6 Agosto 2015
Di ritorno dall'Indonesia Danilo Pons: "Un paradiso dove crescere i bambini"

6 agosto 2015
Danilo Pons, pinerolese ha viaggiato per quasi tutta l’Asia ma un paese come l’Indonesia non lo aveva visitato mai. «È il paese dove far crescere i bambini – sostiene senza incertezze –. Le persone sono gentili, vogliono parlare con te senza cercare di venderti nulla. Il clima è buono, il cibo è abbondante e non contaminato, il pesce di migliaia di specie è squisito. Ma non solo. Il servizio sanitario è all’avanguardia e anche le scuole sono di ottimo livello». Prima di partire, per ogni suo viaggio Danilo si documenta sulla storia e le usanze del posto. Papua era colonia olandese fino al 1962 quando, sotto pressione degli Stati Uniti, fu invasa dagli indonesiani.
Il petrolio e le miniere d’oro (le più grandi della terra) sono statunitensi ma difesi dalla polizia e dall’esercito indonesiano. L’Indonesia è il più grande paese mussulmano del mondo ma ormai la convivenza con le altre religioni è pacifica. Infatti il partito islamico integralista alle ultime elezioni ha raccolto solo il 5% dei voti. Nelle Molucche ci sono stati problemi tra cattolici e mussulmani nel 1999 e 2002. «Rimangono ancora a testimonianza di ciò chiese e moschee bruciate – riferisce il nostro viaggiatore –. Ora però è tranquillo; i partiti, che stavano dietro a questi scontri, si sono calmati». Perché in Papua? Perché Danilo, vent’anni fa, aveva visto un documentario sulle tribù Dami e ne era rimasto colpito.
All’imbocco delle valli le persone sono vestite come in Occidente mentre all’interno usano ancora i vestiti tradizionali. Le donne con gonne di foglie di palma a petto nudo e dall’età di tredici anni gli uomini portano la koteca (astuccio penico). Cucinano maiale cuocendolo sotto terra. Come in molte popolazioni dell’Oceania e dell’Africa il maiale è un animale molto importante. In Papua è simbolo di ricchezza e per sposarsi si porta alla famiglia della moglie un suino. Più la moglie è giovane e carina più il suino deve essere grosso.
I papuani, anche quelli cattolici, spesso hanno più di una moglie. Tutti i villaggi hanno due capi: quello scelto dal governo e quello scelto dalla comunità. Questi hanno la funzione di occuparsi dei più poveri, di organizzare le feste e i funerali. Non hanno poteri spirituali ma alcuni possono spezzare gli incantesimi dello sciamano. I maiali scorrazzano liberi per i villaggi e le montagne, ma senza creare problemi di igiene e sporcizia. «Hanno molta cura anche dei giardini e degli orti che sembrano villaggi turistici – prosegue Danilo –. Si lavano sotto la pioggia o si strofinano del grasso per eliminare i batteri e proteggersi dal sole». Ancora oggi il Governo permette le guerre tra le popolazione se sono per le donne, per i maiali o per il terreno.
Durante le guerriglie usano lance, archi, frecce e macete. Nessuna arma da fuoco. Ma qualcuno rimane a terra. Durante la battaglia usano rigorosamente i vestiti tradizionali che consistono in denti di cinghiale e dei copribusto di osso. Gli indigeni possono essere Dami o Lami, piccoli con dei piedi enormi. Oppure Asmat molto alti e guerrieri spietati. Quest’ultimi sono tagliatori di teste e con orgoglio portano al collo i crani rimpiccioliti delle loro vittime. Se nutrono molto odio verso un nemico praticano il cannibalismo. L’ultimo episodio di missionario che è stato mangiato risale a 35 anni fa. Non c’è l’elettricità «ma il telefonino (si ricarica con le batterie dell’auto) del capo villaggio era più tecnologico del mio!», scherza Danilo.
In tutti i villaggi sono presenti più chiese, specialmente cattoliche e protestanti e le scuole elementari. Raramente i bambini proseguono gli studi perché già da piccoli iniziano a lavorare. Nel Nord la maggior parte è cattolica ma ci sono anche protestanti e mussulmani. Molti missionari cattolici arrivarono a partire dal 1880; il loro passaggio è ancora oggi visibile. In tutte le strade, trafficate o no, sono presenti croci, immagini e “via crucis”. Ma come in tutta l’Indonesia il cattolicesimo convive con l’animismo tradizionale. Ad esempio il “sasi” che è un incantesimo fatto con le foglie per proteggere le case Chi andasse a rubare in una casa in cui è presente un “sasi” sarà sfortunato per tutta la vita. «C’è da notare – sottolinea Danilo – che dove i riti e la cultura animista permane le lotte di religione non si scatenano».
Gli olandesi hanno, nei secoli precedenti, contrattato, nel vero senso della parola, l’Indonesia con i Portoghesi e gli Inglesi. Deportarono molti indonesiani nel Centro America. «I missionari olandesi hanno portato scuole ed ospedali e attualmente sono di ottimo livello», spiega Danilo che li ha visitati rimanendo colpito dalla pulizia e dal profumo dell’ospedale cattolico, il migliore dell’Indonesia. Grazie alla conoscenza con un politico locale ha potuto incontrare il direttore che gli ha fatto notare il livello delle attrezzature, puntualizzando che i medici sono laureati in Europa. Ancora oggi l’Olanda fornisce ingenti aiuti all’ospedale.
Anche le scuole cattoliche sono di alto livello. «Ho visitato tutti i gradi di scuola, anche il seminario. Gli studenti sono educati. Tutti parlano un inglese corretto e le aule didattiche hanno computer e programmi che da noi sogniamo…». La simpatia e la curiosità del nostro viaggiatore gli ha fatto conoscere anche un principe! Nel 1200, infatti, era arrivato un principe da Bali e ancora adesso ci sono i regni e la divisione in tre caste: schiavi, guerrieri e principi. Sono più flessibili di quelle indiane ma è difficile che si celebrino matrimoni tra persone di caste diverse. Un tempo c’erano stati i portoghesi e il loro passaggio si nota dalla quantità di cannoni lasciati. Questi oggetti servono per potersi comprare la moglie! Non più maiali come in Papua ma cannoni portoghesi. «Se la moglie è ricca il cannone deve essere grande, oppure anche sette piccoli ». Sono tramandati in famiglia e conservati gelosamente in casa. «Tra tutti i viaggi che ho fatto questo è quello che mi ha lasciato il ricordo migliore – conclude Danilo –. Non ho neanche fatto il mese di broncio tipico di ogni ritorno. Sarà stato il mio stato d’animo, la gente o la magia del luogo. Non lo so, ma qualcosa mi ha cambiato». E sorridendo aggiunge: «è stato il viaggio più costoso che abbia fatto ma ne è valsa la pena. Il prossimo anno ci tornerò!»
Cristina Menghini
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