Skip to Main Content

Fatti e opinioni  

Il Pinerolese e il termovalorizzatore del Gerbido

Il Pinerolese e il termovalorizzatore del Gerbido

In questi giorni è venuta alla ribalta la notizia dell’interessamento di ACEA per l’acquisto di alcune quote della società TRM S.p.A, società a capitale misto (Gruppo Iren con l’80% e alcuni Soci pubblici fra cui il comune di Torino col 17% circa) che gestisce l’impianto di incenerimento di rifiuti urbani (termovalorizzatore) situato in regione Gerbido al confine fra Torino, Beinasco e Orbassano.
Gli amministratori locali sono stati chiamati a esprimere parere favorevole (o meno) sull’operazione.

Probabilmente, in questo come in altri casi, è stata ed è carente la comunicazione da parte degli amministratori nei confronti dei cittadini. Questo testo è un modesto tentativo, da parte di un rappresentante di una minoranza consiliare (che quindi non ha accesso diretto alle informazioni spesso riservate in Giunta), di informare, in base alle proprie conoscenze tecniche ed all’esperienza maturata nel tempo. I sindaci che rappresentano i comuni ed i gruppi di comuni nel consorzio ACEA potrebbero, forse, dare una informazione più dettagliata e precisa, se volessero.

L’impianto è entrato in funzione a maggio del 2014. È strutturato in tre linee gemelle parallele ed è autorizzato a bruciare circa 550mila tonnellate l’anno di rifiuti urbani indifferenziati (“secco”), di residui provenienti dalla selezione e trattamento delle frazioni differenziate dei rifiuti urbani e di una serie di rifiuti assimilabili agli urbani (l’elenco completo è presente nell’Autorizzazione Integrata Ambientale del 2012, reperibile in https://www.irenambiente.it/documents/66419/104749/TRM_AIA2012.pdf/8fea8d2a-7c99-4028-84d1-bfec2e7b1052).

Il Comune di Torino ha recentemente messo in vendita la maggior parte delle proprie azioni con l’intenzione di mantenere solo più l’1% del capitale. L’ACEA si è dichiarata interessata ad acquistare una quota di tali azioni (per un valore intorno ai 2-3 milioni di Euro, equivalenti a circa il 2% o poco più del capitale di TRM). L’intenzione di ACEA (e del suo socio di maggioranza, il Comune di Pinerolo, che esprime con il sindaco Salvai la presidenza del Consorzio, a sua volta detentore della proprietà delle società operative con il medesimo nome ACEA) è di entrare nella “stanza dei bottoni” della società, acquisendo il diritto di avere un membro nel Consiglio di Amministrazione e forse anche la presidenza. Questa infatti viene nominata, in base allo statuto di TRM, dal socio della parte pubblica che detiene la maggiore quota. Si pone il problema se la scelta di “entrare” nella gestione dell’impianto sia da valutare positivamente o meno. La questione, ancora una volta è complessa, poiché entrano in gioco molti fattori e forse è meglio entrare nel merito.

La questione “inceneritori di rifiuti” è stata oggetto di molte controversie in passato e, anche se in modo meno acceso, ancora oggi. L’incenerimento dei rifiuti è una pratica che, anche nelle direttive della Comunità europea fin dagli anni ‘90, non viene certo considerata come “la soluzione”. Il principio è privilegiare, nell’ordine, a) la riduzione alla fonte (nella fase di progettazione e produzione di oggetti e materiali), b) il riutilizzo, c) il recupero dei materiali (dalla raccolta differenziata e successivo trattamento), d) termovalorizzazione e infine, e) il confinamento in discariche controllate. A ben guardare il comportamento privato di molti il confinamento in discarica controllata (cioè la tecnica ultima in classifica) per molti di noi italiani sembra essere ancora un “lusso. Sta di fatto che la termovalorizzazione dovrebbe essere praticata solo per le frazioni di rifiuto non recuperabili diversamente, dopo che si sono messe in atto tutte le azioni per ridurne la quantità come ai punti a) b) c). Non si tratta di una opinione da “fissati”, è un dettato di buone tecniche applicabili, legge da quasi trent’anni. Le discariche controllate sono in coda, da utilizzare solo per i materiali non recuperabili e nono combustibili.

La differenza fra un “termovalorizzatore” e un “inceneritore”? Si tratta comunque di bruciare i rifiuti o meglio, la loro parte combustibile, ottenendo come risultato della combustione un flusso gassoso (fumi) di Anidride Carbonica, vapore d’acqua e piccole quantità di altre sostanze più o meno pericolose per l’ambiente e un residuo non combusto, le cosiddette “ceneri”. Le sostanze inquinanti disperse con i fumi (tipo e quantità) dipendono dal tipo di rifiuti bruciati, dalla temperatura di combustione (che deve essere la più alta possibile, compatibilmente con i limiti strutturali, per ottenere minime quantità di sostanze indesiderate nei fumi prima dell’abbattimento), dalle scelte impiantistiche e dai sistemi di trattamento dei fumi stessi. Lavorando bene le emissioni in atmosfera di sostanze pericolose sono ridotte (soprattutto rispetto agli inceneritori di vecchia concezione), però occorre un controllo molto rigido ed effettivo sui materiali in ingresso e sui parametri di funzionamento.

Per esempio la combustione in un moderno termovalorizzatore viene mantenuta fra 850 e 1000° C (per fare un esempio vicino alla realtà del mio comune, Frossasco, la combustione dell’impianto ex Trombini per rifiuti legnosi avveniva, nelle miglior condizioni, a 650-700° C). I residui solidi non combusti dipendono anch’essi dal tipo di materiale bruciato. In un termovalorizzatore come quello del Gerbido costituiscono comunque una frazione pari a circa il 25% del peso dei rifiuti di origine (una percentuale tutt’altro che trascurabile!). Questo dipende soprattutto dal fatto che ad esso viene avviata una grande quantità di rifiuti urbani indifferenziati, non sottoposti a selezione, e quindi contenenti molto materiale inerte non combustibile. Queste “ceneri pesanti” e ceneri leggere filtrate dai fumi per la maggior parte vengono recuperati nella produzione del cemento e di altri materiali inerti. Si tratta comunque di un aspetto da tenere sotto stretto controllo.
Il termine “termovalorizzatore” sta a indicare che l’impianto recupera una buona quota dell’energia termica prodotta per la produzione di energia elettrica (tramite turbine a vapore) e/o anche per il teleriscaldamento, cioè il riscaldamento di fabbriche e case nei mesi invernali. Si tratta di una pratica utile (verrebbe da dire che sarebbe stupido non farlo, ma fino a pochi decenni fa sembrava fantascienza) che, insieme alla riduzione del volume dei rifiuti (e quindi della minore necessità di avere discariche controllate), costituisce un punto a favore (fatto salvo quanto premesso) della termovalorizzazione.

Bisogna anche dire che in Italia (solo in Italia!) l’energia elettrica prodotta dalla combustione dei rifiuti combustibili (anche perché gli altri non bruciano) viene incentivata economicamente (quindi pagata di più) come se provenisse da fonti rinnovabili. Questo deriva da una determinazione del Comitato Interministeriale Prezzi del lontano 1992 (sigla CIP6), mantenuta e prorogata con atti successivi e con effetti ancora in data odierna 2020. Può sembrare assurdo ma fra i combustibili incentivati sono compresi anche gli “scarti” di idrocarburi da raffineria … Questa situazione particolare, che ha determinato anche l’apertura di procedure di infrazione da parte della CE nei confronti del nostro paese (al momento non ne conosco l’esito definitivo), ha favorito la realizzazione di termovalorizzatori (che, ripeto, per un limitato e circoscritto utilizzo descritto in precedenza, sono una buona soluzione) anche a discapito dell’incentivazione della raccolta differenziata e delle attività (indispensabili) di trattamento e recupero successive all’atto della differenziazione. Bruciare la frazione non differenziata è più semplice che educare, “costringere” e organizzare. Dato che in Italia siamo in perenne “emergenza” e gli stati di emergenza si protraggono per decenni perché non si ritiene o non si è capaci di prendere decisioni per risolvere i problemi alla radice (con interventi dai risultati non immediati, è chiaro, ma bisognerebbe pure iniziare), è facile sostenere che i termovalorizzatori sono “l’unica risposta possibile” al problema rifiuti. Quando la riduzione dei rifiuti alla fonte viene ostacolata (perché anche gli imballi e l’usa e getta sono una parte importante del PIL!), dove la raccolta differenziata è bassa come qualità e quantità ed i sistemi di recupero materiali sono poco efficienti (questo ultimo aspetto è carente a livello nazionale e non solo, fino che si è potuto i materiali recuperati sono stati mandati all’estero, e la pratica continua tuttora), l’incenerimento è una scorciatoia che “risolve”. Da sola è una scorciatoia indubbiamente stupida, soprattutto a lungo termine, ma tant’è.

Fatto questo lungo (anche se sintetico) excursus torniamo alla questione contingente.
Nella Regione Piemonte e nell’area della città Metropolitana dove si trova ACEA, il nostro gestore dei rifiuti urbani, si tende a non utilizzare più il sistema delle discariche. All’inceneritore del Gerbido vanno (con un costo comunque dell’ordine di 110 € / tonnellata) gli scarti non recuperabili del trattamento dell’umido, della plastica, della carta. Ci vanno anche i carichi di raccolta differenziata respinti dai recuperatori perché i cittadini ci hanno messo di tutto e gli scarti delle operazioni di separazione che vengono praticate sulla frazione indifferenziata. Ci va, purtroppo, il grosso del materiale raccolto come “secco” e “indifferenziato” dove molti cittadini (meritano questo nome ?) continuano a mettere tutto insieme.

Il bacino ACEA, per quanto riguarda la gestione dei rifiuti urbani è uno dei più efficienti e avanzati della Regione, sia dal punto di vista tecnico (la gestione dopo la raccolta della frazione umida funziona bene ed è un modello per altre realtà) che economico. L’ACEA è una delle poche società pubbliche per la gestione dei rifiuti che non sia in passivo, anzi. Questo non è un elogio incondizionato all’ACEA ma un riconoscimento di dati di fatto. Certamente ci sono stati errori in passato (si ricorda il famoso “sacchetto verde” dei primi anni 2000 ?) e altre cose potrebbero essere migliorate, ma c’è stata la capacità di imparare dagli errori.

L’ACEA ha accantonamenti (derivanti dalla parte degli utili annuali non distribuita ai comuni soci) pari a circa 3,5 milioni di €. ACEA intenderebbe comunque aprire un mutuo per coprire la spesa delle azioni TRM anche perché i dividendi distribuiti da TRM stessa negli ultimi anni (con un rendimento dell’ordine del 10 % annuo) potrebbero coprire in buona parte le rate del mutuo.
Essere nel consiglio di amministrazione di TRM è quindi importante per il Pinerolese, dato che, volenti o nolenti, nella realtà attuale e nel prossimo futuro siamo e saremo utilizzatori di quell’impianto. Come e fino a che punto si potrà influire sulla conduzione dell’azienda dipenderà dalla situazione generale (le regole spesso sono definite ad un livello più alto, come l’aumento in atto della tassa rifiuti del 20 % medio, deciso a livello nazionale) e dalle intenzioni dei nostri rappresentanti locali. Tuttavia restare fuori del tutto significherebbe non avere assolutamente voce in capitolo.

Sicuramente l’ingresso in TRM non deve significare l’appiattimento dell’ACEA (cioè dei comuni che costituiscono il consorzio) su posizioni di scarso impegno sul fronte della raccolta differenziata e del sistema a valle di trattamento e di recupero effettivo dei materiali raccolti.

Daniele Castellino

LASCIA UN COMMENTO  

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. Visualizza l'informativa privacy. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *