Nei giorni in cui si festeggia Santa Cecilia, patrona dei musicisti e dei cantori, la decana del coro “Don Mario Ambrosiani” di Dubbione, Lucia Faure ha ripercorso con la memoria il suo vissuto da cantante liturgica. Iniziata oltre settant’anni fa – «accompagnando le mie sorelle Agnese e Maria sono entrata nel coro di Pinasca, a 9 anni, nel 1942» -, la sua esperienza rivela una realtà, forse, difficile da capire per chi non l’ha sperimentata.
«Quando ho cominciato, la corale femminile – racconta Lucia – era seguita dal giovane don Mario Ambrosiani, allora vicario, che aveva ereditato questo incarico da don Rappa. Altri tempi: addirittura cantavamo separati dalla corale maschile: loro in alto dalla tribuna, mentre noi eravamo sotto nei banchi; solo più tardi si iniziò a cantare vicini».
L’onda dei ricordi porta con sé alcuni nomi – «Olga Galliano, Gemma Lasagno, Olga Prot, Giulia Damiano, poi Ida Giacomino – con cui ricordo di aver cantato, solo io e lei, un pezzo del Credo» – di compagne di un tempo quando alle prove serali, anche chi veniva da lontano, arrivava a piedi. Anni in cui la prima comunione si faceva a sei anni, se non prima, anche perché a trasmettere la fede, in modo anche ingenuo, ma sentito, erano le famiglie. Famiglie numerose come quella di Lucia, sette sorelle e tre fratelli tutti cantori, seguendo l’esempio del papà Luigi a cui «don Canale aveva insegnato un po’ a dirigere il coro: il vicario suonava e lui dava gli attacchi ai coristi». Anni in cui «alcune delle mie compagne di canto emigrarono; non era una cosa strana: quasi ogni famiglia aveva qualcuno che partiva». Di quel periodo torna alla memoria «la messa di mezzanotte celebrata alle cinque della sera per via del coprifuoco», ma accanto ai ricordi tristi si affacciano le immagini della «processione del Corpus Domini da Pinasca a Dubbione con tutte le case lungo il percorso bordate di coperte colorate» o «della messa dell’Immacolata quando il coro di Pinasca andava a cantare a Dubbione».
Altri nomi, senza che la penna riesca a fissarli tutti, percorrono i ricordi: «Quando don Ambrosiani cominciò ad andare a Dubbione, da là fece venire a cantare a Pinasca – che belle voci avevano! – Maria Bert, Nella Giustetto e Mafalda Ughetto».
La figura che emerge indelebile nelle parole di Lucia è quella di «un prete magrolino, cogli occhiali e i capelli neri»: don Mario Ambrosiani – dal 1954 parroco di Dubbione – la cui presenza continuò ad accompagnare Lucia che, dopo il matrimonio, si trasferì proprio nella sua parrocchia.
Parlandone, Lucia rimarca: «Per lui il canto era una ragion di vita: cantava, suonava l’organo, dirigeva. Era molto ligio nel rispettare le direttive per il canto liturgico nella scelta dei brani; a volte quando doveva dirti qualcosa era molto schietto, ma, dopo tanti anni da parroco, tutti lo conoscevamo e lui conosceva tutti».
Dopo una pausa per crescere le tre figlie – anche loro brave coriste – Lucia rientrò a cantare nel 1983: «provavamo nella biglietteria del teatro parrocchiale, poi ci spostammo per le prove nell’ex oratorio maschile perché eravamo tanti. Di quegli anni ricordo la partecipazione alle rassegne delle corali diocesane a San Maurizio: mi torna ancora alla mente l’applauso delle altre cantorie dopo una nostra esecuzione di “O Santissima” a quattro voci». Alla fine il pensiero torna ancora a don Ambrosiani: «Anche negli ultimi anni, quando era stanco e malandato, era sempre accanto a noi durante le prove del coro a motivarci e a incitarci a modo suo…».
Poi i ricordi si fanno troppo personali e giustamente non riempiono gli spazi bianchi sul taccuino.
GUIDO ROSTAGNO