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Cultura  

Gianni Vattimo (1936-2023): filosofo e cattolico tormentato

Gianni Vattimo (1936-2023): filosofo e cattolico tormentato

A pochi giorni dalla morte Pier Giuseppe Accornero  traccia un ritratto di Gianni Vattimo, filosofo, docente e politico, e del suo tormentato rapporto con la fede cattolica.

 

Gianni Vattimo

 

Gianni Vattimo nasce a Torino il 4 gennaio 1936. Si laurea in Filosofia nel 1959 e si specializza a Heidelberg in Germania. Nel 1964 professore incaricato e nel 1969 ordinario di Estetica all’Università, nella quale è preside, negli anni Settanta, a Lettere e Filosofia. Dal 1982 è ordinario di Filosofia teoretica. Negli anni Cinquanta è dirigente della Gioventù di Azione Cattolica e – insieme a Furio Colombo e Umberto Eco, chiamati dall’amministratore delegato Filiberto Guala – lavora ai programmi culturali della Rai. Successivamente approda a un Cristianesimo «secolarizzato». Svolge attività politica in varie formazioni dal Partito radicale all’Italia dei valori, «rivendicando le mie origini comuniste». Muore all’ospedale di Rivoli il 19 settembre 2023.

 

Un’infanzia tra Torino e la Calabria

«Sono nato a Torino, in Via Germanasca, parrocchia San Bernardino» racconta Vattimo il 1° marzo 2008 a Vito Vita, autore del pregevole «Chiesa e mondo operaio. Torino 1943-48» (Effatà, 2003). La famiglia si rifugia al Sud per sfuggire i bombardamenti. Padre poliziotto calabrese, madre sarta: «Famiglia e formazione religiosa molto moderata: catechismo, chierichetto già in Calabria, la Cresima a Torino. La mia educazione religiosa vera cominciò a San Filippo nel 1946: nel cortile giocavo a pallone; abitavo in via Carlo Alberto di fronte a Palazzo Campana, dove studiai e divenni professore». Formazione soprattutto in oratorio: «Libretti di meditazione “L’amico Gesù”, Messa e Comunione tutte le mattine, visita al Santissimo tutti i pomeriggi. In parrocchia mi trovavano un piccolo genio religioso filosofico, mi mandavano dai direttori spirituali più rinomati, il canonico Attilio Vaudagnotti, considerato un grande maestro di spiritualità; poi mons. Pietro Caramello, professore in Seminario, “custode” della Sindone, grande studioso di San Tommaso», che lo stimola a impegnarsi nella Filosofia.

 

L’Azione Cattolica tra Gedda e Carretto

Al ginnasio-liceo «Gioberti», Vattimo diventa delegato diocesano studenti, un settore dell’Azione Cattolica di via Arcivescovado 12. «Sono gli anni della grande lotta» tra Luigi Gedda, presidente nazionale AC, e Carlo Carretto, presidente nazionale GIAC; sono gli anni dopo il 18 aprile 1948 con la vittoria della Democrazia cristiana sui comunisti, grazie ai Comitati civici, organizzati da Gedda su ordine di Pio XII: «Nel 1948 – ri corda il filosofo – avevo 10 anni e non sono andato a Roma con i 300 mila “baschi verdi” in piazza San Pietro da Pio XII». Ai due estremi ricorda «don Carlo Carlevaris, un nostro idolo che ogni tanto veniva a parlarci» e il gesuita Secondo Goria «che chiamavamo Goria Msi perché era di destra e al San Giuseppe parlava contro “La dolce vita” di Federico Fellini».

 

Con La Pira e Dossetti

Erano gli anni dell’apertura al centrosinistra: «Gedda propose l’”operazione Sturzo” e l’alleanza con il Movimento Sociale per impedire che il Comune di Roma cadesse in mano ai comunisti. Fortunatamente De Gasperi resistette. Gedda era fortemente di destra mentre Carretto era stato partigiano. Tra i due c’era grande diversità: Gedda era più amico dell’ordine sociale e della Dc più conservatrice; Carretto era più con la Dc di sinistra con Giorgio La Pira e Giuseppe Dossetti, che Gedda non poteva vedere. Noi eravamo con La Pira e Dossetti. Anche Amintore Fanfani all’inizio frequentava la sinistra». Erano gli anni dell’invasione sovietica in Ungheria. «Facevano il giornale “Quartodora”, che era come quarto d’ora d’intervallo, scritto senza fronzoli».

 

L’esperienza in RAI

Frattempo «i cattolici avevano invaso la Rai, grazie all’ingegnere Filiberto Guala, amministrare delegato, grande cattolico. Si è circondato di personaggi notevoli. Il suo vice, Pieremilio Gennarini, giornalista, molto credente e molto vivace, curava soprattutto noi giovani. Guala nell’autunno 1954 fece un concorso per giovani che si concluse con una dozzina di vincitori, tra cui io. Chi pensava allora di andare a lavorare alla Rai? Io ho fatto un servizio sui contrabbandieri di sigarette a Porta Palazzo, che non venne mai trasmesso. Facevamo una trasmissione settimanale per i giovani “Orizzonti”: io presentatore; Furio Colombo direttore; ci lavoravano Michele Straniero, Vincenzo Incisa, Paolo Siniscalco, Luciano Gallino. Andavamo in onda il pomeriggio alle 17, orario adatto ai ragazzi. È durato una stagione (aprile-luglio) ed è ripreso a settembre-novembre. Poi Guala è caduto in disgrazia ed è stato scalzato».

 

Una TV intelligente

Conferma Aldo Grasso, il maggiore esperto italiano di tivù: «Guala in televisione introduce il concetto di servizio pubblico: è convinto della superiorità delle idee sulle istituzioni e in nome di una salda matrice cattolica – ne fa fede la decisione di finire i suoi giorni in una trappa – usa la televisione per “migliorare” gli italiani. Vuole aprire la porta alla cultura e alla tradizione storica e culturale del cattolicesimo. Il momento emblematico di questa operazione è il reclutamento dei “corsari”, nel senso di partecipanti ai corsi di formazione. Da allora la RAI non ha mai più trovato il coraggio e la volontà politica di chiamare a raccolta le più giovani e brillanti intelligenze. Guala è punto di riferimento dei “corsari” Furio Colombo, Umberto Eco, Gianni Vattimo. Guala aveva in mente una tv che rispecchiasse la tradizione storica e culturale e quindi la ricca eredità cristiana. La televisione diventa il “motore della politica culturale dei cattolici”».

 

Alle manifestazioni contro la Prefettura e il Sudafrica

Ma «in Azione cattolica non ci stavo più, non ricordo bene come me ne sono andato; sono andato via anche dalla Rai» dice ancora Vattimo a Vita: «Tutto è finito quando si è saputo che portavo i ragazzi alle manifestazioni contro la Prefettura e contro le relazioni con il Sudafrica. Erano cose da niente, ma tutto insieme mi hanno mandato via. Allora mons. Caramello, preoccupato per me, mi ha trovato un posto di insegnante alle medie “Rosmini” dove non potevo fare danni, perché erano anni più tranquilli. Poi ho vinto la borsa di studio in Germania».

 

Il card. Fossati e il canonico Bosso

L’intervistatore gli chiede: «Il cardinal Fossati tollerava?» Fossati «tollerava tutto. Era un uomo austero ma buono, ci ha tirati fuori quando ci hanno arrestati tutti e ci hanno portato in Questura perché protestavamo contro la Riv. Telefonò e disse che eravamo tutti “bravi ragazzi dell’Azione Cattolica”, cosa non vera perché c’era un sacco di comunisti. Era uno che non aveva influenza ideologica, era un uomo di buona spiritualità però sembrava il ritratto della vecchiaia, stava in piedi per miracolo. Noi avevamo tutto un giro di vice-cardinali. Il gran capo dell’AC era il canonico Giovanni Battista Bosso, personaggio notevole, gran credente ma abbastanza “compromissore”: andava in Fiat e procurava i soldi per le nostre manifestazioni. Momenti duri sono stati con il governo Tambroni nel 1960». A Reggio Emilia le forze dell’ordine spararono e uccisero dei giovani comunisti. «Quando andavamo alle manifestazioni c’erano moltissimi della GIAC».

 

La vita cattolica mescolata con la problematica politica

Poi arrivarono Giovanni XXIII e il Concilio. «Sì, eravamo tutti entusiasti. Il Concilio è andato avanti ma molti di noi eravamo già un po’ fuori dalla vita ecclesiale. Giovanni XXIII muore nel 1963, e io ero un pezzo in Italia e un pezzo in Germania: vi andai nell’autunno 1962 e ci stetti un paio d’anni. Ad Heidelberg ho smesso di andare in chiesa: la mia vita cattolica era così intensamente mescolata con la problematica politica che quando non ho più avuto questo stimolo, mi allontanai tranquillamente dalla Chiesa. Cito sempre questo esempio: quando i ragazzi italiani vogliono fare un’esperienza mistica, dove vanno? In India, mica in chiesa, cioè il cattolicesimo italiano dì quegli anni era anche serio, ma socialpoliticizzato».

In una delle ultime interviste a «La Stampa» il 22 maggio 2021 il filosofo torinese confida: «A 85 anni ho più bisogno di Dio».

Pier Giuseppe Accornero

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