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Papa Francesco, il profeta della misericordia

Papa Francesco, il profeta della misericordia

Il mondo trattiene il fiato stamattina. Il cielo sembra più vuoto, la Chiesa più orfana, i poveri più soli. Papa Francesco, il pastore venuto «dalla fine del mondo», ha chiuso gli occhi per l’ultima volta, lasciandoci in eredità una rivoluzione d’amore che non si spegnerà. Jorge Mario Bergoglio, il Papa che ha scelto di chiamarsi come il Santo dei poveri, ci ha insegnato che «la misericordia non è un semplice gesto, ma la luce che deve guidare il mondo».

«Guardate le periferie»: il Vangelo fatto carne

«Non dimenticate i poveri», furono le parole decisive pronunciate dall’allora cardinale Bergoglio durante il conclave del 2013. E da quel momento, il suo pontificato è stato un unico, instancabile atto d’amore verso gli ultimi.

• «Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura» (Evangelii Gaudium). E così ha fatto: ha trasformato San Pietro in un ospedale da campo, aprendo docce e dormitori per i senzatetto.

• «Questo non è un Papa, è un miracolo!», esclamò un senzatetto romano dopo che Francesco, in una notte gelida, gli aveva baciato le mani piagate.

La teologia dell’abbraccio

Nell’autunno 2014, a diciotto mesi dalla sua elezione, scrissi un articolo su Papa Francesco: “Le basi teologiche fondamentali ed emergenti nell’esperienza pastorale di Papa Francesco”. Osservavo un fenomeno unico: un Papa che faceva teologia con i gesti prima che con le parole. Mentre molti attendevano encicliche accademiche, io documentavo come Francesco stesse riscrivendo il linguaggio della fede attraverso:

• scandali evangelici (lavare i piedi ai detenuti)

• micro-rivoluzioni quotidiane (pranzi coi poveri a Santa Marta)

• icone viventi (l’immagine del Papa che abbraccia l’uomo deformato dalla neurofibromatosi)

Francesco non ha scritto libri accademici, ma ha tracciato una teologia con i gesti:

• «Chi non serve i poveri, non serve Dio». Ecco perché ha scioccato il mondo lavando i piedi a detenuti, donne e musulmani, ribaltando secoli di protocollo.

• «Dio è nei dettagli, nel profumo del pane condiviso». Lo si vedeva quando, durante i pranzi a Santa Marta, si alzava per servire personalmente i rifugiati.

La sua Laudato si’ non è stata solo un’enciclica, ma un grido: «Tutto è connesso, e la Terra è un dono da custodire con tenerezza». Mentre i potenti discutevano di economia, lui piantava alberi coi bambini delle favelas.

Il coraggio di un ribelle mite

Ha sfidato i potenti senza paura:

• «Questa economia uccide!», tuonò, denunciando il «colonialismo finanziario» che affama i popoli.

• «Costruiamo ponti, non muri», ripeteva ai leader mondiali, mentre abbracciava i migranti di Lampedusa.

Ma il suo vero segreto? «Dio è vicino a chi ha il cuore spezzato, e la Chiesa deve essere un ospedale dopo la battaglia». Per questo ha creato il Giubileo della Misericordia: «Dove c’è la Chiesa, ci deve essere sempre la fragranza del perdono».

L’ultima lezione: «Camminate nella speranza»

Oggi, mentre il silenzio riempie Piazza San Pietro, le sue parole risuonano più forti che mai:
«Non lasciatevi rubare la speranza! Siate artigiani di un mondo più giusto, dove nessuno sia scartato».

Un testamento d’amore

«Non abbiate paura della tenerezza!» aveva esortato nell’Angelus con voce roca ma intensa.

«Il mondo si salva con il Vangelo in una mano e l’altra tesa verso chi cade. E ora vi chiedo un ultimo favore… continuate a camminare insieme. Pregate per me».

Addio, Santo Padre. La tua Chiesa, quella vera, fatta di strade polverose e ospedali di frontiera, non ti dimenticherà.

Don J. Omar Larios Valencia

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