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Pinerolo. La Giustizia vista da Ennio Tomaselli

Pinerolo. La Giustizia vista da Ennio Tomaselli

Un’intervista all’ex magistrato Ennio Tomaselli sviluppa i temi della Giustizia al di là di idee e preconcetti per ricondurla al giudizio e alla ragionevolezza.

Spesso ci si domanda che cosa sia la giustizia e, soprattutto, se essa esista realmente. Quando ci si pone di fronte a questi interrogativi, si viene travolti dalla serie di idee e preconcetti, di frasi fatte e di altrettante concezioni stereotipate che solitamente ottenebrano il nostro giudizio critico e la nostra ragionevolezza. Che cos’è “giusto”? Nonostante sia stato stabilito giusto, si può definire tale un qualsiasi atto che danneggia in qualche modo l’altro? Si può estrapolare la sua contemporanea definizione “evil twin” (a livello figurato, descrive qualcosa che è una versione negativa o comunque contraria a se stessa e che può provocare conseguenze dannose) per riqualificarlo in senso oggettivo e positivo? Questo è il viaggio nel quale ci accompagna l’ex-magistrato Tomaselli nel suo ultimo libro “Uno come tanti”.

  • Nonostante “Uno come tanti” sia un romanzo, quali vicende umane reali richiama e perché?

La vicenda principale riguarda Fabrizio, un giovane di oggi, aspirante magistrato, sotto i cui piedi si apre improvvisamente il baratro di una storia “sbagliata”, quella di un padre che magistrato lo era stato, ma poi, per ragioni oscure, aveva lasciato la magistratura ed era scomparso. Muovendo dal dato di realtà che il decennio tra la fine degli anni Settanta e quella degli anni Ottanta del Novecento fu detto delle “tre emergenze” (terrorismo, criminalità organizzata, corruzione), vi ho collocato il periodo del servizio in magistratura del padre. Mi interessava, in questo modo, rappresentare le reazioni, i dubbi e le scelte di un giovane rispetto alle ombre, e comunque alla complessità, di quel periodo storico, che nel contempo riemerge anche attraverso la visuale del padre, che l’aveva attraversato. A romanzo ormai scritto, ho appreso del libro “La difficile giustizia” di un altro ex magistrato torinese, Mario Vaudano, e adesso inizio a leggere “Crimini inconfessabili” di Giuliano Turone, ex magistrato milanese. Si tratta di libri diversi dal mio, che è un romanzo, ma forse non è casuale la comune attenzione a un periodo cruciale della storia italiana in cui si colloca anche la vicenda dell’assassinio, nel 1983, del Procuratore della Repubblica di Torino Bruno Caccia. Vicenda, accennata nel romanzo, di cui si parla tuttora con l’intento di aprire nuovi squarci di verità.

  • Che cosa ha voluto rappresentare dell’essere umano nel suo romanzo?

Direi diverse cose, in rapporto alla varietà delle situazioni (nel tempo e anche nello spazio, visto che la vicenda si svolge in parte in Piemonte e in parte in Calabria) e alla molteplicità dei personaggi ulteriori rispetto ai protagonisti. Fra di esse, in particolare, il fatto che vi sono persone rigide, attestate su posizioni giudicanti e squalificanti, spesso legate a ruoli di potere, che talvolta non è più attuale ma è comunque rimasto nella forma mentis; e persone che, pur tra debolezze ed errori, sono comunque capaci di compiere scelte anche scomode e attuare percorsi di cambiamento e riparazione.

  • Il titolo, “Uno come tanti”, richiama alla mente le tematiche dell’individualità e dell’unicità, ma anche quelle inerenti alla piccolezza e, in un certo senso, alla normalità e alla mediocrità. Qual è il motivo di questa scelta?

La risposta non è semplice perché l’espressione uno come tanti non è solo il titolo del libro ma ricorre in alcuni punti del romanzo, riferita a persone diverse e usata in sensi anche diversi. Fondamentalmente, comunque, riguarda persone di cui si parla ˗ o che parlano di se stesse ˗ in rapporto alle loro scelte. Si può essere uno come tanti nel bene e nel male. Taluni, impossibilitati ad essere “normali”, accettano la sfida “uscendo dal gruppo” o cercando di entrarvi a seconda della posta, in definitiva valoriale, in gioco. Talvolta dico che “Uno come tanti” è essenzialmente una storia di resistenza civile, di scelte difficili e di ideale passaggio del testimone sul piano generazionale. Uno come tanti è anche ciascuno di noi, chiamato a decidere se arrendersi o meno a ciò che viene dato per scontato ma può essere frutto di arbitri, errori, ingiustizie. Una resistenza civile a cui, oggi come ieri, non ci si può sottrarre.

  • Quali sono i temi più importanti riscontrabili nel romanzo e perché li ha inseriti?

Un tema cruciale è quello del rapporto fra presente e passato. Da un lato, vi è l’atteggiamento dei giovani rispetto a un passato complesso, non ben conosciuto, spesso rimosso, ma che può tornare in altre forme. Dall’altro, la tormentata vicenda del genitore scomparso ˗ non si sa se in fuga e da cosa ˗, che fornisce lo spunto per coinvolgere nella narrazione una generazione che è sopravvissuta ma su cui gravano pesanti incognite, a partire dalla possibilità o meno di essere credibile, condizione essenziale perché l’incontro fra generazioni non si risolva solo in uno scontro. Il romanzo viaggia su un solco, uno strappo doloroso, fra di esse. Connesso a tutto ciò è il tema della riparazione, che avevo affrontato in termini diversi nei miei precedenti romanzi, centrati su tematiche minorili, connesse con la società e la storia di questo Paese, e che in quest’ultimo libro riguardano le possibilità e i costi della ricucitura di quello strappo, ricucitura evocata dall’immagine di copertina. D’altronde, poiché Fabrizio, è impegnato nelle prove d’esame per l’accesso alla magistratura, un altro tema che si pone è quello delle sfide a cui è, e sarà, chiamata la “giovane magistratura”. All’inizio del romanzo, inevitabilmente, Fabrizio ha ancora una visione un po’ astratta della giustizia, ma cercando la verità sul padre, e proprio grazie a tale ricerca, acquisirà una coscienza sempre più profonda del significato effettivo della giustizia e della sua complessità. E non sarà il solo, perché si affiancano via via a lui altri/altre (i personaggi femminili non mancano e hanno ruoli rilevanti).

  • In che modo la solitudine e l’incomprensione possono essere la base, il fondamento dell’escalation criminale in una società?

Sono due situazioni che creano frustrazione e generano tensioni che, se non prevenute, si accumulano senza scaricarsi in modo fisiologico, diventando sempre meno fronteggiabili e gestibili. Questo tema non è trattato specificamente in “Uno come tanti”, ma vi è comunque un personaggio importante che, rinchiuso nella propria solitudine, è incapace di elaborare le frustrazioni e intossicato dalla sete di vendetta. Ma vi è anche chi ha compreso fin troppo bene come tenersi a galla nell’illegalità, di ieri e di oggi, e agisce di conseguenza sul piano della criminalità.

  • Nel suo libro emerge molto chiaramente un preciso interrogativo sulla complessità della giustizia e della legalità. Fino a che punto si può parlare di giustizia in una società sempre più proiettata a dinamiche ad personam e di “bene comune”?

Giustizia e bene comune sono valori sempre in tensione e a rischio di scadere, rispettivamente, nell’ingiustizia e nel menefreghismo per tutto ciò che esula dalla propria sfera privata. Ma la battaglia intorno ad essi, che in Italia hanno un preciso ancoraggio nella Costituzione Repubblicana, va combattuta quotidianamente e su molti fronti, coinvolgendo tutti, non solo i tecnici, gli “addetti ai lavori” dell’ambito giudiziario-forense. Il romanzo è dedicato non a caso “ai giovani innamorati della giustizia” e in esso giustizia e legalità sono richiamate non in astratto o con discorsi edificanti, ma attraverso le storie di personaggi – di fantasia, collocati però in contesti realistici – che sono tutt’altro che perfetti ma comunque “se la giocano” nella convinzione di essere anche loro della partita. Appunto perché legalità e illegalità, giustizia e ingiustizia ricadono su tutti noi e tutti riguardano.

  • In quanto autore e in quanto ex-magistrato, che cosa spererebbe che il lettore acquisisse dalla lettura del suo romanzo?

Trattandosi, appunto, di un romanzo, anzitutto le emozioni, le suggestioni e le immagini che lo popolano e lo percorrono non a senso unico perché, anche se “Uno come tanti” ha una connotazione fondamentalmente drammatica, non mancano ad esempio spazi dedicati alla natura (i mari, i monti e i venti della Calabria percorsa, in autunno e inverno, da Fabrizio alla ricerca del padre) o squarci di punti anche molto diversi di Torino: il Po, la precollina, quartieri periferici e difficili, perfino un cimitero cittadino… E, poi, la percezione di quanto la giustizia non sia una cosa astratta o comunque lontana, poiché riguarda, direttamente o indirettamente, tutti noi ed ha a che fare con i territori e la storia, non solo quella giudiziaria. Infine, la condivisione con l’autore della speranza, al di là di complessità e problematicità, di sbocchi percorribili in positivo soprattutto su basi di consapevolezza, chiarezza e onestà.

Ennio Tomaselli

Ennio Tomaselli, nato a Borgo San Lorenzo, nel fiorentino, vive a Torino dagli anni Cinquanta. È stato giudice e pubblico ministero a Torino dal 1978 al 2014, in particolare in ambito minorile; oggi, collabora con alcune riviste del settore. Per Franco Angeli ha pubblicato il saggio “Giustizia e ingiustizia minorile. Tra profonde certezze e ragionevoli dubbi”.  I suoi tre precedenti romanzi – “Messa alla prova”, “Un anno strano” e “Fronte Sud” – hanno per protagonista il magistrato minorile Salvatore Malavoglia e sono pubblicati dalla casa editrice Manni. Ha presentato il libro a Pinerolo, il 21 novembre, nel Festival “Pinerolo Poesia”, organizzato dalla Biblioteca Alliaudi di Pinerolo.

Per ogni ulteriori informazioni è visionabile il sito internet www.enniotomaselli.it , dove è indicato l’indirizzo e-mail utile per dialogare con l’autore.

Erica Gavazzi

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