Skip to Main Content

Speciali  

Questa è la Cina!

Questa è la Cina!

21 ottobre 2014

Il governo di Pechino tra sviluppo economico e violazione dei diritti umani

Il seme di Hong Kong
Hong Kong è stata per decenni la frontiera del capitalismo occidentale di fronte alla Cina comunista. Quando gli inglesi l’hanno restituita alla repubblica popolare, nel 1997, il governo di Pechino ha deciso di lasciarla prosperare, di continuare ad accogliere a braccia aperte gli investitori e i finanzieri della globalizzazione. Stabilità, del resto, è la parola chiave che compare in tutti i discorsi pubblici degli uomini del Politburo. E proprio con la stabilità e con la forza dell’autocrazia costituita dal partito comunista, la Cina è riuscita a crescere fino a diventare la seconda, o forse già addirittura la prima economia a livello mondiale. E poi, come era prevedibile, succede che per garantire quella stabilità si garantisce a Hong Kong di essere democratica, ma con qualche piccola caratteristica tipicamente cinese: e cioè, i candidati alle elezioni del 2017 dovranno essere al massimo due ed essere accettati da Pechino. La gente e la pubblica opinione si ribellano, occupano la piazza e chiedono a gran voce democrazia ed elezioni libere. Le multinazionali, però, si schierano con il governo cinese. E la protesta infiamma. Anche se il tempo, i controlli della polizia e la legge del regime inesorabilmente sfiancano i manifestanti.
L’origine della protesta è da individuarsi in almeno tre elementi: il primo, come già detto, è che le elezioni per il nuovo governo verrebbero tenute sempre con un sistema poco trasparente e forse anticipate con uno pseudo suffragio universale. Il secondo è che Honk Kong è uno dei principali centri finanziari del mondo e la città più ricca e più libera di tutta la Cina. Il terzo aspetto è quello più clamoroso, ed è rappresentato dal rifiuto dei giovani più politicizzati – in gran parte studenti, più attenti ai media occidentali, più ansiosi di godere di maggior libertà, anche senza essere pregiudizialmente ostili al regime di Pechino – che rifiutano decisioni imposte dall’alto. È un rifiuto che non assomiglia né a ciò che avvenne in piazza Tienanmen, né a ciò che accade in altre parti del mondo, poiché esso si esprime in una manifestazione tacita e precisa, che chiede pacatamente ma fermamente le dimissioni del capo del governo ed elezioni meno unilaterali.
Ora, al di là dei focolai di protesta che continueranno a manifestarsi qua e là nel paese, è ragionevole che si arrivi prima o poi ad un compromesso. Tuttavia il compromesso non cancellerà il seme che è stato piantato in queste settimane. E questo perché le vicende di Hong Kong, che la popolazione cinese non conosce se non per allusioni o accuse, diverranno gradualmente e irreversibilmente il seme di trasformazioni future con le quali il governo cinese dovrà, prima o poi, fare i conti. A livello politico e a livello culturale.

Stefania Parisi

 La democrazia è un’utopia

Bruno Salera è un imprenditore di Garzigliana che ha lavorato con i cinesi e ed stato in Cina. A partire dalla sua esperienza professionale e personale può offrire una prospettiva “dal basso” della realtà quotidiana ma anche sulla vita politica di questo paese.
«Per capire come i cinesi intendono la democrazia è sufficiente guardare al caso del Tibet!», spiega Salera
In seguito alle liberazioni finanziarie concesse ad alcuni privati, agli inizi degli anni ’90, la Cina ha avuto un’espansione economica imprevedibile. Lo stato, pur rimanendo accentratore, ha dato la possibilità a chi apparteneva alla sua struttura di fare del libero mercato. Questo fenomeno ha creato una classe imprenditoriale vivace che ha dato precedenza assoluta al business. Lo sviluppo è stato molto veloce sempre sotto il controllo dello stato che detta le regole, propone e dispone.
Il dialogo con i paesi esteri è solo una questione di imprenditoria. «Nel primo mandato –prosegue Salera – il presidente Obama si era recato in Cina per accordi finanziari, cercando di ottenere anche maggior rispetto per i diritti umani. Gli è stato risposto che in Cina comanda il Governo cinese e gli è stato ricordato il debito che gli USA hanno contratto con loro. Anche l’Italia ha 13 miliardi di debiti con la Cina… e in questi giorni Renzi ha firmato ulteriori accordi con Li Keqiang, leader cinese. Circolano voci che alla Cina sia concesso di far circolare la carne di cane. E il nostro paese acconsente.
Gli ultimi diritti concessi al popolo cinese dal proprio sono stati imposti dalla Comunità europea in cambio di favori commerciali. Solo il Brasile ha alzato i dazi per le merci cinesi in modo da limitarne il commercio».
Nel corso dei millenni il popolo cinese non si è mai integrato facilmente con altri popoli. «In ogni luogo dove sono presenti creano una China.-Town! A Prato, in Toscana, hanno creato il loro mondo: banche e negozi con insegne in cinese, tanto che viene da chiedersi se si è ancora in Italia». Sono molto orgogliosi della loro storia e non hanno paura di essere giudicati. Sono molto uniti e questo li ha aiutati nella loro emigrazione. Il Governo concede 450 mila dollari per ogni famiglia che si reca all’estero. Questa si insidia dove un referente gli indica e gli fa acquistare un’attività. Lavoravano, chiamavano altre famiglie e negli anni restituiscono i 450 mila dollari creando un’altra China-town. «I cinesi lavorano come schiavi – confida Salera -. Ho visitato delle cave in Cina dove intere famiglie lavoravano e vivevano negli stessi scavi!»
Ciò permette quello che viene chiamato dunping. Ossia vendere il prodotto sottocosto. Ma ciò non è possibile in un paese democratico: ho risparmio sulle materie prime o sfrutto i lavoratori. Questo accade anche in Italia e le aziende italiane, non essendo più competitive, chiudono. «Chi permette ciò? Chi ha le mani legate perché ha molti debiti con la Cina».
La Cina ha dato precedenza al denaro nei suoi programmi e con questo può permettersi di non accettare interferenze nel suo interno e “controllare” gli altri paesi.
Nel marzo del 2013 alle elezione di Papa Francesco, erano presenti tutti i capi di Stato. Quello cinese no. In Cina la religione cattolica romana è fuori legge e perseguitata, esiste una religione “cattolica” di stato che è filogovernativa e si elegge da sola i vescovi senza neanche avvisare la Santa Sede.
Solera ricorda che esiste anche una piccola percentuale di cinesi che non è così: è squisita e si batte anche contro il sistema comunista «ma sono solo il 3-4%».

Cristina Menghini

DSC01139 - Copia2

LASCIA UN COMMENTO  

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. Visualizza l'informativa privacy. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *