29 Maggio 2011
Gli studenti raccontano il Risorgimento pinerolese
Giulia Michialino, studentessa del Liceo Porporato, si aggiudica il primo premio Una caserma affollata di studenti delle scuole superiori accompagnati dai presidi e dagli insegnanti ha visto la premiazione del concorso Pinerolo Risorgimentale il 28 maggio scorso. Vince il primo premio consistenze in una riproduzione in gesso di un cavallo e una somma di denaro, una studentessa del Liceo Porporato di Pinerolo, Giulia Michialino della 4A sociale. Di seguito riportiamo interamente il suo elaborato scritto. E’ un racconto breve che vede come protagonista niente meno che il cavallo appartenuto a Federico Caprilli, il noto capitano di cavalleria, Cromwell.
CROMWELL
Racconto breve di Giulia Michialino
Classe 4A scienze sociali Liceo Porporato di Pinerolo
Introduzione
Chiunque di noi abbia, od abbia mai avuto, un animale con sé, sa che esso vede ogni azione che facciamo, ogni comportamento che manifestiamo.
Gli animali sono osservatori silenziosi di noi stessi, a volte ci conoscono meglio ci conoscono meglio di chiunque altro, più a fondo, di chiunque altro.
Ci guardano con sguardi profondi, o vivaci. Dai loro occhi passa tutto. E noi conosciamo loro interamente? Siamo sempre sicuri di capirli?
Ed è così che questa breve storia raccontata, dal punto di vista di colui che fu un compagno di Federico Caprilli, che fu suo amico, da lui imparò e lo accompagnò per una parte della sua vita.
Un piccolo squarcio dentro una comune giornata di routine.
Giulia Michialino
Le onde del vento s’impongono sull’erba, che lieve s’inchina, e il muoversi
dell’aria tra le foglie e gli alberi e i fiori, mi porta odori inebrianti. Le nuvole scivolano serene e l’acqua scorre calma; l’aria mi accarezza e sento
freschi brividi attraversarmi la schiena. Corro, sfioro foglie e rami: la
primavera accende ogni mio senso, il profumo del verde mi avvolge, e respiro l’ebbrezza della libertà.
Mi dirigo verso una distesa d’alti pini, impenno, torno indietro galoppando:
davanti a me un campo infinito, poi nel limpido il cielo s’apre, una calda luce
mi ferma, le mie zampe si quietano e lo splendore del Sole diviene abbagliante.
Apro gli occhi. Appare il rosso bagliore del Sole: è mattina.
Il calore che penetra dalla finestra riscalda il fieno, e ne emana un odore
appetitoso. Riemerso dal sonno sento passi maldestri avvicinarsi, sospettoso mi
affaccio alla finestrina del box e vedo arrivare un soldato che purtroppo mi
sembra familiare. Mi accorgo della sua mano che tenta di accarezzarmi il muso,
ma un odore acre m’irrita: <
allontano, ma imperterrito lui riesce ad infilarmi la cavezza e a trascinarmi
bruscamente fuori dal box. È l’ora della pulizia.
Mentre sento la spazzola passarmi sul dorso, avverto daccanto lo sguardo di
Cabirio, un frisone a cui nonostante il tempo avesse consumato la forza e
incisagli nelle zampe la tecnica tradizionale , non era privo di quegl’impeti d’entusiasmo comuni a noi giovani per quel nuovo modo di saltare. Peccato fosse
che lui a ciò, più non poteva essere destinato. Il fatto sembrava però non
desolarlo molto, anzi incuriosito, inizia a parlarmi: << Ti ho osservato
tornare, ieri, dopo gli ultimi salti; eri esausto, tuttavia notavo il tuo
entusiasmo!>> Mi sopravviene il ricordo del giorno precedente, e in effetti,
Cabirio aveva ben compreso le mie emozioni: cavaliere ed io unanimi,
spontaneamente coordinati. Un ultimo verticale … Splendido. Una spazzolata
eccessivamente energica mi raschia la pelle sul fianco, e mi riporta al
presente “Perché non fa mai attenzione … Incapace!” E sbuffo
scocciato. Cabirio prosegue: << Riconosco l’espressione del tuo volto. Quando
iniziai i primi addestramenti di dressage ero orgoglioso nei miei progressi, e
così fiero della mia disciplina …>> Rispondo pensando ai commenti di sussiego
ricevuti da altri: << Avrai avuto grandi soddisfazioni. Ascoltando i racconti
sugli esercizi d‘Alta Scuola, devi aver superato considerevoli difficoltà.
Eppure non manchi di modestia, apprezzi anche noi. In qualche modo ti sono
grato, e tu sai, altresì amico, per questo.>> Ma lui cambia espressione, si fa
pensoso, com’ero io poco prima, e si volta completamente a guardarmi di fronte:
<< Tu non sei come me; non lo sarai. Sono sempre stato addestrato a prestazioni
di precisione, faticose. Tu puoi essere invece efficacemente guidato dal tuo
cavaliere, con semplicità. Sei libero d’essere te stesso. Noterai ben la
differenza. Io la vedo, ma non posso sentirla.>> E dopo queste sue parole lo
vedo avvolto in un alone di nostalgia, e sempre guardandomi:<< Essendo frisone
non sarei comunque stato destinato al salto, quale che sia il metodo adoperato,
ma … Se non sono manchevole di modestia, sono oramai manchevole d’istinto!>> Di colpo mi ritrovo a guardarlo sbalordito: uno come lui che preferirebbe sentirsi
istintivo, piuttosto che uno da cavalleria! Ma è la vecchiaia o cos’altro?
Anche se, rievocando il tempo in cui crescevo nei prati e la notte dormivo
accanto a mia madre, poi il giorno giocavo e correvo, allora capisco pienamente
Cabirio. Il bello di essere giovani qui, oggi, è di poter sentire l’indipendenza mentre il tuo cavaliere t’indica il modo migliore di fare, senza imporsi. Si cavalca insieme, io vengo da lui guidato, lui cerca di adattarsi a quel che io sono. Completi.
E dopo questa riflessione:<< Hai ragione, Cabirio. E, se ho ben compreso,
presumo tu voglia allora sapere cosa si prova ad essere allenati con il nuovo metodo, giusto?>> E così mi risponde, con un’occhiata smaniosa e contenta:<
Adesso però si volta, e credo dopo aver lievemente tossito, continua con fare
scherzoso:<< Poiché siamo in tema di sensazioni, da ieri mi sorprende, ogni
tanto, qualche fastidioso colpo di tosse … Beh, si fa sentire l‘età!>> E ciò
detto, contemporaneamente i soldati finiscono di strigliare entrambi. Con mia
personale gaiezza, il signor maldestro se ne va. Portano Cabirio in
passeggiata, ed io rimango ad aspettare il mio cavaliere, che giunge con energico passo.
Finalmente si esce dalle scuderie, una passeggiata ci voleva proprio!
Oltrepassando il fiume ai confini della città, si vedono iniziare i campi
verdi, ma soprattutto già sento ronzarmi attorno quelle mosche, piccole
e seccanti. Provo a scacciarle: scuotendo la testa, agitando la coda; però
rinuncio all’impresa, anche perché il mio padrone frena i miei tentativi. Ormai
intuisco dove ci stiamo dirigendo, questi luoghi non mi sono nuovi. No, non mi
sono nuovi per niente! Credo che il cavaliere sul mio dorso stia avvertendo la
riluttanza che ho ad eseguire quello che lui è invece intenzionato a fare … Le
discese non mi piacciono affatto! L’unico esaltato per quest’attività è Ghiaia,
che naturalmente non evita di farmi notare che è il più coraggioso tra tutti
noi. Eppure c’è una nota positiva, vicino alla parete dove scivoliamo c’è un
buon prato, grande, l’erba lì ha un sapore dolce e l’odore è decisamente
invitante, tanto che mi sembra di sentirlo da qui. Saremo abbastanza vicini,
capto quell’ottimo odore come se l’erba fosse vicinissima. Riconosco l’odore di
bovini che pascolano, e di un particolare profumo che mi ha sempre attirato.
Anche il mio cavaliere ha un odore gradevole, è un sentore rassicurante.
Mi piace averlo attorno, dopo qualche tempo ho imparato a fidarmi di lui, conosco
il suo nome: Federico Caprilli. E con lui sono altrettanto affidabile.
Continuiamo per la strada che porta alla parete su cui scivoleremo, proseguiamo
tranquilli; è una giornata calda, mentre passiamo si sentono le lucertole
scappare sotto le foglie a terra e su per le rocce. Forse fa anche troppo
caldo, e ci sono sempre troppe mosche fastidiose. Mentre andiamo, il mio
padrone mi accarezza il collo, mi dice di non preoccuparmi della discesa, che
io sono coraggioso, ma non è che m’invogli molto. Potrebbe convincermi
diversamente, con qualche carota, od un pezzetto di pane. Male non farebbe!
Allora rompiamo al trotto, così per mettermi un po’ d’energia addosso; e
funziona! Mi sento vivace, mi vien voglia d’andare più forte, più veloce, e il
cavaliere mi incita, comincio a respirare aria fresca … Ma la vedo a terra,
quell’essere immobile, lungo, stretto: una serpe! Impenno, ho paura, quella mi
fissa, nitrisco, agito le zampe anteriori in aria, scalcio, quella non si
muove! Scalpito, continuo a nitrire, il mio padrone tira le briglie, cerca di
calmarmi, di farmi stare fermo, ma io giro su me stesso, sono terrorizzato,
agito la testa, batto le zampe sulla terra: continua a fissarmi! Una gambata
dal mio cavaliere mi sprona al galoppo, nello spavento parto, sono confuso, ma
sempre più distante da quell’essere terribile. È passata.
Arriviamo nel posto che chiamano Monbrone, dandomi gambe Caprilli mi fa
aumentare il passo, così mentre supero Ghiaia non evito neanche io di fargli
notare come il suo coraggio l’abbia abbandonato alla vista della serpe. E lui
fa una smorfia, evitando di rispondermi. Eccoci giunti, siamo saliti fino in
punta alla discesa. Caprilli mi esorta a discendere, ma dopo l’incontro di poco
fa, la cosa mi entusiasma ancora meno, anzi manifesto la mia totale
disapprovazione nitrendo, però questo non sembra fermarlo, quindi sposto in
avanti le zampe e frammenti di pietra rotolano giù “Dannazione! Perché non sono
rimasto con il mio vecchio padrone?”. Continuo la discesa con passo cauto e
lento, sentendomi tirare dal morso. “Il conte Emanuele Cacherano di Bricherasio
non mi avrebbe mai fatto fare simili cose, e intanto mi dava anche più da
mangiare!” Arrivo a terra contrariato, e terminiamo la prima discesa; dopo
molteplici altre, finalmente mi lascia brucare l’erba, in pace!
Gustandomi in tranquillità l’erba fresca, mi torna alla mente il cibo che mi
dava il mio vecchio padrone: molto più prelibato di quello che mi danno alle
scuderie. Eravamo soliti fare lunghe cavalcate, io e lui, a volte passeggiavamo
per ore lungo i prati e le boscaglie che costeggiano il fiume. Un giorno, in
particolare, mi ricordo fu la prima volta che attraversammo il fiume insieme;
eravamo diretti all’abitazione di un amico del mio padrone, un posto vicino a
quello dove ora mi trovo. Quel dì il mio cavaliere ed io trottavamo con aria di
magnificenza, lui m’incoraggiava all’imminente traversata del guado del fiume,
e giunti lì, andai avanti con passo sicuro, deciso … Ed inciampai,
inavvertitamente, su di un masso, scivolai sulle zampe davanti e caddi sul
fianco, mentre il mio padrone cercava di reggersi, mantenendosi in sella. Così
lui ne uscì senza addosso nemmeno una goccia d’acqua, ed io ero per metà
bagnato. Per fortuna riuscii ad alzarmi in fretta, e riprendemmo subito il
cammino; tentai, invano, di cercare d’asciugarmi rotolandomi per terra, ma
Emanuele mi sollecitò, rimproverandomi, ad andare avanti senza fare storie.
Dopo quella volta non inciampai più da nessun’altra parte. Quel giorno mi
sentii in colpa, ma fu una lezione che tutt’oggi non ho dimenticato, e mi fu
utile per ogni altra traversata. Sento ancora vividi gli odori di quei posti,
erano fragranze dolciastre di vigneti, di castagni, odori forti e intensi di
pini ed aceri, aciduli di alberi da frutta, il buon profumo dei fiori nei
prati, le morbide esalazioni amarognole e acerbe delle erbe tutt’attorno,
soprattutto del trifoglio. E l’odore umido dell’acqua, che esaltava tutti gli
altri, insieme alle ventate tiepide delle correnti estive.
Poi, ricordo ancora, arrivammo nei pressi della dimora; lì percepii odori di
altri cavalli, che allo stesso tempo mi incuriosivano e infastidivano. Quando
il mio padrone smontò, fui richiamato dal vedere una specie di piccolo, strano
essere, che avvicinandosi sembrava … un cavallo? Era tozzo, basso e
sproporzionato … sembrava un mostro. Cercai di parlargli, ma il suo nitrito era
semplicemente incomprensibile. Chissà cosa volle dirmi, perché anche lui provò
a parlarmi, ma neanche io riuscivo a capire i versi che faceva. Certo che un
cavallo del genere non l’avevo mai visto, e né lo vidi più, per fortuna. Non mi
capacitavo di come potesse muoversi e correre una bestia simile, era
morfologicamente e complessivamente inadatto, senza grazia né agilità.
Assolutamente diverso da me! E poi non era abbastanza forte, non era
bilanciato, non possedeva nemmeno un po’ d’andatura elegante. Ma da dove
spuntava fuori? Non seppi mai rispondermi. Comunque prese, ad un certo punto, a
prendermi a testate colpendo le ginocchia, dato che lì arrivava, e se già prima
non riuscivo a capirlo, adesso certo lo comprendevo ancora meno! Allora mi
scostai poco per volta, anche se l’animale era testardo e mi seguiva; cercai di
essere indifferente, però continuava a dar testate: non mi faceva male, ma
iniziava ad essere proprio noioso! E allora gli tirai un calcio che lo fece
volare qualche metro più in là. Come lui a me, non gli feci male, non ne avevo
l’intenzione … volevo liberarmi di lui! Vidi però venirci in contro Emanuele e
il suo amico il marchese san Germano di Campiglione, quest’ultimo si era fatto
un po’pallido dopo il mio gesto stizzoso, ed il mio padrone invece mi guardava
assai contrariato. Era la seconda volta in quel giorno. Controllarono il “mini-cavallo”, e ascoltandoli parlare sentii che lo chiamavano ‘pony’. Cos’era, una
specie nuova? Non lo seppi. Dopo aver constatato la sua salute, se ne tornarono
indietro, riprendendo tranquilli a chiacchierare.
A volte mi capita di ripensare al mio vecchio padrone; mi ero affezionato a
lui. Ed ora sono affezionato al cavaliere che è con me: sa come prendermi e ci
divertiamo.
Quest’erba è veramente buona. Ho percepito Federico arrivare, mi sta salendo
in groppa, e mi riporta sulla strada per cui siamo arrivati. Si torna indietro!
Più avanziamo nella via verso casa, più voglio andare veloce, inizio io ad
aumentare il passo, Federico allora capisce, mi dà pressione con le gambe,
prendiamo velocità: e siamo al galoppo! Corriamo, il Sole è alto verso ovest,
sento le zampe farsi più rapide, calde, mentre il cuore batte sempre più forte
e il respiro diviene ansante; avvertiamo di essere in simbiosi, enfatizzati
dalla spontaneità della corsa siamo un binomio perfetto. D’improvviso mi fermo,
mi stacco dagli altri cavalli, riconoscendo un profumo che la mattina mi aveva
attratto, così decido di seguirlo, e repentinamente avanzo verso il pascolo,
quando vedo finalmente apparire davanti a me una bellissima cavalla, bianca,
americana: un‘esalazione meravigliosa. Avvicinandomi, la osservo meglio ( il mio cavaliere mi lascia fare ) e noto che il manto grigio lucente è rivestito
da chiazze marroni, ha un profilo rettilineo, coda e criniera rade, collo lungo
e muscoloso, testa e orecchie piccole, fronte larga: occhi grandi, espressivi e
particolari. Occhi che ora mi guardano, spersi e poi profondi, a cui rispondo
con uno sguardo avvolgente, penetrante. Un’aria leggera le smuove lievemente i
crini. Istintivamente faccio mostra di me, sollevo il muso con tutto il collo
esibendone i muscoli, allargo le narici e tiro su la coda. Mi posiziono controvento in modo da farle arrivare il mio odore, e mi muovo con fare elegante,
mentre la osservo sinuosa, nella speranza che noti la bellezza di un cavallo
forte e di classe come me. Ma, inaspettatamente mi accorgo di strani suoni che
il mio padrone emette, perciò gli presto attenzione e … ride. Sghignazza
apertamente, senza pudore, come se avesse capito tutto; proprio lui mi
tocca sentire …! Intanto lei riprende a brucare l’erba, senza più degnarmi
di sguardi. Come è ingiusta la natura, lui con quelle gambette così corte e
quel busto lungo ne corteggia a bizzeffe, ed io con questo corpo perfetto
nemmeno una. Accidenti! Così riprovo ad attirare interesse su di me nitrendo,
inizialmente con insuccesso, ma in un secondo momento con buoni risultati.
Dondola il muso nella mia direzione, fa qualche passo, però è costretta a
fermarsi, poiché una corda, anche se lunga abbastanza, la tiene legata ad un
albero nelle vicinanze del pascolo. Intravedo seguitamente un uomo avvicinarsi
a lei, fa un cenno al mio padrone, prende il nodo della corda, lo scioglie,
prende lei dalle redini e monta in sella. Oh, se ne vanno. Li guardo andare via
portandosi presso il pascolo, e poi sparire dietro gli alberi, udendo solo più
il suono del suo passo, e sentendo quel profumo svanire lentamente …
Federico mi dà una pacca sul collo :<< E bravo Cromwell! Ci siamo innamorati
eh?!>> e gli rispondo << eh.. che vuoi? Non vedi che ho altro da fare?>> ma nel preciso momento in cui penso quelle parole
sento il morso tirato in bocca e il desiderio di Federico di ritornare a
Pinerolo, e rassegnato nitrisco al colpo di gambe, e ce ne andiamo,
raggiungendo gli altri. Il fatto positivo è che da questo momento in poi
troverò meno noiosa l’idea di venire fin a Mombrone per fare questi esercizi.
Ormai è da molte ore che stiamo camminando, e il dolce peso del mio cavaliere
inizia a farsi sentire. Proseguendo il cammino verso casa, Federico chiacchiera
un po’ con me:<< oh, sai che cos’è una donna, non c’è poi molto da
preoccuparsi, no? Se non è destino non la rivedrai, altrimenti, chissà …>> dal
suo tono mi sembra di capire che stia parlando dell’incontro di prima.
Immagino che si stia riferendo al mio comportamento inebetito quando se ne sono andati. Perché lui invece è tanto diverso? Quante volte l’avrò visto comportarsi così,
e anche peggio. Tante volte! Ma non è una questione di fondamentale importanza.
Più importante è non incontrare più serpi, sbarazzarsi delle mosche, tornare a
casa, e mangiare, soprattutto mangiare! Dunque è il momento di ripristinare la
cavalcata, pur essendo un po’ spossati, ci diamo da fare a mantenere un ritmo
vivace; ripassiamo il ponte dopo i campi, raggiungiamo la piazza dove è posto
un uomo di pietra e una fontana, ed attraversiamo l’acciottolato che dà sulle
scuderie. Sgrano gli occhi e rizzo le orecchie, quanta confusione! Cavalli ovunque! Ci imbattiamo in un gruppo di cavalli, procedono possenti, alti grossi e scuri, trainando una carrozza. Fiamminghi. Mi guardano come per dirmi “ scansati, non vedi che dobbiamo passare?”. M’incutono timore, sono davvero
massicci, anche più alti di me; ma in realtà mi lanciano un’occhiata d’intesa:
percepiscono la mia stanchezza, ora poi che il Sole è già a mezza via verso il
tramonto, e io ritorno da una lunga giornata di esercizi e cavalcate. Almeno io
vado a riposarmi, loro lavorano ancora, però vero è che sono più resistenti di
me. Sono da trasporto apposta non a caso. Ci facciamo da parte, li osservo
passare … sono però un po‘ insoliti di comprendonio, forse vanno più
lentamente. Io sono muscoloso, ma esile, la loro groppa invece è talmente larga
che potrebbero starci comodamente due cavalieri, e hanno delle zampe così
pelose. Dalle scuderie vedo uscire un’altra compagnia di cavalli, che cercano
di mostrarsi ai miei occhi con aria maestosa, ci sono anche dei puro sangue
inglesi, come me! questa sì che è una razza per eccellenza! In mezzo ci sono
anche degli arabi, devo ammettere che sono veloci, ma sono piccoli in confronto
a noi. Io sono baio, le zampe annerite in prossimità degli zoccoli,
un profilo rettilineo, con orecchie molto mobili e, sono un ottimo saltatore.
Allora proseguo fiero, passandogli davanti, ma le gambe sempre con più fatica
avanzano, e il Sole pian piano inizia a scomparire …
Arrivati alle scuderie Federico smonta e mi tolgono la sella, non posso
descrivere il sollievo che ne provo, dopo di che vengo lavato,controllato ed
abbeverato, e finalmente mangio! Ah com’è piacevole, che sensazione di
leggerezza! Ed ora che sono fresco, pulito e rifocillato, posso dedicarmi al
meritato riposo. Nella mia casetta sento già i muscoli rilassarsi, distendersi,
anche il labbro inizia a cadere penzolante e le palpebre sembrano essere
trascinate giù pesantemente dalle ciglia, il cuore batte lentamente, ma … c’è
qualcosa che non va. Avverto un brutto presentimento, come se qualcosa non
andasse come dovrebbe. Qualcuno non si sente bene. Percepisco vibrazioni di
debolezza, forse una temperatura più alta del normale, e provo a concentrare l’attenzione sui cavalli vicino e davanti a me , i cui istinti hanno fatto loro
sentire il mio stesso turbamento. Cerco di capire chi sia, ad un tratto odo
tossire da qualche casetta di fronte, più in là della mia. È Cabirio … si ne
sono certo!
Lo sento lamentarsi, devo chiamare qualcuno, devo fare presto, inizio a
nitrire ad agitarmi, un soldato arriva davanti al box, cerca di calmarmi, ma
non capisce … non mi sono mai sentito così impotente. E Cabirio sta
peggiorando, non riesco a fare niente. Decido di sbattere le zampe contro le
pareti del box, ma ottengo solo più attenzione verso di me, allora mi volto
nella la direzione di Cabirio e nitrisco verso di lui ripetutamente, ma niente
da fare. È la disperazione completa, ogni speranza sembra morire … invece no!
Sbuca dalla fessura tra le assi della parete Apache E posso così dirottare la
richiesta d’aiuto a lui. Apache mi comprende velocemente, anche lui dovrebbe
avvertire il malessere generale, e passando sotto la porticina va ad abbaiare
al soldato cercando di condurlo da Cabirio. Il soldato frastornato da tutta questa agitazione, sembra forse iniziare a sospettare qualcosa, magari sta capendo chi ha davvero bisogno d’aiuto. Apache lo tira per i pantaloni, continua ad abbaiare, abbaia davanti al box di Cabirio e poi torna da lui ad indicargli la direzione. Sì, finalmente va da Cabirio, lo guarda bene e poi lo sente tossire, così si precipita fuori dalla scuderia.
Adesso lo vedo rientrare assieme ad un uomo, egli osserva Cabirio, lo tocca
con strani arnesi mentre borbotta al soldato qualcosa, lo accarezza e
contemporaneamente gli infila una cosa affilata nelle vena del collo: non gli
starà facendo male, vero? Poi non sento più le deboli vibrazioni di Cabirio,
ora il presentimento non c’è più, nessuno è agitato, la tranquillità ritorna,
mentre il mio amico è addormentato. L’ultima sfida d’un’intensa giornata.
Rivolgo lo sguardo al mio fedele compagno: come farei senza il tuo aiuto. Mi
viene vicino scodinzolando e si accuccia accanto alle zampe anteriori, come è
solito fare, io chino il capo e sbuffo di un ultimo sfogo. Do ancora un’occhiata al mio piccolo amico dalla schiena curvilinea: non capiamo mai se ci parliamo, è tutta un’altra lingua, eppure ci basta percepire le emozioni dell’altro, non abbiamo bisogno d’altro per comunicare. È un cane buono, come lo chiamano, levriero, no? Ha degli occhietti molto teneri, non si può non esserne affezionati. Ora che lui è qui con me, posso addormentarmi, tranquillamente … serenamente … dolcemente … mi rilasso, le palpebre scivolano giù, si chiudono, e le mie zampe quietate ritornano a cavalcare nel verde, che mi porta odori inebrianti. Torno a respirare l’ebbrezza della libertà.
Cromwell è realmente esistito,
appartenuto al capitano di cavalleria
Federico Caprilli.
Oggi, imbalsamato, è esposto nel museo dell’arma di cavalleria di Pinerolo.
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