4 Maggio 2018
Torre Pellice. La figlia di Ezio Loik ricorda Sauro Tomà, il calciatore del Grande Torino sopravvissuto a Superga e morto lo scorso 10 aprile
Doveva essere anch’egli, come riserva, tra i giocatori del Grande Torino che morirono a Superga nel tragico incidente aereo del 4 maggio 1949, in cui, di ritorno da una amichevole col Benfica a Lisbona, perirono tutti i passeggeri (piloti, giocatori, personale tecnico sportivo, giornalisti, e dirigenti al seguito) che erano saliti su quel velivolo.
E avrebbe così dovuto morire anch’egli insieme ai suoi compagni di squadra e di amicizia solidale.
Invece il destino ha voluto che si salvasse, all’ultimo momento. Non poté, infatti, partire per quella trasferta, a causa del riacutizzarsi di un serio dolore al menisco di un ginocchio che gli era capitato mesi prima, costringendolo ad una forzata lontananza dai campi di gioco.
E quel fastidioso dolore, non del tutto assorbito e passato, lo rendeva inabile ancora, anche soltanto per fare la riserva (e poi lo costrinse presto al ritiro dal calcio pochi anni più tardi, soltanto trentenne, nel 1955).
E così Sauro Tomà rinunciò a salire sull’aereo del Torino per il Portogallo, e si salvò.
Questa fortuita fatalità tuttavia, lo toccò molto nei propri sentimenti, rammaricandolo per tutto il resto della sua vita non soltanto per avere perso i suoi amici e colleghi che aveva visto partire e non più tornare, ma anche in quanto – sebbene non ne avesse alcuna colpa – sentiva il rimorso di essere scampato alla sciagura a discapito di chi non era sopravvissuto.
La carriera sportiva
A causa della solidissima compagine dei titolari del Grande Torino, Tomà subì (quasi) sempre la sorte di doversi adattare al ruolo di riserva a disposizione, stando spesso in panchina nella possibile attesa di una eventuale sostituzione.
Tuttavia ebbe l’opportunità di giocare, nella posizione di terzino sinistro, in prima squadra per diverse partite nelle due stagioni del 1947-48 e 1948-49, con prestazioni decisamente valide (tanto che in quegli anni la sua squadra vinse lo scudetto), mostrando a tutti il suo valore atletico ed agonistico.
Di lui è rimasto leggendario il famoso rinvio acrobatico effettuato a mezz’aria nel 1948 durante la partita Genoa-Torino: la cui prodezza spettacolare lo fece paragonare alla notissima rovesciata dello juventino Carlo Parola (che fu però compiuta dopo, nel 1950), la cui immagine è stata poi utilizzata per anni – e tuttora – per la copertina degli album delle indimenticabili figurine dei calciatori prodotte dalla Panini.
Un gesto atletico che pochi hanno eseguito con altrettanta maestria, e che lo accomuna anche alle simili imprese recenti di Zlatan Ibrahimovic e (soltanto di poche settimane fa) di Cristiano Ronaldo.
La foto di quel suo potente rinvio difensivo, è stata usata come emblema della capacità atletica del giocatore dall’editore Graphot, che nel 1988 ha pubblicato la autobiografia calcistico-personale di Tomà, intitolata “Vecchio Cuore Granata”.
Il mio ricordo personale
Sauro Tomà è scomparso lo scorso 10 aprile. Con lui, al di là delle sue imprese calcistiche, ho vissuto una amicizia particolare. Era un uomo gentile, schivo, e per nulla vanitoso: in quella forma distinta ed educata di un tempo, che era caratteristica dei veri signori di allora, soprattutto in Piemonte, e nella borghese Torino.
In particolare, possiedo di Tomà una delle sue ultime lettere ufficiali, che mi ha scritto nel 1999, per ringraziarmi di un articolo che avevo scritto (ricorrendo il Cinquantesimo anniversario dell’incidente di Superga) sulla rivista “L’Intermezzo” della Università Statale di Milano, quando – essendo ricercatrice al Politecnico milanese – collaboravo saltuariamente con altri atenei universitari: «Carissima Mirella – mi scrisse – ho ricevuto l’interessante periodico “L’Intermezzo”. Per il suo contenuto conserverò il tuo articolo tra le cose a me più care e lo porrò, insieme a tutte quelle pubblicazioni uscite per i 50 anni della scomparsa del Grande Torino, nell’angolo preferito del mio salotto». Una accorata dimostrazione di considerazione e affetto che Sauro rivolgeva anche alle cose della sua passata storia sportiva: in particolare al Vecchio Stadio Filadelfia, allora abbandonato, distrutto, e in rovina. Nella stessa lettera egli porge uno sconsolato commento sul “vetusto Filadelfia”, cui «Con tristezza il nostro sguardo va […] alla precaria recinzione di vecchi e quasi irriconoscibili mattoni» e, dentro, al misero «ex prato dove si svolgevano le partite» divenuto «un ammasso di alte piante secche dove è pericoloso camminare».
Davanti a quello Stadio egli passava spesso: «Quasi tutti i giorni, la telefonata di mia figlia Danila ci induce a recarci alla Scuola di Via Montevideo […], a ricuperare la nostra seconda nipotina Aurora che frequenta la IV elementare».
Ma al Fila Sauro Tomà si è recato per tutta la vita, anche soltanto da spettatore dopo avere smesso la professione calcistica, per seguire quella sua passione verso la propria squadra preferita, da campione e da tifoso.
E di lui infine, mi fa piacere ricordare anche un ultimo piccolo, ma significativo, episodio famigliare riferito a mio zio Ervino Loik, fratello di mio padre Ezio (mezzala destra del Grande Torino deceduto a Superga), che con Sauro a volte si incontrava davanti al chiosco dell’edicola dei giornali nel quartiere dove i due abitavano, e che il giocatore granata aveva acquistato dopo il suo ritiro dalle gare.
Tutti luoghi adesso scomparsi, e fatti trascorsi nella dimenticanza generale; che però, fortunatamente, tengo ancora nella mia memoria, tra i ricordi migliori delle mie esperienze umane.
Mirella Loik
* Mirella Loik, figlia di Ezio, oggi vive a Torre Pellice con il marito Corrado Gavinelli. Nella foto con Sauro Tomà.
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