Skip to Main Content

Città  

Quando a Monte Oliveto c’erano gli orfani di guerra

Quando a Monte Oliveto c’erano gli orfani di guerra

Angelo Aimi di San Secondo Parmense e Giuseppe Mancia di Oldenico (Vercelli): questi sono i nomi dei primi due bambini, orfani di guerra, accolti all’Istituto Salesiano di Monte Oliveto a Pinerolo il 29 maggio 1916.
In quattordici anni ne saranno ospitati oltre cinquecentocinquanta.
L’anno precedente, l’ordine aveva acquistato la proprietà per adibirla a noviziato, ma pochi mesi dopo, mentre si avviavano i preparativi per le celebrazioni del centenario della nascita del fondatore San Giovanni Bosco, scoppiò la prima guerra mondiale ed anche i ragazzi salesiani vennero chiamati alle armi.
L’allora rettor maggiore, don Paolo Albera, seguendo lo spirito della comunità religiosa, decise quindi di offrire la casa per la tutela e l’educazione degli orfani di guerra.
Fu la prima struttura, in tutta Italia, destinata a tale scopo.
Per potervi accedere i bambini dovevano rispondere a precisi requisiti.
Si legge nel Regolamento: «il nuovo istituto accoglie quegli orfani di guerra che, per mancanza di mezzi, per speciali condizioni di famiglia, si trovano in pericolo d’abbandono morale e nell’impossibilità di essere mantenuti ed educati, assicurando ai medesimi: ricovero, paterna assistenza e un’accurata educazione ed istruzione proporzionata alla loro età. Le condizioni di accettazione sono: sia orfano di padre morto in guerra, oppure, essendo già orfano di madre, abbia il padre richiamato al servizio militare. Non abbia un’età inferiore agli otto anni, né superiore agli anni dodici».
Il 22 ottobre 1916, giorno dell’inaugurazione, i bambini erano già una trentina, provenienti da tutto il nord Italia.
Venivano indirizzati a Pinerolo dalle prefetture provinciali d’origine, che disponevano di un “Comitato per la protezione degli orfani di guerra”. Tale ente morale provvedeva anche all’assistenza economica, versando per ogni bambino una retta e quindi sostenendo il genitore che non riusciva da solo a mantenere il figlio lontano da casa.
Queste entrate non erano comunque sufficienti a coprire i costi della struttura, ma non mancarono gli aiuti esterni sia da privati, sia dalle pubbliche autorità. Il loro gesto filantropico assumeva anche un significato propagandistico, legato a ciò che questi bambini rappresentavano: figli di soldati patrioti che avevano donato la vita per il proprio paese.
Ne rende testimonianza la documentazione, ancora esistente, che cita l’intervento assiduo di politici, militari, borghesi in occasione di eventi e manifestazioni legati all’istituto.
L’onorevole Luigi Facta, pinerolese, Presidente del Consiglio dei ministri nei primi anni venti, fu una presenza costante ed «intervenne presso il governo facendo giungere alcuni aiuti di una certa entità».
La moglie di Facta, Donna Maria Arnosio, gettò le basi per la costituzione di un Comitato di patronesse a Pinerolo e ne diventerà presidentessa. Quest’organo di beneficienza sarà per molti anni punto di riferimento per il sostegno finanziario e materiale dell’istituto, promuovendo lotterie, incontri ed ogni altra attività finalizzata alla raccolta di fondi o materiali utili ai bambini.
Una data particolare della storia dell’istituto fu il giorno dell’arrivo al colle della luce elettrica e dell’acqua potabile, il 15 luglio 1923. Oltre ad una maestosa cerimonia di inaugurazione alla presenza di numerose autorità (tra cui lo stesso Facta con la moglie), per l’occasione venne anche stampato un “Numero Unico” in cui vengono descritte la storia e le vicende dell’opera.
Per i bambini gli anni trascorsi a Monte Oliveto furono di benessere e crescita. Ricevettero un’adeguata educazione scolastica, che sicuramente non avrebbero potuto sostenere nel loro paese di origine, ed entrarono a far parte di un’attiva ed organizzata congregazione (venne istituita una fanfara, una compagnia teatrale, partecipavano alle cerimonie commemorative e a gite nella zona). Si può supporre che quest’ambiente comunitario contribuì ad alleviare la loro sofferenza legata alla lontananza dagli affetti familiari e alla morte del padre.
I sacerdoti salesiani affrontarono anche il problema del collocamento dei ragazzi al raggiungimento del dodicesimo anno di età: chi, per vari motivi, non poteva più rientrare in famiglia, veniva ospitato nelle scuole del Valdocco a Torino.
Nella seconda metà degli anni venti, il numero degli orfani cominciò a diminuire e nel 1930, con l’uscita degli ultimi bambini, l’istituto fu canonicamente eretto a Noviziato Salesiano dell’Ispettoria Subalpina.

Claudia Priolo

 

LASCIA UN COMMENTO  

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. Visualizza l'informativa privacy. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *