, purtroppo, non viene raccontata in Europa, ma è altrettanto grave. Solo perché non si vedono i droni non significa che non sia reale.
Lei dice che da qui potrebbe venire una risposta alla ricerca di pace?
Sì, lo credo profondamente. Oggi l’Occidente non sta offrendo soluzioni. Eppure, qui in Africa stanno nascendo piccoli movimenti, forse ancora fragili, ma autentici. Dalla cultura africana può nascere qualcosa di nuovo. Anche Papa Francesco lo aveva detto: la pace non si costruisce con la forza, con le armi, con la logica del più forte. È proprio questa logica a distruggerci. Qualche tempo fa, da qui, è partita una lettera scritta dagli studenti di Butembo. È stata letta all’inizio di un convegno all’Università di Catania. Quelle parole, venute dalla gioventù africana, rifiutano la logica dello scontro. Dicono no alla gara di potere. Per me questa è una delle ragioni per cui sono tornato: dare una mano, anche solo simbolica, a questo piccolo movimento.
A proposito della crisi nell’Est della RDC, come vede il ruolo degli Stati Uniti, oggi impegnati in una mediazione tra il Congo e il Rwanda?
Penso che la loro presenza sia un…dato di fatto: questa triste figura di presidente domina sulla scena mondiale, e gli si dà troppo spazio: come anche agli altri due o tre. Tristezza immensa! Gli Stati Uniti non sono semplicemente i più forti, ma sono parte di questo mondo turbato. Posso dirlo? «Lasciamoli!» “Forse” non possono restare assenti; ma noi facciamo almeno qualcosa: perché anche il Congo non può continuare a restare assente. Tuttavia non credo che siano loro a portare la soluzione. Finché si continua a mostrare i muscoli — come fanno oggi gli USA con Russia e Israele — non si va da nessuna parte. La soluzione sta nel dialogo
Lei ha vissuto a lungo nel Nord Kivu. Secondo lei, la presenza continua dei gruppi armati rappresenta una sorta di maledizione per questa regione?
La maledizione, se esiste, è nel cuore dell’uomo. Se non superiamo la logica dell’odio e della sopraffazione, non ne usciremo. Ma voglio dire anche una cosa in cui credo profondamente: la cultura africana ha, dentro di sé, qualcosa in più rispetto alla cultura occidentale. Non lo dico solo qui, lo ripeto anche in Italia. È da questa ricchezza culturale che può nascere un futuro diverso. E questo è ciò che ci dice anche il Papa.
E l’Europa? Che visione ha oggi della situazione in Congo?
Purtroppo nessuna. In Europa non si parla del Congo, perché non si vuole parlare del Congo. C’è una sorta di censura pianificata. La mia opinione è che l’Occidente sia in gran parte responsabile di questa guerra. Sta avvenendo una nuova forma di colonizzazione, più subdola e pericolosa di quella del passato. Se non si prende coscienza di ciò, si arriverà alla rovina.
Durante questo suo soggiorno ha avuto modo di incontrare molti giovani, soprattutto studenti. Che messaggio lascia loro?
Il messaggio che lascio è quello che loro stessi mi hanno scritto qualche mese fa in quella bellissima lettera. Esprime molto bene la situazione e la via da seguire: come in passato il Congo ha saputo trovare una soluzione con il dialogo intercongolese, oggi quella è ancora l’unica via possibile. Vale per il Congo, ma anche per Gerusalemme, per Gaza, per l’Iran, per l’Europa. Dialogo, sempre.
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