Muore giovane chi è caro agli dei, si diceva una volta. Ma il concetto resta valido anche oggi. O almeno lo è certamente nel caso di Woiciech Rzeszutek o don Adalberto come lo chiamavano i suoi parrocchiani di Castel del Bosco e Villaretto. Scomparso a seguito di un malore tra il 3 e il 4 dicembre, Don Adalberto è stato salutato dai tanti che gli hanno voluto bene nel pomeriggio di mercoledì 12 dicembre nella “sua” chiesa di Santo Stefano a Castel del Bosco.

Al funerale tutti o quasi i suoi confratelli sacerdoti – e qualcuno ha visto in questo un piccolo miracolo operato da Wojciech – presenti a concelebrare la messa presieduta dal Vescovo Derio, tre fasce tricolori – i sindaci di Roure, Rino Tron e Fenestrelle, Michel Bouquet e la vicesindaca di Perrero, Laura Richaud –, i labari delle diverse associazioni del paese e, soprattutto, i suoi parrocchiani, giovani e anziani ad affollare non solo la chiesa, ma anche il sagrato.

Don Wojciech (Adalberto) Rzeszutek

Una cerimonia inaugurata da un canto in patois, una sorta di inno alle montagne de “la Valaddo Cluzon”, quel territorio con i suoi paesani, come ha ricordato con voce commossa il vescovo Derio nell’omelia, a cui don Adalberto era tanto affezionato – «Mi diceva: “Se mi lasci qui, te ne sarò grato”» -. Dopo un incisivo attacco alla morte che avvilisce coloro a cui sottrae le persone amate, Derio ha provato a rincuorare i presenti commentando il vangelo scelto per l’occasione (Giovanni 21), in cui Gesù compare ai discepoli sulla riva del lago dopo una notte di pesca infruttuosa e li invita a gettare nuovamente le reti, stavolta, con risultati miracolosi. Anche gli apostoli come gli amici di don Adalberto avevano perso «un amico di poco più di trent’anni» e anche gli apostoli si sentivano senza guida e incapaci di reagire. Ma il Cristo risorto non li abbandona e non lascerà soli neanche gli abitanti di Roure, i confratelli e, soprattutto, la mamma e la famiglia di Wojciech.

Numerosi i ricordi portati al termine della funzione da più persone. Dal sindaco di Roure – «Scusa se non ti chiamavo “Don”, ma per me eri un amico, prima che un sacerdote» – ad alcuni fedeli che di don Wojciech hanno ricordato alcuni caratteri ricorrenti. Il sorriso sincero con cui si accostava a ogni persona incontrata sul suo cammino; la sua umiltà con cui si era inserito nella piccola comunità di Roure, la disponibilità verso chi gli chiedeva una mano. Commossi anche i ricordi del vicario generale Gustavo Bertea e, soprattutto, del vescovo emerito Pier Giorgio Debernardi, rientrato apposta dal Burkina Faso per salutare il suo giovane parroco dal «cuore polacco e insieme italiano».

Quel cuore che, prima di tradire don Adalberto, è stato capace con generosità di mettersi al servizio dei parrocchiani e di tutta la diocesi.

G.R.