19 Febbraio 2014
Incontro con Marco Galfione, atleta degli Arcieri del Chisone
Palestra delle Scuole Medie di Abbadia, una sera di gennaio, mentre fuori piove. Una serie di sibili e poi colpi secchi su paglioni su cui sono fissati bersagli multicolori, bianco, nero, blu, rosso e giallo nel centro.
Un fila di persone, dai piccoli ai giovani, uomini e donne. Una sola passione: il tiro con l’arco, il più antico degli sport moderni. Gli Arcieri del Chisone. Compagnia nata quarant’anni fa – 1974 – che da Porte scende a Pinerolo, zona San Lazzaro e passa poi ad Abbadia.
Oggi troviamo nella palestra una ventina di persone. E una sequenza di gesti ripetitivi eseguiti con un’estrema concentrazione sotto l’occhio vigile di Enzo Prina, uno dei fondatori che, oggi pensionato, segue e consiglia nell’arte del tiro.
Specialità arco Olimpico – quello delle Olimpiadi, dell’oro a squadre di Londra 2012 – oggi utilizzato per il tiro indoor sui 18 mt.
Anche Marco Galfione, arciere nella Compagnia pinerolese dal 2007, è sulla linea di tiro. Per lui incoccare la freccia, posizionarsi, mirare e scoccare la freccia verso il bersaglio è oramai qualcosa di automatico, dopo le circa 45000 frecce annue tirate, ma la ricerca della perfezione del tiro è continua.
Atleta con alle spalle tre titoli di Campione Italiano – 2011, 2013 e 2014 – sta preparando i Campionati Mondiali Indoor che si svolgeranno a Nimes (FR) dal 24 febbraio al 3 marzo.
Il suo è un nome conosciuto nel panorama italiano ed internazionale, con l’appartenenza da 3 anni a questa parte ai Gruppi Nazionali Giovanili ed ora anche in forza ai Gruppi di Lavoro di Interesse Olimpico 2014.
Lo fermiamo “strappandogli l’arco dalle mani”, come ci ha consigliato Enzo Prina, suo allenatore dal primo momento dell’accesso alla Compagnia.
«L’allenamento – spiega – è la cosa più importante. Quello fisico per il tiro, ma soprattutto quello mentale per avere il giusto approccio alla gara e reggere lo stress per tutta la durata della competizione.
Trovarmi con i miei amici del Chisone 3 o 4 sere alla settimana rafforza il senso di cameratismo, ma da loro ricevo lo sprone per andare avanti, il senso vero di questo sport.
Cosa simile la trovo oramai anche nei raduni del Centro Federale di Cantalupa, dove trovo altri amici, conosciuti in giro per l’Italia e che sono cresciuti con me.
Oramai siamo quasi tutti maggiorenni ma per noi gli allenamenti, con centinaia di frecce tirate al giorno e preparazione atletica di alcune ore, li sentiamo meno pesanti per l’amicizia e la complicità che ci lega.
Questo ci permette ancora di trovare il divertimento e la soddisfazione di raggiungere un risultato dietro l’altro, ma anche di rialzarci dopo una sconfitta o un obiettivo mancato.
Di questo dobbiamo ringraziare anche tutto lo staff di allenatori Federali che ci seguono: Wietse van Alten, Ilario Di Buò e Matteo Bisiani – tutti Olimpici pluri medagliati –, che oltre ad essere Allenatori hanno soprattutto l’esperienza di Atleti che conoscono cosa si prova su una linea di tiro, specialmente quando si arriva all’ultima freccia, quella che fa poi la differenza».
Marco, come la maggior parte degli atleti della sua età (quest’anno compirà 19 anni) si divide tra allenamenti e scuola: «È un sacrificio, me ne rendo conto, ma la soddisfazione che ne ricavo mi fa andare avanti.
Tra l’altro mi sono reso conto che migliorando nello sport, ho migliorato anche le mie performance scolastiche. Sono più concentrato nello studio e mi pongo degli obiettivi, alzando sempre un po’ di più l’asticella.
Certo che la mia famiglia mi dà una grossa mano: mamma è quella che mi rimette in sesto quando non sono soddisfatto dei risultati e mi riporta i piedi per terra, papà invece mi aiuta ad organizzare in modo ottimale scuola, allenamenti e gare.
Mi segue sui campi di tiro e frena la mia irruenza, portandomi verso un ragionamento logico sull’analisi dei risultati raggiunti e non, visualizzando come dietro una vittoria o una sconfitta, ci sia sempre qualcosa da imparare e utilizzare il giorno dopo.
Tutti quelli che stanno intorno a me; tecnici, preparatori, dirigenti, ecc. mi spronano a crescere senza cercare troppo l’exploit: risultati positivi sempre, un passo dopo l’altro.
D’altronde, già nel Medioevo, per formare un buon arciere occorrevano 11 anni di attività: a me ne mancano ancora 5 per la maturità nella disciplina, magari per dare vita anche al sogno Olimpico».
Detto questo riprende il suo arco, somma di tecnica antica a materiali moderni, posizionandosi sulla linea di tiro per altre volée, sino a quando non chiude la palestra: è scaduto il nostro quarto d’ora…
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