23 Gennaio 2023
Don Giovanni Barra, un pinerolese Venerabile

Pier Giuseppe Accornero ripercorre la vita e l’opera di don Giovanni Barra, prete pinerolese tra i sei nuovi Venerabili di cui Papa Francesco ha autorizzato i decreti per il riconoscimento delle virtù eroiche il 19 gennaio 2023.

C’è il pinerolese don Giovanni Barra tra i sei nuovi venerabili. Il 19 gennaio 2023 Papa Francesco ha autorizzato i decreti per il riconoscimento delle virtù eroiche di 3 sacerdoti:
- lo spagnolo Miguel Costa y Llobera
gli italiani
- Gaetano Francesco Mauro e
- Giovanni Barra)
- la suora spagnola Vicente López de Uralde Lazcano
- la suora italiana Maria Margherita Diomira del Verbo incarnato (Maria Allegri)
- la laica italiana Bertilla Antoniazzi
***
Vide lontano e giusto il cardinale arcivescovo di Torino Michele Pellegrino in San Lorenzo nella Messa di trigesima nel febbraio 1975: «Ho questa certezza: un giorno la Chiesa confermerà la santità di don Giovanni Barra». Tra i concelebranti don Pier Giorgio Debernardi, rettore del Seminario di Ivrea. Divenuto vescovo di Pinerolo, il 5 giugno 2005 apre il processo canonico di don Barra, prete felice.
ANTICIPA IL CONCILIO VATICANO II
Nasce il 14 gennaio 1914, penultimo di undici figli, a Riva di Pinerolo da famiglia contadina. Dopo il Seminario, il 29 giugno 1937 è ordinato sacerdote: insegna lettere in Seminario e religione nella scuola media. Assistente di Azione Cattolica e dell’oratorio San Domenico; fonda la Federazione universitaria cattolica (Fuci) e presiede la Conferenza di San Vincenzo; predica ai giovani e alla «Peregrinatio Mariae» (1949); tiene conferenze in tutta Italia. Nel 1946 apre «Casa Alpina» a Soucheres Basses di Pragelato: vi trascorre i mesi estivi ospitando giovani, famiglie, gruppi; assistente dei Laureati cattolici e dei Maestri cattolici, costruisce la nuova parrocchia Madonna di Fatima.
COLLABORATORE DE «IL NOSTRO TEMPO»
Intrattiene rapporti e corrispondenza con le voci più vive della cultura, non solo credenti, e con alcuni «apostoli» del ventesimo secolo; ama i preti operai e ne diffonde pensiero e testimonianza. Nel 1946 propugna e scrive su «il nostro tempo», settimanale culturale di Torino fondato e diretto dall’amico e coetaneo mons. Carlo Chiavazza; scrive su «Adesso» di don Primo Mazzolari. Numerosissime le pubblicazioni e le traduzioni: libri di preghiere e meditazione, testimonianze di vita, convertiti e mistici, problematiche giovanili, figure di preti. Presenta un Cristianesimo di gioia, avventura, novità di vita, scelta eroica.
UN PRETE FELICE
TURBATO DALLA CONTESTAZIONE che invelenisce la Chiesa e la società, vive di preghiera, obbedienza, dedizione a Dio e alle persone. La mistica della Croce lo accompagna negli ultimi anni: sente in modo straziante la rinuncia al ministero di alcuni preti. Nel 1969, su proposta di Pellegrino, i vescovi del Piemonte lo nominano rettore del Seminario delle vocazioni adulte, affiancato dal fossanese don Cesare Falletti, poi monaco cistercense, e dal torinese don Giuseppe Anfossi, poi vescovo di Aosta. Muore a 61 anni il 28 gennaio 1975. I funerali nel Duomo di Torino sono presieduti da Pellegrino. Il suo animo trabocca di nobili pensieri: «Il giorno della prima Messa un missionario mi disse: “Cercati un cortile e un confessionale”. Ho cercato il cortile e le associazioni giovanili; ho messo su una casa in montagna per stare con i giovani; ai giovani ho scritto migliaia di lettere; per i giovani ho scritto i libri; i giovani non mi hanno deluso mai; i giovani hanno salvato il mio sacerdozio». «Tornavo da una missione dove per otto giorni avevo fatto cinque prediche e confessato tre o quattro ore. Mi pareva di aver fatto qualcosa… ma di fronte a quell’operaio che si alza alle 5 e torna a casa dopo altre due ore di treno, mi ha invaso una paurosa vergogna: ho una casa per me, uno studio per me. Non sono povero». «Se guardo al passato sento in me un’ondata di gioia e di riconoscenza salirmi dal cuore. Sono veramente un prete felice del mio sacerdozio».
LETTERA APERTA DI PELLEGRINO
Un anno dopo la morte, Pellegrino gli rivolge una lettera aperta: «Ci siamo scritti più volte quando eri in vita. Tredici anni fa ti indirizzai una lettera aperta. Ma ora che sei morto, so che non mi risponderai. Venni a cercarti nel piccolo cimitero della tua Riva, dietro quella lastra con la qualifica “sacerdote di Cristo”. Desidero dirti semplicemente grazie! Te lo dissi molte volte, per quanto facevi con tanta saggezza e amore per i giovani, in particolare per gli alunni del Seminario vocazioni adulte. Ti ringraziavo quando mi facevi dono dei volumi che sfornavi a getto continuo e grazie per il libro “Maria degli Angeli”, donna che prolunga l’epopea di santità che fa della diocesi di San Massimo una città posta sul monte. Ti ringrazio per aver messo l’accento – l’ha rilevato bene il tuo e mio amico don Vittorio Morero – sulla preghiera e sulla contemplazione, di cui è stata e maestra e modello. Anche don Giuseppe Ghiberti l’ha sottolineato.
BISOGNO DI SILENZIO E CONTEMPLAZIONE
«TI SCRIVO IL GIORNO DI PENTECOSTE mentre sono in viaggio per Vigevano a commemorare il primo secolo di vita del monastero delle Sacramentine, sciamate cent’anni fa da Torino. Oggi più di ieri abbiamo bisogno di silenzio e contemplazione per aprirci – come Maria, gli apostoli e i primi credenti – all’invasione dello Spirito che illumina e infiamma, fortifica e rende testimoni di Cristo con la parola e la vita. Ti dispenso dal rispondermi, caro don Barra. Dopo aver scritto tanto mentre eri sulla terra, ora che ci hai lasciato (perché così presto?) hai diritto di riposarti. La risposta me la farai a voce: non c’è da aspettare a lungo».
Pier Giuseppe Accornero
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