Prima del 4 novembre qualcuno ha fatto parlare di sé, proponendone la reintroduzione come giorno di festa a tutti gli effetti – ora il ricordo della fine della Grande guerra è relegato alla domenica più prossima – poiché non sarebbe «divisiva», a differenza di altre feste civili, per gli italiani. Nel loro piccolo alcuni comuni hanno fatto, senza falsa retorica, di questa giornata un momento di integrazione sia per la cittadinanza sia, nel caso di Porte, per i cosiddetti migranti.

Premessa: il paesino della val Chisone, da circa un anno, ospita la comunità “Educare” (fa parte dell’Opera del Murialdo) composta da una quindicina di nigeriani e un ghanese (migranti richiedenti asilo). Proprio due di questi ospiti (John Eguavoen e Lukman Folorunsho), nel pomeriggio di una commemorazione del 4 novembre resa intima dalla forte pioggia – che ha costretto i presenti a rifugiarsi nell’ingresso del comune -, hanno letto, compiendo anche un notevole sforzo, la storia del loro paese (la Nigeria). È stato un passo, non il primo, in direzione del loro inserimento in una comunità più grande, quella portese.

John Eguavoen e Lukman Folorunsho, i due ragazzi della comunità “Educare”, intervenuti al 4 novembre

Non che sia facile o scontato. «I ragazzi provengono – spiega il sindaco Laura Zoggia, – da una cultura diversa dalla nostra: capita che un po’ per la lingua, un po’ per abitudine, non rispondano a chi li saluta e questo li fa apparire in cattiva luce». Altro ostacolo la lingua. «Parlano tutti inglese – racconta Alberto Foresta, educatore della comunità – e credono a torto che anche in Italia tutti sappiano parlarlo». In realtà anche per chi mastica l’idioma di Shakespeare «non sempre è facile comunicare poiché il loro inglese risente dell’influenza delle lingue locali (ndr quello che gli esperti chiamano “Pidgin english”)». Per ovviare al problema «tutti gli uomini della comunità vanno a scuola e stanno per conseguire la licenza media». Non così le donne: «Sono tutte giovani madri e l’istituto che si occupa della loro istruzione non vuole bambini piccoli nelle classi. In alternativa facciamo venire degli insegnanti in comunità a far loro lezione così da prepararle per dare l’esame da privatiste». D’altronde prosegue Foresta «senza la terza media per loro sarebbe impossibile (e sarà comunque complicato) trovare un lavoro».

E senza un’occupazione è difficile pensare a un vero inserimento. Anche se la comunità locale qualche tentativo di apertura verso gli stranieri sta cercando di farlo. «Soprattutto le signore, quando incontrano le mamme coi loro piccoli cercano, come si usa da noi, di fare conversazione, magari con un semplice complimento (“che bel bambino”). Purtroppo spesso le madri, non abituate a questo genere di approccio, non rispondono e proseguono per la loro strada». E da lì è un attimo identificare gli africani come scortesi o presuntuosi.

Per superare questo ulteriore handicap culturale «Laura (ndr Zoggia) e l’assessore Daniele Pilati hanno iniziato, tutti i lunedi, a venire in comunità per insegnare agli ospiti quella che potremmo chiamare “educazione civica”». Racconta la sindaca: «Diciamo loro cose semplici e che a noi possono sembrare scontate. Come rispondere al saluto o, meglio, salutare per primi e fermarsi a parlare con le persone. O come si fa la raccolta differenziata». Al di là degli insegnamenti, «nel loro paese – spiega Alberto Foresta – c’è una forte senso della gerarchia, ma chiunque riveste un incarico di qualche responsabilità per fare il suo dovere esige del denaro. Vedere le autorità del paese, verso le quali provano grande rispetto, che si interessano a loro e lo fanno gratuitamente, è per loro una sorpresa e un esempio».

E anche da questo esempio passa l’integrazione.

GUIDO ROSTAGNO