2 Gennaio 2015
“Nel Paese delle Meraviglie”. E ora chi chiederà scusa?

Due delle testimoni dell’accusa, le sorelle Francesca e Margherita Monelli, «cercavano di documentare i presunti maltrattamenti effettuando in maniera maldestra delle video-riprese in orari in cui le titolari non erano presenti nell’asilo […]. Compaiono sì dei bambini piangenti o visibilmente spaventati […]. Ma che nulla provano circa l’identità di coloro che decisero di portare i minori in quelle stanze ed anzi suggeriscono che i bambini vi fossero stati appositamente trasferiti proprio dalle autrici del video». Questo si legge nelle motivazioni (depositate e rese note lo scorso 15 dicembre) della sentenza riguardante Stefania Di Maria, Elisa Griotti e Francesca Pamfili, le tre maestre dell’ex asilo “Nel Paese delle Meraviglie” assolte con formula piena lo scorso 30 ottobre da tutte le accuse, perché «il fatto non sussiste». Un verdetto definitivo che avvalora in pieno le tesi che hanno sempre sostenuto, fin dall’inizio delle indagini. La lettura delle motivazioni della sentenza emessa dalla quarta sezione della Corte d’Appello di Torino (presidente Angelo Barbieri) conferma il carattere mediatico di un processo costruito sul nulla. O, meglio, su false prove, create ad arte. Infatti le sessanta pagine di motivazioni focalizzano, come elemento principale, la credibilità delle affermazioni delle testimoni dell’accusa (Mara Bergoin, Alice Contini, Chiara Galliano e le sorelle Monelli), sulle quali i giudici esprimono pesanti riserve: molteplici «emergenze probatorie» proiettano «ombre inquietanti sulle cinque accusatrici», «la cui credibilità soggettiva appare dubbia», come ampiamente dimostrano le loro dichiarazioni «contraddittorie», «inverosimili» e «inconsistenti». La Corte afferma a chiare lettere che le argomentazioni della parte accusatoria hanno fornito, in sede processuale, «una ricostruzione forzata e arbitraria di ciò che accadeva nell’asilo». Non a caso la prova principale (i video dei presunti maltrattamenti sui bambini) è stata completamente smontata. Francesca Pamfili, la ex titolare, è (giustamente) un fiume in piena: «Sono sempre andata a testa alta poiché sapevo che eravamo innocenti, voglio solo che chi fino all’altro giorno diceva che eravamo colpevoli pur con l’assoluzione, e che insinuava eventuali parentele nostre con i giudici, avesse per lo meno la decenza di ammettere i propri errori! Chiedo troppo? Forse non ci ricordiamo più che a noi sono stati rubati quattro anni di vita, un lavoro che amavamo, la serenità! Forse non ci ricordiamo più che abbiamo ricevuto minacce di morte, noi e i nostri figli! Continuerò a camminare a testa alta per tutta la vita, ma fregarmene per un’ingiustizia subita non ce la farò mai! Abbiamo sempre urlato la nostra innocenza e tanti hanno creduto in noi, questo ci ha consentito di poter andare avanti in questi anni. Credo che il Signore mandi i pesi a chi li sa sopportare e credo inoltre che ci abbia sempre aiutato a trovare tutte le prove per scagionarci. Finalmente la verità è venuta a galla, l’unico neo è che compiango chi ha creduto a queste nefandezze e ha collaborato per diffonderle, non pensando che le bugie hanno le gambe molto corte e che la verità vince su tutto. Mi chiedo se qualcuno avrà il coraggio di ammettere di aver sbagliato e se mai ci chiederanno scusa. Vorrei solo che chi ci ha offeso in maniera vergognosa avesse la decenza di ammettere l’errore e vorrei che ciò che è successo a noi non debba più accadere a nessuno. La nostra vita ha più valore di qualsiasi altra cosa e vederla rovinata in una frazione di secondo non è giusto! Chi ha creduto alle accusatrici ora si sentirà preso in giro e forse finalmente si renderà conto di quanto le accuse fossero assurde e incredibili».
Vincenzo Parisi

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