Tra gli anni ‘60 e ‘80 in Italia si sviluppava e si diffondeva il cinema di genere. Questo termine, prestato da altre forme d’arte al cinema, era inizialmente ad uso dispregiativo e comprendeva tutti quei film non considerati arte. Nonostante all’estero i film di genere italiani avessero grande successo, e ancora tutt’oggi vengono ampiamente apprezzati, in Italia la loro principale funzione era quella di portare liquidità alle produzioni per poter finanziare il cinema d’essai. Negli ultimi decenni, purtroppo, l’Italia ha perso il primato che deteneva in quegli anni e le produzioni di genere sono diventate sempre più rare, lasciando spazio a commedie per famiglie o cinepanettoni di sicuro successo.
Questo lungo preambolo infatti serve a parlare di una eccezione, di un film e un autore che hanno portato nuova linfa al cinema italiano: “Il primo re” di Matteo Rovere. L’opera ricostruisce in modo realistico le vicende di Romolo e Remo, i due leggendari fratelli fondatori di Roma. Dalla nascita di una tribù, al destino che li porrà uno contro l’altro.
Possiamo definire “Il primo re” come una delle opere più coraggiose proposte dal cinema italiano negli ultimi anni. Infatti ad un realismo che ricorda molto i film di Mel Gibson, viene unita una sperimentazione tecnica, fatta di effetti speciali, fotografia naturalistica e di dialoghi in protolatino ridotti al minimo indispensabile. Tutto questo potrebbe spaventare lo spettatore medio, ritrovandosi davanti un prodotto molto diverso da ciò che uno si aspetta, ma Rovere ha il grande merito di non abbandonare mai i binari della storia, coinvolgendoci nelle vicende dei personaggi. Grande merito va anche a Alessandro Borghi, nel ruolo di Remo, in una delle sue interpretazioni più riuscite.
Un esperimento da premiare, che riesce ad unire il cinema di genere a quello sperimentale, aprendo nuove porte alle produzioni italiane.
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Federico Depetris