7 Febbraio 2014
Stefania Belmondo: «Vi racconto il "mio" sport»
http://www.youtube.com/watch?v=rZbCuiODu9I
Stefania Belmondo non ha certo bisogno di presentazioni. Abbiamo incontrato la sciatrice piemontese, pluricampionessa con 10 medaglie olimpiche e tredici iridate, per parlare della sua carriera e la sua esperienza ai giochi olimpici. Ci ha raccontato anche qualche aneddoto curioso, come una medaglia consegnata da un corriere con due anni di ritardo…
Ci racconti un po’ di te e delle tue esperienze sportive e umane nella tua carriera, nello specifico dei giochi olimpici?
Io credo che per un atleta partecipare all’olimpiade sia qualcosa di veramente speciale. Io ne ho vissute 5, e ognuna è stata bella per qualcosa di diverso. Non soltanto per le medaglie, ma anche per la conoscenza di alcune persone, alcuni posti e alcune vicende particolari.
Devo dire che sono stata una “privilegiata”, intendendo privilegiati coloro che possono fare uno sport a livello olimpico, perché lo sport è uno stile di vita, un insegnamento. Ti insegna delle regole, ti insegna a stare con gli altri, oltre ad imparare a vincere ma anche a perdere, ad accettare le sconfitte e ripartire.
Il sacrificio, la volontà, la voglia di rimetterti in gioco. Ecco, lo sport è tutto questo: un grande stile di vita.
Questa è la terza edizione che vivrai da spettatrice. Ti mancano un po’ le emozioni della gara?
Sì, assolutamente. Io sono convinta che ognuno di noi nasce con la voglia o meno di fare dell’agonismo, di misurarsi con gli altri. Ma sopratutto di misurarsi con se stessi.
La gara mi manca veramente, il sentire dentro di te la fatica, sentire che non ce la fai più ma dire “Dai, devo ancora dare quel poco per riuscire a tagliare il traguardo”… Mi manca veramente tanto.
Ci racconti un aneddoto che ti è rimasto particolarmente impresso nella memoria di una delle esperienze che hai vissuto?
Tra le più belle ricordo Alberville perché nel 1992, a soli 23 anni, all’ultima gara, la 30 chilometri, mi ricordo che avevo iniziato con un quinto posto, poi un quarto, un secondo, e un terzo. E poi c’era la 30 chilometri; mi sono alzata la mattina e avevo salutato i miei genitori e gli avevo detto “Non so come andrà oggi”, ero un po’ tesa.
Però poi, ricordo benissimo che avevo guardato le montagne e poi in gara avevo alzato solo un attimo lo sguardo e detto una preghiera, chiedendo di sostenermi per andare avanti come stavo facendo. Da quel momento ho recuperato, perché avevo solo più 7” sulla seconda, poi alla fine ho vinto con 20”.
Quindi quella di Alberville è la più bella in assoluto o ce n’è un’altra a cui sei particolarmente legata?
La 15 chilometri di Salt Lake City, perché avevo perso una finale mondiale per pochi millimetri e mi era rimasto l’amaro in bocca. E li ho chiuso gli occhi e ho detto “Non posso perdere questa volta!”, è stata una vittoria personale ma anche una vittoria contro il doping perché l’atleta che è arrivata dopo di me l’hanno trovata positiva qualche giorno dopo.
Questo significa che se veramente una cosa la vuoi, ci credi, ti sacrifichi e ti impegni, neanche il doping può passarti davanti.
Invece ai giochi di Lillehammer vivesti un’edizione sfortunata e anche molto dolorosa, però colorata da due bronzi che avevano dei riflessi dorati. Cosa ricordi di quell’esperienza?
Ricordo il freddo che faceva, questo problema al piede, poi anche moralmente ero un po’ giù… Insomma, non l’avevo vissuta come invece di dovrebbe vivere un’olimpiade come quella di Lillehammer, con tanta gente e un ambiente magnifico. Erano state un po’ sofferte.
La sofferenza per alcuni atleti è un freno ai sogni. Per Stefania, invece?
Beh, era una spinta a ricominciare, un modo per dire “Va bene questa volta non ce l’ho fatta, però non posso mollare, devo dimostrare a me stessa che se ce la metto tutta, se ho un po’ di fortuna, posso farcela”.
Ho sempre creduto molto nella preghiera, che negli allenamenti in Svezia, Norvegia e Finlandia, quando passavo ore e ore di allenamento passavo tanto tempo a pregare.
Un altro particolare è che rompesti addirittura un bastoncino, sembrava proprio sfortunata in tutto, non solo per la volata persa precedentemente. In quel caso, la fede di ha aiutata? Ti sei rimboccata le maniche e si è visto, ma c’era qualcos’altro che spingeva?
Sì. Appena ho rotto il bastoncino urlavo come una matta, mi sono messa anche a piangere, dicendo “Basta, è finita!”. Contavo molto su quella gara, veramente ci speravo molto. Non mi ero mai ritirata in nessuna gara, dentro alla mia testa c’è sempre stato questo obiettivo di non ritirarmi; piuttosto arrivare ultima.
Allora mi sono detta “Già che sei qua, datti una mossa no? Almeno non potrai mai dire di non averci provato” e sono partita, ho visto le altre che erano lontane, dovevo recuperare, ho cambiato altre due volte il bastoncino…. Però alla fine è stata forse la spinta per provarci.
Una tua ex compagna diceva che ha imparato due cose dalla fede. Che al signore bisogna chiedere senza tanti giri di parole perché tanto lui sa di cosa abbiamo bisogno e che una volta ottenuto quello che si è chiesto bisogna dimostrarsene degni con il proprio comportamento. Per te è la stessa cosa?
Io non ho mai chiesto niente sinceramente, la mia idea è quella di pregare indifferentemente se hai bisogno o se va tutto bene. È quello che dico sempre anche ai miei bambini: non bisogna sempre solo chiedere “Signore aiutami, signore fammi, signore dammi”.
Bisogna anche ringraziare: “Signore, grazie per quello che ho, grazie per quello che mi hai dato, grazie perché sono fortunato”. È ovvio che il comportamento, il rispetto, fanno parte di una vita di impegno.
Riassumendo: la fede è un traino, una spinta o una compagna di viaggio?
L’ultima, sicuramente. Io ho avuto la grande fortuna di avere una famiglia fantastica alle spalle; un papà e una mamma magnifici. Mio padre, prima di partire per i raduni, mi ricordava sempre di pregare: “Ricordati che anche quando le cose vanno bene bisogna pregare”.
Torino 2006 non ti vide protagonista in pista, però ti vide protagonista quando le olimpiadi venissero assegnate. Per te è stato come vincere un altro oro?
Tanti mi hanno chiesto se accendere il braciere, piuttosto che avere ottenuto come Italia la candidatura fosse stato come vincere una medaglia olimpica… Le medaglie olimpiche sono una cosa che ti sei conquistata sul campo con tanta fatica e sacrificio. Il fatto di accendere il braciere è stato un “premio” per una carriera.
A Torino 2006 sono andata come commentatrice, però i miei figli erano piccoli e l’idea di sacrificare troppo la famiglia per una cosa che comunque avevo già ottenuto non lo ritenevo così importante.
I miei due figli, Mathias e Lorenzo, hanno solo due mesi di differenza, Mathias aveva solo venti mesi ma parlava già bene. Mi ha detto “Mamma, non andare più a sciare, stai qui con noi”.
E a sentire quello ho deciso che non potevo stare via da loro così tanto tempo.
Secondo te la scommessa dei giochi è stata vinta?
Sono stati dei giochi fantastici, molto ben organizzati, sicuramente Pragelato piuttosto che gli altri paesi della Val Chisone e della Val di Susa, ma anche Torino stessa, hanno ottenuto molto dal punto di vista turistico.
Nel post olimpico, per quanto riguarda gli impianti, sicuramente si poteva fare meglio.
Tornando indietro nella tua carriera faresti delle scelte differenti?
No assolutamente, farei tutto quello che ho fatto perché alla fine sono contenta, forse avrei vinto di più se certe cose fossero andate diversamente, però bisogna anche accontentarsi.
Lo sport italiano è in fase “stagnante”, sta praticamente sparendo dalle scuole e anche i media non stanno aiutando nell’educazione a certe discipline che vengono erroneamente definite “minori”. La scelta di educare i figli ricade completamente sui genitori. Quale fu la tua esperienza quando ti avvicinasti allo sport e com’è invece oggi?
Io ho iniziato grazie a mio papà che aveva costruito un paio di sci di legno e calpestavo la neve davanti a casa mia a Ponte Bernardo, dove vivevo da piccola. Poi, grazie alla scuola elementare di allora che aveva organizzato dei corsi di sci, ho continuato. In effetti, è stata la scuola ad avermi “indirizzato”.
Credo che sia un gravissimo errore per la nostra società in generale, non far fare 2/4 ore di sport specifico a scuola, perché lo sport è anche un modo per stare bene e mantenere la mente e il fisico allenati.
Avendo girato tanto, ho visto che nei paesi nordici, ma anche solo in America, fanno molto più sport. Deve esserci un’educazione allo sport, nelle scuole dovrebbe essere una materia tra le più importanti.
Perché se stai bene fisicamente, poi stai bene in tutti i sensi.
In alcuni sport, sappiamo che molti scelgono la “via più facile” per vincere. Durante la tua attività olimpica con avversarie che a posteriori si sono rivelate non proprio pulite. Con tutte le volte che sei arrivata seconda o terza anche solo in Coppa del Mondo o ai mondiali. Direi che la cosa fa riflettere…
Io su questo argomento mi irrigidisco sempre. Nel momento in cui tolgono qualcosa ad un altro mi danno fastidio certi comportamenti. Sono assolutamente contraria a qualsiasi forma di doping e di aiuto che non sia il tuo personale o il grande allenamento.
Io sarei per la linea dura, quando un atleta viene trovato positivo può continuare a fare dello sport ma non a livello agonistico.
Perché non è giusto dare la possibilità due, tre o quattro volte. Dispiace, ma uno che si dopa lo sa a cosa va incontro; innanzitutto sono convinta che il doping faccia male al fisico, perché comunque vengono introdotte delle sostanze in un fisico sano; e sopratutto vincendo una gara da dopato togli spazio agli altri, togli felicità, notorietà, la gioia del podio…
Una delle mie medaglie olimpiche, quella di bronzo di Salt Lake City, mi è arrivata tramite un corriere due anni dopo. E questo è molto triste, anche perché ti lascia un amaro in bocca.
Abbiamo parlato di valori. Ci fai un podio ideale di tre valori che non dovrebbero mai mancare ai ragazzi?
Rispetto, volontà e sacrificio. Sul primo gradino metterei il rispetto, perché ho sempre pensato che non è che basta una medaglia olimpica o altre vittorie per considerarsi superiore a qualcun altro: siamo tutti uguali. Poi c’è chi è stato più fortunato e chi meno, c’è chi ce la mette tutta ma non riesce ad arrivare dove arriva un altro… e quindi penso che se c’è il rispetto alla fine si va avanti.
Qual è il futuro di Stefania Belmondo?
Attualmente lavoro al comando provinciale di Cuneo nel corpo forestale dello stato. Nel futuro mi piacerebbe tornare a commentare le gare di sci, e magari allenare una squadretta di ragazzi.
Mosca-Gentile
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