Skip to Main Content

Città  

C'era una volta il merlettificio Turk...

C'era una volta il merlettificio Turk...

Il grande organismo del Follone, pienamente settecentesco (ma di origine ancora più antica), da tempo è abbandonato e in rovina, tra la risoluzione di demolizione o di recupero rivitalizzante. L’incendio di domenica 13 ottobre 2013 l’ha ulteriormente danneggiato. Ma non è solo un ingombro. La struttura riveste (o è il caso di dire “rivestiva”) un importanza storico architettonica di tutto rispetto.

La storia di un edificio

Come spesso succede nella vita, la gente comune (e più povera: quella che fa nascere le idee dalle esigenze reali) ha trovato la soluzione: trasformare in abitazione il vecchio Merlettificio Turck a Pinerolo.

Certamente questa è una risoluzione di ripiego, presa dalle fasce di popolazione emarginate che hanno necessità immediata di un riparo non avendo altro rimedio a disposizione, e soprattutto adattandosi anche a stare in condizioni abusive e precarie (perché le strutture della costruzione versano in gravi condizioni fatiscenti, e possono diventare pericolose per cedimenti e crolli improvvisi), suscitata certamente dalla disperazione, ma che inizia a costituire una indicazione precisa di operatività.

Da troppo tempo lasciato all’incuria e all’abbandono, questo organismo che è stato il vanto produttivo e architettonico dell’attività industriale pinerolese da quando è stato edificato tra il 1764 ed il 1765 (ma con una iniziale ingrandimento con un primo corpo edilizio nel 1755), opportunamente ristrutturato potrebbe costituire un eccellente luogo di attrazione urbana, nella sua ripristinata esteriorità ed anche nell’uso complessivo, integrato e polifunzionale.

Adesso invece lo si coglie dalla strada su cui è esposto come una sterminata parete che si svolge lunga e monotona – con tutte le vetrate sfondate e gli interni martoriati – sul vecchio Rio Moirano (l’antico canale molinaro, che serviva a muovere le pale delle macchine industriali).

L’edificio fu progettato dal più importante (secondo soltanto, per fama – ma non per capacità – a Bernardo Vittone) architetto della zona (e non solo: ma anche agrimensore, topografo regionale, urbanista del territorio, e costruttore civile sabuado) Giuseppe Gerolamo Buniva (figlio dell’altrettanto importante medico locale Michele).

Il recente Piano Regolatore di Pinerolo (disegnato dall’Architetto Ezio Bardini di Asti nel 2010, con il controllo, per le condizioni idrauliche dei Geologi torinesi Teresio Barbero e Nicola Quaranta) ha stabilito il nuovo assetto urbanistico della città e le relative destinazioni (o piuttosto destini) d’uso delle aree costruttive e degli edifici esistenti (antichi o vecchi).

E tra le costruzioni del passato di una certa (che io direi elevata) rilevanza storica che sono state considerate, viene giustamente compreso il mastodontico Edificio Turck, per il quale è assegnata una ambivalente possibilità di risoluzione, in sospeso tra suo ripristino (e conseguente riuso) e il proprio inesorabile abbattimento eliminatorio per sostituirlo con un edificio nuovo.

Prima di entrare in considerazioni di giudizio operativo – o di proposizione soltanto progettuale – su quale scelta sarebbe più opportuna, devo anticipare una necessaria premessa di principio, concettual-esecutiva, indispensabile per capire il seguito delle mie osservazioni e deduzioni.

Sono completamente favorevole ad una architettura odierna e di caratterizzazione attuale ma, come storico, non posso sottrarmi alla considerazione della importanza degli esempi vitali del passato, e quindi astenermi dal sostenere la conservazione degli esemplari più tipici del patrimonio edilizio rimasto. 

In origine il Merlettificio (il nome Turck – che si scrive così e non con le storpiature linguistiche e dialettali di Turk senza o con la dieresi sulla u e senza la c – gli è stato dato nel 1877, quando l’opificio venne rilevato e diretto dal proprietario Ugo Turck) era un Lanificio, chiamato Follone (perché utilizzava macchinari – denominati appunto folloni – “per eseguire la follatura dei tessuti di lana”) ed impiegava diversi paratori, ovvero telai per la tessitura lanaria. Nel tempo, la sua iniziale attività cambiò, adattandosi ad altre produzioni.

Oltre alla sua notevole storia secolare, l’interesse precipuo di carattere edilizio che fa del vecchio edificio una costruzione architettonicamente importante consiste nel sistema strutturale del proprio impianto murario, attuato con pareti laterali di mattoni rinforzate da catene metalliche tiranti, dal carattere autoportante: un mirabile sistema statico per lasciare completamente liberi gli interni (in modo da agevolmente collocare gli ingombranti e pesanti macchinari produttivi) mai utilizzato in precedenza su questa grandezza dimensionale, e perfino anticipatore dei primi spazi tecnici di fabbrica applicati un cinquantennio dopo in Inghilterra dai primi costruttori di opifici per l’industria; e che precedono, sebbene di non molto, anche gli iniziali impianti strutturali manufatturieri di Samuel Wyatt sperimentati dal 1766 e brevettati nel 1800, nonché il primo stabilimento totalmente in ghisa di James Watt eseguito con Matthew Boulton per le Industrie Twist a Salford presso Manchester nel 1800-1801, su progetto del 1799.

Gli ambienti interni del Follone sono semplicemente composti (come nei coevi stabilimenti inglesi, e poi di tutto il mondo industrializzato dell’Ottocento) su una distribuzione spaziale puntiforme di pilastrini in ghisa per reggere il peso dei tetti, che riduce al minimo la fastidiosa presenza antica di colonne e pilastri murari o di pietra, concessa appunto dalla funzione portante dei muri perimetrali.

Tutte motivazioni sufficienti, al di là di una concreta necessità odierna di ripristino fruitivo più adatto alle condizioni contemporanee d’uso, per cercare di salvare questo vetusto e glorioso complesso edilizio, che pure nella sua modestia architettonica esteriore (e invece per la insolita valenza strutturale nascosta all’interno) attesta la secolare vicenda del Turck, nella sua presenza fisica e storica, in una propria antichità che di solito tali edifici industriali non mostrano così tanto retrodatata, essendo essi per la maggior parte di epoca ottocentesca (o immediatamente successiva), e per la quale vale dunque la pena – direi si è obbligati – a confermare nella propria identità e autenticità, e possibilità di continuazione nelle condizioni materiali che ci sono pervenute, secondo un’altra e nuova definizione e utilizzazione corrispondente alle esigenze attuali.

La sua spazialità, e la stessa astratta ed ampia compagine muraria libera e disponibile, insieme alla collaterale area retrostante a verde completamente nascosta ed anch’essa in abbandono dove pascolavano le pecore da tosare per la produzione laniera, può suggerire diverse soluzioni di nuova destinazione, privata e pubblica, a carattere variamente misto: su cui potranno, e dovranno, debitamente impegnarsi – e con grande opportunità propositiva – i progettisti incaricati, in una risoluzione meritoria ed esaltante.

Corrado Gavinelli

Foto Walter Molinero
Quel che resta dell’ex merlettificio, dopo l’incendio di domenica 13 ottobre 2013 – Foto Walter Molinero

Qualche data…
Lascio la storia alle parole di Marco Calliero – storico di vicende locali antiche – che ne ha fornito un eccellente riassunto in una inedita ricerca del 2010 (nella cui sequenza cronologica ho interposto – tra parentesi quadre – alcune precisazioni tratte dagli storici pinerolesi Teresio Rolando del 1985, Ugo Marino del 1963 e 1966, e Giueseppe Croset-Mouchet del 1854).

«Lo stabilimento attualmente conosciuto come Merlettificio Turck situato lungo il Moyrano parallelamente all’ultimo tratto di Corso Piave, in origine appariva come un edificio ben più piccolo nel quale era installato il “Paratorio di Mezzo del Comune”.

L’archivio Comunale conserva al riguardo una notevole quantità di documenti, compresi un quattrocentesco “atto di ricostruzione” e alcuni progetti settecenteschi degli ampliamenti tuttora esistenti.

In estrema sintesi: nasce attorno al 1353 [viene costruito dal Comune come “paratore di panni”; e avvia un percorso produttivo intensificato della produzione della lana (1395-98)]; ristrutturato nel 1440; chiamato “paratore nuovo del Comune per pannilana” tra il ‘500-‘600; [trascurato, per l’abbandono della produzione tessile, e progressivo suo decadimento a causa dell’eccesso di tassazioni comunali, che causano l’emigrazione dei Lanaioli pinerolesi a Lione (1551); indicato poi come “edifizio con salto d’acqua” (1604-14); e riportato in piena attività con la ripresa dell’industria lanario-tessile agevolata dal Comune (1647)]; costruito come “follone” per “fabbrica di calzetti”, attiguo all’antico paratore (1723) [con la conduzione dell’impresario Mallevolti per forniture al locale Reggimento di Cavalleria (1724); passaggio ai Fratelli Bassecourt che fabbricano “panni e ratine” (1726); rinnovamento del Follone da parte del Messer Tempia con “dieci telai e tre file di folloni” (1733); passaggio ai “soci Rignon e Arduin”, e destinato alla fabbricazione di stoffe e di filati di lana (1740), che attuano “notevoli ampliamenti del follone” (1755)]; ampliato [ulteriormente, come si vede adesso, sempre ad opera di Rignon-Arduin] con progetto di Gerolamo Buniva (1764-65); aggiunta del reparto filatura di lana Arduin (1822); [trasformato a totale produzione per filatura di lana dai “signori Brun” con attiguo allevamento di pecore merinos per ottenere direttamente la materia prima di lavorazione (1836); definitivamente chiuso (1858); ripresa della attività con “L’Ing. Ugo Turk” che “introduce la ditta Abb-Henkels per la produzione di merletti e pizzi a macchina” (1877)]; tra il 1881 e il 1887 il Comune vende lo stabilimento ai signori Perrot ed Henkels; quindi si sdoppia anche la tipologia produttiva: Fabbrica di Merletti e Pizzi Turck per conto Henkels [cui il Comune concede (1884), e poi vende (1887), una parte dello stabilimento]; dal 1945 al 1946 requisito un reparto dalla Microtecnica di Torino il merlettificio è ancora attivo nel 1949. Tintoria Perrot poi Fabbrica di Coperte (comperata dal Comune nel 1881).

La tintoria viene ceduta a Martoglio (1900); Merlo acquista i macchinari e nel 1914 li trasporta nella ex Polveriera, ossia il setificio Cassinis, restituendo i locali all’attività dei Turck.

Attivo fino alla prima metà del Novecento, il Merlettificio venne progressivamente smantellato, e alla fine tristemente utilizzato solo più come autorimessa, e al presente è in stato di abbandono. Negli anni Settanta tutta l’area è stata acquistata dalla società Moirano, intenzionata a riqualificarne i siti.

Si tratta in realtà dell’ennesima operazione di speculazione edilizia, che prevede la demolizione completa o parziale delle preesistenze (non si capisce ancora bene come, vista la notevole quantità di aggiornamenti al progetto), con costruzione di condomìni che arriverebbero fino al torrente Lemina, alti dai cinque ai sette piani».

 

 

LASCIA UN COMMENTO  

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. Visualizza l'informativa privacy. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *