8 Aprile 2013
Augusto Cantamessa e l’arte di fermare il tempo

Nell’ambito delle manifestazioni per i 150 anni del Liceo “G. F. Porporato” è stata allestita una mostra fotografica con le opere di Augusto Cantamessa, un “Viaggio evocativo tra i libri della biblioteca e gli strumenti di fisica”.
Cantamessa vive a Bricherasio ma i suoi scatti trasportano oltre lo spazio e il tempo.
Di lui tre cose colpiscono: la meraviglia, quell’aristotelico senso di stupore di fronte alle cose e capacità di lasciarsi sorprendere, che dovrebbe guidare sempre la ricerca dell’uomo; l’umiltà nel raccontare il suo straordinario percorso e la capacità di saper cambiare, anche se costa fatica, quando si riconoscono delle novità buone.
Che cosa troveremo alla mostra?

esposte alla mostra del Porporato
Ho scelto di fotografare la biblioteca e l’aspetto museale delle apparecchiature scientifiche. Ho cercato di non realizzare un catalogo di libri, ma di entrare nella loro “anima”. Ogni volume contiene tante tracce, ricordi, un passato: ho cercato di raccontarli.
Quando ha fatto la prima foto?
68 anni fa ai Murazzi a Torino, a quella che poi è diventata mia moglie.
Ha fatto studi particolari o si è fatto guidare dalla passione?
La passione c’era già prima. È nata dalla meraviglia per questo mondo magico, dall’impressione di poter fermare il tempo schiacciando un bottone. Ancora oggi mi meraviglio quando sento la musica che esce dalla radio, senza cavi. Poi ho letto delle cose, ma non esistevano i workshop come oggi. È stata esperienza sul campo, poi cresciuta con il mio crescere. Le foto sono cambiate nel tempo, con me. E poi c’erano delle alchimie nello sviluppo delle foto, una fatica anche… era una bella impresa.
E il suo rapporto con il digitale?
Decisamente ottimo. Digitale e tradizionale sono strade diverse per arrivare allo stesso punto, non devono necessariamente andare d’accordo. La gente si scaglia contro Photoshop che altera le fotografie. È vero. Ma a me piace far notare che nei decenni passati in ogni momento c’era un’innovazione che facilitava la fotografia. Se proviamo a elencare le innovazioni degli ultimi cinquant’anni scopriamo che sono innumerevoli e nessuno se n’è mai scandalizzato, trovando normale ciò che ora, con il digitale, è più facile da realizzare. Un altro discorso è quello di chi ne fa un uso spropositato per far dimagrire, lisciare pelli, eliminare imperfezioni… ma non bisogna ascoltare questa minoranza.
Qual è il suo soggetto preferito?
Il ritratto, in senso assoluto.
Che cos’è che rende unica una fotografia?
Bello e brutto sono due parole che non dicono niente, le usiamo perché non ne abbiamo altre, ma non vanno bene. Direi piuttosto in sintonia o non in sintonia con chi guarda, che colpisce e crea emozioni o che lascia indifferenti. Bisogna che la foto faccia vibrare le corde interne.
La più bella foto che ha fatto?
La farò domani. Ma se dovessi andare da solo su Marte o su un’isola deserta porterei mia moglie.
La fotografia non è stata il lavoro della sua vita. Quanto è stato difficile coniugare passione e professione?
Avevo un lavoro molto impegnativo, per una media di 12-13 ore al giorno, che a volte voleva dire anche 16, compreso il sabato e saltuariamente il mattino della domenica. Tuttavia trovavo comunque il tempo per fare foto. Non riuscivo ad avere il tempo per gestirle: le mettevo in un cassetto, poi quando non ci stavano più le mettevo per terra. Spesso ne buttavo via, mia moglie se riusciva le recuperava. Solo da quando sono in pensione ho più tempo, peccato che arrivi tardi: dovrebbero applicarla a 35 anni!
Perché ha scelto di utilizzare soprattutto il bianco e nero?
Sono nato in bianco e nero, vedo in bianco e nero, sogno in bianco e nero. La foto a colori la trasformo automaticamente in bianco e nero già nel mio cervello. Ho affrontato i colori gioco forza: i bambini che disegnano, gli affreschi, non possono essere rappresentati in bianco e nero. Inoltre, se non ha aree da percorrere, situazioni aspre, dure, il bianco e nero non funziona.
Che cosa consiglia ad un giovane che vuole avvicinarsi a questa arte?
Di munirsi di una macchina fotografica con l’essenziale per essere tale, non una scatola di sardine, per intenderci, ma soprattutto di fornirsi di un enorme cestino della spazzatura per buttare via tanta roba. Tutt’oggi faccio così.
Silvia Aimar
La mostra, inaugurata sabato 6 aprile, nell’Aula magna del Liceo Porporato, resterà aperta al pubblico fino al 20 aprile nei seguenti orari:
- Sabato 6 dalle 11 alle 13;
- Mercoledì 10 e mercoledì 17 dalle 15 alle 17,
- Sabato 20 dalle 9 alle 13.
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