7 Novembre 2014
Pinerolo. “Nel Paese delle Meraviglie”: un processo mediatico, costruito sul nulla
8 novembre 2014
Un verdetto di primo grado ribaltato come un calzino. Stefania Di Maria, Elisa Griotti e Francesca Pamfili sono state dichiarate innocenti. Assolte con formula piena da tutte le accuse, perché «il fatto non sussiste». Queste le parole contenute nella sentenza emessa lo scorso 30 ottobre dai giudici della quarta sezione della Corte d’Appello di Torino (presidente Angelo Barbieri), in merito alla vicenda delle tre maestre titolari dell’ex asilo nido privato di Pinerolo “Nel Paese delle Meraviglie” (via Alliaudi, 41), sequestrato dalla magistratura l’11 novembre 2010. «Oggi – hanno affermato, dopo la sentenza di assoluzione, gli avvocati della difesa – è stata fatta giustizia. Il Tribunale ha stabilito che non è mai stato commesso nessun reato». Le motivazioni della sentenza d’appello saranno depositate e rese note lunedì 15 dicembre. Le tre educatrici erano state condannate in primo grado il 16 novembre 2012 dal giudice Luca Del Colle (al termine dell’inchiesta condotta dal Tribunale di Pinerolo nella persona del pm Ciro Santoriello) ad una pena compresa tra i dieci (Di Maria e Griotti) e i dodici mesi (Pamfili) di reclusione. Capo d’accusa: presunti maltrattamenti (che sarebbero avvenuti tra il 2007 e il 2010) sui bambini a loro affidati. Elisa Griotti e Stefania di Maria sostengono che: «Ovviamente siamo molto contente della sentenza, ma non la davamo per scontata. Non volevamo illuderci, dopo quattro anni vissuti con il magone dentro. Dobbiamo ricominciare la vita, non saremo mai risarcite moralmente. La fede ci ha aiutato molto, siamo tutte e tre credenti e pensiamo che il Signore riserva le prove a chi le può sostenere. Dio ci ha aiutate in questi anni: è terribile quando sai di non essere colpevole di nulla, ma nessuno ti crede. Prima del sequestro dell’asilo, mai nessun genitore aveva ritirato un bambino. Neanche coloro che poi si sono costituiti parte civile al processo. E molte mamme erano psicologhe: se i bambini fossero stati davvero maltrattati, chi più di loro avrebbe potuto accorgersene? E poi, c’è un aspetto che ha del paradossale: proprio le nostre ex dipendenti che ci hanno accusate, proponevano a parenti e amiche di venire a lavorare da noi o di iscrivere i loro bimbi…». Francesca Pamfili inizia il suo racconto con una coincidenza significativa: «Lo scorso 30 ottobre, giorno in cui è arrivata la sentenza, ho ascoltato l’omelia pronunciata dal Papa a Santa Marta: parlava del diavolo, che assume tante forme diverse per attaccarci; Francesco suggeriva di armarci della verità. In questi quattro anni, più volte mi sono chiesta: perché proprio a me? Comunque, ho vissuto questo periodo a testa alta, ma cercando di stare nell’ombra, senza attirare l’attenzione. Certo, i primi giorni non mettevo quasi piede fuori di casa… Poi, però, sono sempre andata di persona a prendere le mie figlie all’uscita da scuola. E ho sperimentato la grande solidarietà e vicinanza da parte di tanta gente. Nonostante il fatto che le mie colleghe ed io abbiamo ricevuto numerosi insulti e minacce, persino di morte. Sono arrivati anche a minacciare i nostri figli: non si è tenuto conto di loro, non sono stati tutelati per nulla. Erano allievi di quello stesso asilo: una struttura aperta, che offriva servizi preziosi per il territorio, con un’attenzione particolare ai bambini disagiati. Hanno negato ai nostri figli la libertà di avere delle mamme serene, e ai piccoli che frequentavano l’asilo quella di vivere un’infanzia serena. C’è stata una risonanza pazzesca da parte dei media pinerolesi e nazionali: non hanno esitato, pur in assoluta assenza di prove di colpevolezza (e anche di video e di arresti, unico caso in Italia), a riempire le prime pagine e i siti Internet, definendo la nostra struttura “asilo degli orrori” e noi, quando andava bene, “streghe”. Ora invece, si sprecano le congratulazioni… Invece abbiamo ricevuto, fin dal primo momento, molto sostegno da parte dei genitori dei bambini iscritti all’asilo: due giorni dopo il sequestro, parecchi di loro sono scesi in piazza a manifestare contro il Comune e il sindaco. E proprio le mamme i cui bambini si ipotizzava fossero stati maltrattati, erano le più combattive nel difenderci! I piccoli piangevano quando venivano a prenderseli, non volevano lasciare l’asilo: altro che maltrattamenti, la verità è che eravamo riuscite a creare un clima educativo molto bello, ad impronta familiare». Uno degli avvocati, Cristina Botto (che nel processo ha difeso le maestre, insieme ai colleghi Mirella Bertolino, Davide Richetta e Mauro Ronco), afferma: «Voglio rimarcare che si tratta di un’assoluzione piena: i maltrattamenti sui bambini, per i quali le mie assistite erano state ingiustamente condannate in primo grado, in realtà non si sono mai verificati, erano pure invenzioni. L’asilo aveva al suo interno un impianto di videosorveglianza, fatto installare dalle stesse maestre. Ebbene: l’hard disk di questo impianto, i cui dati avrebbero potuto fin da subito scagionare le educatrici, è stato intenzionalmente distrutto dagli inquirenti. I due tecnici che hanno collaborato con noi (Giuseppe Dezzani, che sta seguendo il caso di Yara Gambirasio, e Cosimo Anglano, docente al Politecnico di Torino) hanno accertato che i video “incriminati” (che hanno spopolato sui media) erano stati girati da due dipendenti (le sorelle Francesca e Margherita Monelli), dopo che le maestre erano già uscite dall’edificio (come dichiarato anche dalle stesse autrici dei filmati). Si era a fine agosto: Stefania era in ferie, mentre Francesca ed Elisa lavoravano solo la mattina; al pomeriggio subentravano le dipendenti. Tra l’altro, quei video erano stati scartati dal novero delle prove accusatorie già nella sentenza di primo grado. In generale, si è trattato di un processo condotto con indagini molto carenti e superficiali. Per dirne una, le immagini riprese dalle telecamere installate dai carabinieri (oltre 96 ore) non vennero considerate, perché non ritenute utili per la parte accusatoria: eppure, in quei filmati non c’era neanche l’ombra di una prova contro l’operato delle educatrici. Si è data eccessiva credibilità alle affermazioni dei testi dell’accusa. Il Tribunale del Riesame aveva detto che erano necessarie ulteriori indagini, ma la procura decise di chiuderle… Con indagini approfondite, non si sarebbe arrivati neanche al processo! Un processo mediatico, che ha ingigantito a dismisura le cose. Basti pensare che, il giorno del sequestro, i giornalisti sono arrivati in massa e per primi… Anche il Comune di Pinerolo poteva andarci molto più cauto, soprattutto il sindaco Covato: si erano subito costituiti parte civile, prendendo una posizione netta contro le maestre. Hanno dato troppa risonanza mediatica all’inizio, poi il tutto è sfuggito loro di mano… E dire che sarebbe bastato guardarsi i filmati del sistema interno di videosorveglianza, acquisendo l’hard disk (invece di distruggerlo). Come difesa, ci hanno aiutato molto le deposizioni da parte dei genitori dei bambini, talmente avevano fiducia nelle educatrici. Anche io ho sempre visto in loro una grande passione. Alla fine, la verità è venuta a galla: la Corte d’Appello ha avuto il coraggio di emettere una sentenza giusta, smontando i falsi capi d’accusa che avevano portato alla condanna in primo grado». Le tre maestre hanno voluto ricostruire i fatti che hanno condotto al processo: «Tutto è da far risalire a Mara Bergoin, attuale titolare dell’asilo nido privato “Casa di Bimbi” (a Pinerolo, in via Palestro 27). Alice Contini, nostra prima dipendente assunta nel 2007 (aprimmo l’asilo nel mese di maggio), portò Bergoin a lavorare da noi, poi si aggiunsero le sorelle Monelli. Anche se non eravamo molto soddisfatte del suo lavoro con i bambini, avevamo promesso a Bergoin di assumerla (nel settembre 2009), in caso di svolgimento positivo di uno stage estivo di baby-sitteraggio: ma si dimostrò del tutto inaffidabile, a detta anche della famiglia coinvolta. A quel punto, un paio di mesi dopo lei decise di aprire un altro nido, “Casa di Bimbi”, proponendo l’assunzione ad alcune nostre ex dipendenti, tra cui Chiara Galliano (prima assunta a tempo indeterminato, poi licenziata dopo circa una anno, viste le difficoltà economiche in cui navigava il nido). Fu significativo un episodio accaduto nel febbraio 2010: una donna farneticante (risultata poi risiedere nell’astigiano) urlava davanti al nostro asilo, parlando di maltrattamenti sui bambini. Dalle successive indagini, risultò essere Katia Revellino, la cui sorellastra Denise Caffaratti è oggi socia a metà dell’asilo “Casa di Bimbi”, che si trovava ormai praticamente sul lastrico finanziario. Dopo il sequestro, guarda caso, i bambini iscritti al nostro asilo si spostarono in massa in quello della Bergoin…». Una delle tre maestre frequenta la comunità parrocchiale Santa Barbara a Riva di Pinerolo. Il parroco, Jesús Martín Franco (che conosce personalmente anche le altre due e che domenica 16 novembre celebrerà un’Eucaristia di ringraziamento), ha voluto commentare a caldo la vicenda: «Oggi, finalmente, è arrivata la sentenza che cancella ogni accusa. Non c’erano filmati, non c’era niente… Si sono incaricati di distruggere ogni prova di innocenza… Questa volta la verità ha vinto. Una di queste maestre è mia parrocchiana e le altre due sono amiche, le conosco bene, andavo all’asilo e ho fatto la benedizione dei bambini… Era impossibile che fossero colpevoli. Ringrazio Dio e ringrazio tutte le persone che hanno pregato e sono state loro vicine in tutto questo tempo».
Vincenzo Parisi
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