21 Ottobre 2014
Ebola e il contagio dell’ipocrisia
21 ottobre 2014
L’epidemia inizia a far paura anche al mondo occidentale. E intanto sull’Africa incombe la carestia
Ebola continua a contagiare e ad uccidere, ormai è cosa nota. Ma quello che mi colpisce di più in questi ultimi giorni è l’epidemia di ignoranza e di retorica che si è palesata. Ma andiamo con ordine. Sono passati circa sei mesi da quando si sono avuti i primi focolai della malattia, purtroppo però la situazione non migliora. L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima al 15 ottobre che il numero dei contagiati sia di 8997 mentre il numero dei morti sia di 4493, stime che però sono sicuramente più basse, come anche conferma l’OMS, dei numeri reali. E la situazione non sembra essere in miglioramento. Questa quindi è la più devastante epidemia di Ebola che si è avuta da quando il virus è stato isolato e monitorato. Purtroppo l’epidemia non è l’unico problema per le zone colpite. In quei paesi dell’Africa, martoriati da povertà e malnutrizione anche prima, tutto si è fermato e questo significa che si è smesso di coltivare la terra. Già ora le provviste alimentari stanno scarseggiando e, anche se l’epidemia cessasse miracolosamente in questo momento, si sta entrando in una seconda fase del disastro, ancora più grave e che aumenterà enormemente il numero dei morti, ovvero la carestia. Tutti coloro che si trovano a lavorare nei paesi colpiti stanno lanciando degli allarmi, le richieste di aiuti, a questo punto, non sono solo più di attrezzatura medica e personale sanitario, ma sono richieste di derrate alimentari da distribuire alla popolazione sana che però non ha più nulla da mangiare. Purtroppo al momento questi allarmi sono ignorati perché si è aperto un nuovo capitolo di Ebola. Si sono infatti avuti i primi contagi negli Stati Uniti e in Europa e la psicosi da contagio ha “contagiato” i media e di conseguenza le persone. Sui quotidiani ogni giorno si trovano aggiornamenti su Ebola, cosa che prima succedeva non più di una volta al mese, ma tanto erano solo gli africani ad ammalarsi e morire. Ebola, che cos’è, come si propaga, quali sono i sintomi, quali le misure di sicurezza prese negli ospedali e negli aeroporti. C’è da dire che la psicosi da contagio in parte c’era già, soprattutto nei confronti degli immigrati clandestini che sono arrivati questa estate. Un signore torinese ha lanciato su Facebook un falso allarme su due immigrati a Lampedusa ammalati, allarme che è rimbalzato in poche ore sui social network e ha raggiunto milioni di persone. Per un po’ poi è girata la notizia che possono passare fino a sei mesi dal contagio ai primi sintomi della malattia. Notizia falsa dato che dal contagio alla comparsa dei sintomi passano da una settimana a dieci giorni e che da quando compaiono i sintomi, e quindi si può trasmettere la malattia ad altre persone, la morte sopraggiunge nel giro di due settimane. Tengo a ribadire che gli immigrati da quando partono dal loro paese di origine, che può essere anche uno di quelli interessati dall’epidemia, a quando arrivano sulle coste della Libia impiegano anche un anno, ma la loro attesa non è finita dato che possono aspettare fino a sei mesi prima di riuscire ad effettivamente imbarcarsi per l’Europa. Questi sono tempi non compatibili con la trasmissione di Ebola. I nostri politici non stanno agendo meglio dei media, proponendo di chiudere qualsiasi frontiera, soprattutto quella con l’Africa. È di oggi la notizia di un’ordinanza del Comune di Padova che richiederà alle persone provenienti dall’Africa un certificato di salute per poter entrare in città. Si sono poi moltiplicate le proposte di rispedire immediatamente nei paesi d’origine gli immigrati arrivati sui barconi. Poco ci manca che qualcuno proponga di buttarli direttamente in mare prima che approdino sulle nostre coste, cosa a cui purtroppo in diverse occasioni ci hanno pensato il maltempo, i barconi malconci e gli scafisti. Un’altra strage silenziosa che si è portata via centinaia, forse migliaia di persone, perché persone sono gli immigrati, annegate nel nostro bel mediterraneo a due passi dal nostro civilissimo paese. E mentre tutti puntano il dito contro gli immigrati, Ebola è arrivata, ma è arrivata tramite un aereo di linea, e tramite i nostri, in teoria, sicuri e moderni ospedali. Un uomo proveniente dalla Liberia, Thomas Duncan, ora ribattezzato il paziente “Zero”, è stato rimandato a casa dall’ospedale a Dallas dopo che si era presentato in pronto soccorso con la febbre. In questi giorni si è anche capito che, nonostante gli ospedali dovrebbero essere attrezzati per il contenimento delle malattie contagiose e il personale di quei reparti dovrebbe essere altamente istruito sulle procedure, la realtà sia un po’ differente. Sono ormai tre, uno a Dallas e due in Spagna, gli infermieri che sono entrati in contatto con malati di Ebola e che sono stati contagiati dalla malattia. Questo vuol dire che non siamo preparati, la nostra ipocrisia di paesi moderni e sviluppati da una parte ci fa chiudere verso i paesi del cosiddetto terzo mondo, perché se loro muoiono alla fine “chi se ne frega”, dall’altra ci fa sentire invincibili, cosa che ci porta a sottovalutare la pericolosità di Ebola, tanto noi abbiamo gli ospedali all’avanguardia. In ultimo i potenti del mondo, Obama in primis, si sono svegliati sull’emergenza contagio, ora che è arrivata anche da “noi” lanciando appelli e proclami. Ipocrisia di chi poteva fare da subito, fin dai primi focolai di contagio, ma che non ha fatto perché tanto sono solo loro a morire. Ora che, invece, l’epidemia minaccia anche noi si inizia a pensare di prendere provvedimenti seri, tralasciando però il fatto che ormai non si deve solo più intervenire su Ebola ma anche sulla carestia che è alle porte per evitare che un flusso di immigrati ancora maggiore, per fuggire da una situazione di fame estrema, si riversi sulle nostre coste. Chiudo dicendo che alla fine qualcosa di giusto i politici nostrani, per quanto ignoranti e razzisti siano, l’hanno detta. Se aiutiamo gli immigrati nei loro paesi di origine questi non avranno nessun interesse a venire nella nostra civile ed evoluta Europa.
Gigliola Foschiano
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