12 Marzo 2014
L’arte di invecchiare bene
12 marzo 2014
Nello sviluppo della persona la tappa dell’invecchiamento e della terza età è l’ultima. Oggi essa si presenta più precoce e più lunga che nel passato. L’età media delle persone infatti si è alzata e in Italia si è attestata attorno ai settantotto anni per gli uomini e a oltre gli ottanta per le donne.
Questo periodo della vita lancia una sfida alla nostra capacità di crescita. Se la terza età non è un periodo di sviluppo, si corre il rischio di trascorrerla nella depressione e/o nella disperazione, sentendosi finiti, dimenticati, insignificanti, incompresi e alla fine inutili. Secondo Eric Erickson, psicoanalista tedesco, la sfida dell’età senile è il dilemma «integrità oppure disperazione». In altre parole chi invecchia è chiamato all’integrità, ossia a completare lo sviluppo della sua personalità in modo coerente con il suo passato integrando il tutto nell’esperienza della terza età. Se questa operazione riesce, egli acquisisce la saggezza, ossia una conoscenza esperienziale della realtà e della vita. Questo è il dono caratteristico dell’anziano, il meglio di sé che può lasciare come eredità agli altri. Se invece questa operazione non riesce, egli finisce per vivere faticosamente la sua vecchiaia e rischia di cadere nella disperazione.
È normale sentire la paura d’invecchiare: questa paura viene alimentata da una pseudo cultura che privilegia «il giovane e il bello». Molti anziani che si chiudono in sé e finiscono per mettere sotto il moggio la lampada della saggezza acquisita nel corso della vita. Altrettanto normale e necessario è «essere in lutto», cioè sentire e accettare in modo cosciente e libero la sofferenza provocata dal distacco e dalle molte perdite che caratterizzano questa tappa della vita: l’uscita dalla vita attiva, la fine della giovinezza e della prestanza fisica, la conclusione di molte relazioni interpersonali compromesse dalla morte di familiari e amici, la fine della fase produttiva (del lavoro) con il pensionamento. Sono queste alcune delle perdite che devono essere assunte coscientemente e liberamente accettate dall’anziano. Oggi siamo consapevoli, più che in passato, della necessità di crescere durante e verso la terza età, e non solo di caderci dentro. Occorre dunque preparare questa tappa. L’invecchiamento comporta dei problemi biologici e fisiologici, psicologici e spirituali che producono delle crisi esistenziali. L’anziano arrivando alla terza età sente sorgere – o ritornare – delle domande ineludibili: «Chi sono io? Che senso ha la mia vita? Come ho passato gli anni che ho vissuto? Come posso vivere bene i prossimi, ultimi anni?»
Come ogni crisi esistenziale, anche questa non si può superare in modo valido se non attraverso un rinnovamento dell’interiorità.
TRE MODI DI INVECCHIARE
Esistono diversi modi di invecchiare. C’è un primo modo ideale che tutti sognano sia il loro. Sono le persone che invecchiano bene, quelle con le quali tutti sono disposti a vivere. La loro maniera di essere anziane è dichiarata da tutti “invidiabile”. Sono anziani che vivono sereni, riconoscenti, pieni di fiducia e di sentimento, lucidi e responsabili, senza eccessivi timori della morte. Sono persone che soffrono, ma che non pretendono che tutti pensino a loro, che non fanno pesare la loro sofferenza, anzi, sono esse a preoccuparsi degli altri. Purtroppo non si deve credere che questa sia la norma, anzi!
C’è un secondo modo – il più comune – che consiste nel subire l’invecchiamento. Molti anziani non riescono ad accettare la realtà di una vita segnata dalla malattia o dalla diminuzione delle proprie capacità di lavoro, di relazioni, di sopravvivenza. Sono stati traumatizzati dall’arrivo della pensione e sentono come una minaccia terribile l’idea della fine. Hanno passato una vita nel lavoro e non hanno mai trovato il tempo per se stessi, per riflettere, per riposare in pace. Ora sono obbligati a passare dal lavoro al riposo e non riescono ad accettarlo. Per loro la pensione è stata una sofferenza, non sanno che fare, è un riposo forzato e doloroso. Vivono in una ribellione costante, spesso senza dirlo a nessuno, oppure in una crescente depressione. I tentativi autolesionisti non sono rari, soprattutto se l’inattività è combinata con la solitudine; si chiudono nella loro sofferenza, si aggrappano a piccole cose che funzionano da droga o da evasione, diventano duri, acidi, ostili a tutto, e tutti cercano di sfuggirli. Questo viene ad aggravare la loro solitudine, mettendo in moto un pericoloso circolo vizioso.
C’è anche una terza maniera di invecchiare che è propria di chi nega oppure rifiuta il processo di invecchiamento, facendo finta di non essere arrivati alla vecchiaia. Essa è propria di coloro che non vogliono credere all’invecchiamento e perciò nascondono a sé e agli altri il loro decadere truccandosi, vestendosi e vivendo come fossero ancora giovani. Godono dei complimenti, e non fanno la tara alle espressioni di convenienza: «Non si direbbe che Lei ha ottant’anni! Come li porta bene! Non li dimostra proprio!»
Ci credono e per un po’ sono su di giri, fino a quando rimettono i piedi a terra. Ma allora stanno ancora più male e in questo modo accumulano ferite e frustrazioni sempre più dolorose e profonde.
«Qualcuno da amare e qualcosa da fare»: questo potrebbe essere un programma per invecchiare bene e passare fruttuosamente la vecchiaia.
Ilaria Boaglio
ilaria.boaglio@yahoo.it
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