19 Giugno 2011
La storia di Mohamed
Un profugo ivoriano ospite nel Residence San Donato di Frossasco racconta… Parlano perlopiù francese. Ma quando chiediamo di poter intervistare uno di loro preferiscono il silenzio. Prima l’insegnante di lingua italiana, Giorgio D’Aleo, poi la mediatrice culturale, Melanie Assamoi, spiegano che siamo giornalisti e che vorremmo raccontare la loro storia. I profughi ospiti nel Residence San Donato di Frossasco si schermiscono. Chi per paura, chi per timidezza. Uno di loro dice che “correrebbe dei rischi”. “Questa ritrosia è dovuta anche al fatto che temono di violare le leggi italiane e le regole che sono state date loro al momento dell’arrivo” li giustifica il maestro D’Aleo.
Dopo una lenta e delicata trattiva Mohamed accetta infine di dirci qualcosa di sé.
E’ musulmano, ha trentacinque anni e viene dalla Costa d’Avorio dove ha una moglie e due figli che non vede da diciannove mesi.
“Nel mio paese ero insegnante della scuola primaria – racconta – e stavo bene. Sono emigrato per motivi di cui preferisco non parlare. Ho attraversato il deserto del Sahara e sono arrivato in Libia dove ho trovato lavoro come decoratore. Fino allo scoppio della guerra si stava bene e riuscivo anche a mandare denaro alla mia famiglia”.
Poi tutto è cambiato, soprattutto per gli Africani. Anche Melanie Assamoi è ivoriana e spiega che in Libia tutti i “neri” si sono trovati in pericolo di vita perché confusi con i mercenari africani della milizia personale di Muammar Gheddafi.
“Non ho mai avuto problemi con il regime di Gheddafi – prosegue Mohamed – piuttosto con la popolazione libica che spesso ci considera persone inferiori. Qui in Italia, invece, l’atteggiamento è totalmente diverso. Siamo stati accolti e trattati in modo umano. Ci è stato spiegato che abbiamo dei doveri ma anche dei diritti”.
A proposito del viaggio Mohamed non esita a dirsi “fortunato” perché “la barca ha coperto il tragitto in sole ventiquattro ore. Certo non è stato facile perché eravamo quasi quattrocento e lo scafo era un peschereccio non adibito al trasporto passeggeri. Alcuni miei amici per arrivare a Lampedusa dalle coste libiche hanno impiegato anche tre giorni. Quando sono salito sulla barca non ho pensato a che cosa c’era in Italia ma ha pregato Dio di arrivare salvo. Ce l’ho fatta ed ora sono qui. Sono anche riuscito a comunicare per un minuto con la mia famiglia per dire che sto bene. Poi si vedrà. La mia intenzione, se possibile, è quella di restare a lavorare in Italia. Per questo spero che la mia richiesta di asilo politico venga accettata”.
Melanie traduce dal francese ogni risposta e si assicura che a noi non sfugga il senso delle parole di Mohamed. Intanto qualcuno si è avvicinato vincendo una certa diffidenza. E la foto del nostro amico diventa una foto di gruppo.
“Poi ce lo portate il giornale vero?” ci chiede in “quasi italiano” Mohamed. E dietro di lui altri ragazzi si avvicinano per salutare.
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