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Da Pinerolo una storia di accoglienza e integrazione

Da Pinerolo una storia di accoglienza e integrazione

Mamadou Alpha Diallo, 23 anni, della Guinea. Mamadou Sissoko, 24 anni, del Mali. Sono i rifugiati attualmente ospitati in un alloggio a Pinerolo (in via Fer, 7), a spese di due comunità parrocchiali. L’accoglienza è temporanea: sei mesi, ritenuti sufficienti affinché i due giovani possano trovare un’occupazione stabile, che consenta loro di rendersi autonomi dal punto di vista economico e sociale. Ma andiamo con ordine. Dallo scorso mese di giugno, due parrocchie di Pinerolo – San Leonardo Murialdo e Cuore Immacolato di Maria – stanno portando avanti un’iniziativa denominata “Un rifugiato a casa nostra”. Il progetto è proposto, spiegano gli organizzatori «a persone che godono lo status di rifugiato ed hanno già avviato un processo di inserimento sociale e lavorativo. Abbiamo lavorato su tre fronti concreti: trovare un alloggio da affittare; reperire una disponibilità economica di circa mille euro per sei mesi (per un totale di seimila euro); ottenere la disponibilità di alcune persone per l’accompagnamento degli immigrati (interventi funzionali al loro inserimento all’interno del tessuto sociale locale)». Lo scopo dell’ospitalità «è quello di accompagnare i beneficiari verso un’autonomia lavorativa ed abitativa. In questi mesi i due ospiti stanno svolgendo attività di lavoro, di tirocinio e di formazione. Abbiamo costituito un gruppetto operativo che segue nel dettaglio i vari aspetti. Le due comunità hanno risposto generosamente all’invito a sostenere economicamente l’iniziativa: al momento c’è un fondo che copre ampiamente le esigenze. Periodicamente ci incontriamo per verificare e monitorare l’iniziativa. È importante ringraziare quanti ci hanno sostenuto con l’attenzione e la vicinanza. Ed anche chi ha dato il proprio contributo economico e chi vorrà ancora farlo per i prossimi mesi».

Le storie
Mamadou Alpha Diallo è in Italia dal luglio 2014: «Inizialmente fui accolto dalla Diaconia Valdese per due anni a Pomaretto, poi mi sono messo in regola con i documenti di soggiorno. Sto frequentando un corso di formazione lavoro (cucina) a Pinerolo presso il CFIQ. Sono stati proprio i valdesi a mettermi in contatto con i responsabili del progetto “Un rifugiato a casa nostra”. Il lavoro? Sto facendo un tirocinio a Pinerolo, presso il laboratorio della pasticceria Castino. Ma non so ancora se mi terranno… E questo mi preoccupa parecchio. Infatti, il nostro impegno è quello di lasciare l’alloggio entro il 9 febbraio: ma, dopo quella data, avremo trovato una nuova casa? Non è affatto facile…».
Mamadou Sissoko, invece, è arrivato nel nostro Paese tre anni fa: «Attualmente – afferma – sto lavorando part-time a Luserna San Giovanni e terminando un corso di cucina a Pinerolo, presso il CFIQ. Il sostegno da parte delle parrocchie del Murialdo e di San Lazzaro è stato molto importante per me, ci tengo davvero a ringraziare tutti coloro che hanno collaborato, sia con offerte in denaro, sia con la prestazione di servizi. Ma se guardo al futuro non posso non essere preoccupato: il mio lavoro è temporaneo e provvisorio… Durerà? Per questo spero di cuore che venga accolta la mia richiesta di prolungare il tempo di permanenza nell’alloggio…».

Le prospettive
I referenti del progetto di entrambe le comunità parrocchiali si ritengono soddisfatti in merito alla riuscita del cammino intrapreso ma non nascondono alcune difficoltà oggettive: «Finora economicamente non ci sono stati problemi: si sono raccolte anche le risorse per affrontare i prossimi due o tre mesi, che saranno però anche quelli più dispendiosi, sia per il periodo invernale, in cui le spese dell’alloggio sono più cospicue, sia per le spese che saranno necessarie per il completamento del progetto stesso, che avrà come scadenza la prima decade di febbraio. Il problema lavorativo dei due giovani sarà quello che condizionerà tutto il proseguimento dell’iniziativa: fino a quando non avranno un’autonomia economica e lavorativa certa difficilmente saranno in grado di camminare con le proprie gambe. Nello stesso tempo vorremmo che, alla scadenza del periodo previsto, essi si attivassero per trovare una nuova sistemazione abitativa, magari con altri migranti con cui poter condividere le spese. Attualmente i lavori precari o di formazione che stanno svolgendo non offrono un futuro certo di reddito che possa garantire un’indipendenza economica. Da parte nostra c’è la volontà di non abbandonarli al loro destino una volta arrivati alla scadenza del periodo, se non vedremo la loro sistemazione sufficientemente delineata. Nello stesso tempo dovremo fare tutto il possibile affinché prendano una strada autonoma. Tutto questo richiederà comunque, per chi si è preso l’impegno di aiutarli, uno sforzo economico ulteriore e, soprattutto, una ricerca sia per quanto riguarda l’aspetto abitativo, trovando un altro alloggio in Pinerolo per cui poter stipulare un contratto a loro nome (magari con una nostra garanzia economica e di immagine verso il proprietario), sia nel cercare altre prospettive di lavoro. Per il momento abbiamo deciso di prenderci due impegni: continuare, nelle due parrocchie, le raccolte mensili di fondi, per garantire una continuità per il futuro; incrementare gli incontri tra noi e con i due migranti per delineare meglio la strada da percorrere insieme».

Da casa mia a casa nostra

Ma qual è stata la genesi di questa iniziativa solidale? Tutto è nato nell’ambito della parrocchia San Leonardo Murialdo, come ci illustra il parroco, Franco Pairona: «Nel mese di settembre 2015 la nostra comunità fu particolarmente colpita dall’appello alla solidarietà di papa Francesco a meno di due settimane dall’apertura del Giubileo della Misericordia, e dal progetto di accoglienza e integrazione “Rifugiato a casa mia”, lanciato da Caritas Italiana. Da qui, la decisione di operare concretamente, cambiando però il nome all’iniziativa: “casa nostra”, per indicare la condivisione dell’accoglienza (economicamente ingestibile per una sola famiglia) e l’apporto dell’intera comunità parrocchiale, ciascuno per la sua parte».
Quali sono finora i punti forti e quali i problemi che sono emersi da questo progetto? «Sicuramente uno dei punti positivi è rappresentato dal generoso e costante sostegno economico da parte dei parrocchiani, oltre che dal loro apporto volontario, in termini di tempo e servizi. Un problema è però il rapporto umano degli stessi parrocchiani con i due africani e con gli immigrati in genere: una sorta di “blocco” relazionale, che ha le sue radici nelle significative differenze reciproche, in termini soprattutto di età e di fede religiosa».

Vincenzo Parisi

rifugiati

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