25 Ottobre 2020
#covid19. I sindaci delle valli scrivono a Conte e dicono No a misure uguali per casi diversi
Non tardano ad arrivare le prime reazioni al nuovo DPCM firmato nella mattina del 25 ottobre dal Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. È Marco Ventre, primo cittadino di Villar Perosa e presidente dell’Unione dei comuni ad esprimere le sue perplessità in una lettera indirizzata a Conte e al presidente regionale Alberto Cirio, anche a nome degli altri sindaci del territorio: Roberto Rostagno, Laura Zoggia, Andrea Garrone, Renzo Costantin, Luciano Bounous, Nadia Brunetto, Danilo Breusa, Laura Richaud, Andrea Domard, Ezio Sanmartino, Willy Micol, Rino Tron e Michel Bouquet.
A destare la preoccupazione dei sindaci è l’impatto su un territorio già vittima di una profonda crisi economica su cui i provvedimenti “di chiusura dei bar e in generale della ristorazione dopo le 18, quella delle palestre e piscine nonché dei cinema/teatri” che rischiano di dare “un ulteriore colpo ad un’economia che stava ripartendo tra mille difficoltà ed incertezze, distruggendo oltremodo intere categorie senza alcun vantaggio per le nostre comunità”. Molte delle attività “in questi mesi spesso hanno usato le ultime risorse per adeguare i propri locali alle normative di riferimento acquistando il necessario materiale e limitando il numero di clienti e/o coperti nel rispetto del necessario distanziamento sociale e riaprendo in sicurezza” e davanti a questi sforzi “le immagini di Cervinia o gli assembramenti della movida delle grandi Città non fanno altro che alimentare una rabbia sempre più diffusa per uno Stato che alla fine colpisce tutti in modo indiscriminato, anche e soprattutto chi, comprendendo la gravità del contesto, ha adottato tutte le cautele del caso”, senza intensificare i controlli e senza aver affrontato “prima e meglio questioni come quello del trasporto pubblico e scolastico che rappresentano sì uno dei veri vettori di contatto e di distribuzione del virus”. Nella lettera non manca un riferimento all’organizzazione sanitaria: “è evidente che in questi mesi la necessaria riorganizzazione soprattutto a livello territoriale non ha avuto quella priorità ed incisività che avrebbe dovuto ma è stata oggetto di ritardi, incertezze e inutili contrapposizioni tra Stato e Regioni”.
I sindaci contestano inoltre l’adozione indiscriminata di misure: “non si può sempre e comunque generalizzare ed applicare le medesime soluzioni e restrizioni su tutto il territorio (nel merito noi Sindaci non possiamo non condividere invece l’opinione di parte del CTS che parla espressamente dell’eventuale adozione di lockdown mirati ai singoli territori). Nel caso di specie le nostre comunità si sono dimostrate da subito particolarmente attente al rispetto delle nuove e necessarie prescrizioni e/o cautele (dato confermato dall’attuale numero di positivi molto limitato): decidere di chiudere queste attività significa di fatto ammettere di non sapere controllare”. Una chiusura della stazione sciistica di Prali, ad esempio, che si è dotata “di ogni misura per garantire il necessario distanziamento sociale tra i fruitori degli stessi impianti vuole dire colpire direttamente ed indirettamente tutta la Val Germanasca con un impatto occupazionale drammaticamente importante”.
L’allarme di Ventre riguarda anche le difficoltà di tenuta sociale per scongiurare le quali occorrerebbe coinvolgere direttamente i sindaci: “ogni giorno si moltiplicano i segnali negativi di una difficile e precaria tenuta sociale, una guerra dei poveri e tra i poveri che alla lunga non può reggere ed un numero sempre maggiore di nuclei familiari che non arrivano ad avere le risorse per chiudere non solo il mese ma addirittura la terza settimana”.
La lettera si chiude con alcune proposte compensative a favore delle categorie più penalizzate dalle chiusure per evitare di far morire una serie di attività: “il Governo adotti nell’immediato importanti misure di ristoro: nel merito pensiamo a misure concrete e non palliativi che come il rinvio delle imposizioni fiscali non fanno altro che posticipare i problemi e creare accumuli da cui nessuna attività ne uscirà viva” perché è necessario “garantire e preservare la salute pubblica e quella di ogni singolo cittadino italiano, ma questa esigenza deve conciliare o comunque non compromettere l’economia, già oltremodo colpita, dei nostri territori”.
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