2 Febbraio 2015
Gianduja all’oratorio di Valdocco

2 febbraio 2015
Un sonetto in piemontese rivela un don Bosco poso conosciuto
Che don Bosco scrivesse molto è noto. Che si dilettasse anche di poesia e per di più in piemontese sarà per molti una sorpresa. Dal volume di Natale Cerrato “Car ij mè fieuj – Il dialetto piemontese nella vita e negli scritti di Don Bosco” abbiamo estrapolato un testo dal sapore decosamente carnevalesco.
Giandoja e sò codin
Mentre i tornava da la Tesorera, 45
Ciapand la stra ch’a men-a al Valentin,
Ëm sento për daré na man grossera,
Ch’ëm ciapa për la giaca, e am dis : « E bin?
Com a va-la, car amis, a l’elo vèra
Ch’it veule ancora adess porté ’l codin?
Lo sas-to nen ch’a son andàit për tèra,
e ch’as na vëd pì nen an tut Turin? »
O brut faseul! Franch un faseul da mnesta!
I son-ne nen padron ëd fé com i veuj?
Fòra dla libertà, pì gnente am resta.
I soma indipendent, lìberi; e peui,
chi l’ha ’l codin l’é segn ch’a l’ha la testa
e le teste a son ràire al di d’ancheuj.
******
Mentre tornavo dalla Tesoriera,
prendendo la strada che conduce al Valentino,
mi sento dietro una mano grossolana,
che mi piglia per la giacca e mi dice: “Ebbene?
Come la va, caro amico? È proprio vero
che vuoi ancora oggi portare il codino?
Non sai tu che son andati in disuso
e che non se ne vede più in tutta Torino?”
O brutto fagiolo [sciocco], proprio un fagiolo da minestra!
Non son forse padrone di fare come voglio?
Fuori della libertà, più nulla ci resta.
Siamo indipendenti, liberi; e poi,
chi ha il codino è segno che ha la testa,
e le teste sono rare al giorno d’oggi.
«La prima comparsa a Valdocco della Maschera di Calianetto – scrive Cerrato nella stessa opera – risale agli anni 1849-1851. Erano quelli i tempi in cui il teatrino di G.B. Sales e del suo socio Gioacchin Bellone operava in via S. Francesco d’Assisi, a pochi passi dal Convitto Ecclesiastico dove Don Bosco aveva dato inizio al suo Oratorio. In quegli anni, mentre Don Bosco attendeva alle confessioni nella piccola cappella della Casa Pinardi, l’intraprendente Carlo Tomatis, colla sua approvazione, anzi dietro suo consiglio, intratteneva i compagni con spettacoli improvvisati. Destreggiandosi con due fazzoletti annodati a foggia di burattini, improvvisava delle parlate brillanti, provocando le chiassose risate del giovane uditorio. Ben presto però ci volle qualcosa di meglio, ed il Tomatis comprò una testa di Gianduia e ne fece un burattino. Abile com’era, non ebbe difficoltà ad imitare i buffi movimenti e a lanciare i tipici frizzi della maschera piemontese. L’iniziativa ebbe tale successo che il Marchese Fassati, che aveva personalmente assistito ai suoi trattenimenti, pensò di regalare all’Oratorio un completo teatrino di marionette. Così se gli spettacoli del Tomatis non eguagliavano quelli di Via San Francesco, riuscirono tuttavia ad intrattenere allegramente i giovani dell’Oratorio, finché questi non si improvvisarono alla loro volta attori ed artisti».
LASCIA UN COMMENTO
Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. Visualizza l'informativa privacy. I campi obbligatori sono contrassegnati *