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In Svizzera tra xenofobia e diritti umani

In Svizzera tra xenofobia e diritti umani

08 giugno 2014

«Sono nelle Filippine, in un luogo sperduto e molto danneggiato dal tifone Yolanda di novembre. Il mio compito è quello di integrare la missione umanitaria post-tifone. Ho una sistemazione decisamente spartana e l’accesso a internet non è costante». Così Mara Stecazzini, cantalupese in trasferta, sintetizza la sua ultima missione.

Quando non sei in missione, dove lavori?

Abito e lavoro a Ginevra all’Alto Commissariato per i diritti umani delle Nazioni Unite. Sono “human rights officer”.

Quindi di che cosa ti occupi?

Attualmente delle metodologie per monitorare i diritti umani, una delle funzioni principali della nostra organizzazione. Si tratta di investigare vari tipi di violazioni dei diritti umani in ogni parte del mondo e in vari aspetti, dalla tortura al diritto all’educazione, i diritti dei migranti o la violenza contro le donne. Questo lavoro di monitoraggio avviene in vari modi. In questi ultimi anni mi sono occupata soprattutto del monitoraggio che la nostra organizzazione svolge attraverso gli uffici sul territorio. In particolare, conduco corsi di formazione sulle tecniche di monitoraggio per lo staff che lavora sul terreno, dall’Afghanistan al Sud Sudan.

Per lavoro hai viaggiato molto: dove e perché?

Sono stata in una quarantina di paesi. Le missioni in Europa occidentale sono state quasi sempre per partecipare e intervenire a conferenze e seminari. Per alcuni anni ho lavorato sulla tratta e la prostituzione infantile e questo mi ha portato in paesi come Albania, Grecia e Romania ma anche in Paraguay e Brasile. Ho lavorato sui diritti dei migranti e su quelli che noi chiamiamo i difensori dei diritti umani che, per semplificare, sono rappresentanti della società civile impegnati nella difesa dei diritti e per questo esposti a vari tipi di rappresaglie e attacchi e purtroppo anche omicidi. Questo mi ha portato in vari paesi dell’ex Yugoslavia, in Burkina Faso, Russia e Guatemala.

Negli ultimi anni viaggio soprattutto per condurre corsi di formazione per il nostro staff e altri partner con responsabilità di monitoraggio dei diritti umani. In questo momento mi trovo a Guiuan nelle Filippine, dove resterò per circa 6 settimane. L’obiettivo della mia presenza è di fare il possibile perché l’assistenza umanitaria fornita dalle organizzazioni internazionali e dal governo sia sostenibile e nel rispetto dei diritti umani. Purtroppo, non basta allontanare le persone dalla costa se per loro l’unica fonte di sostentamento è la pesca. Se vengono allontanate senza essere in grado di pagarsi un trasporto e senza un’attività di sostentamento alternativa, è chiaro che l’intervento umanitario è destinato a fallire e a creare nuovi problemi.

 Sembra banale ma è quello che sta accadendo qui. La mia missione consiste, da una parte, nel cercare di convincere le autorità responsabili ad adottare misure più consone e dall’altra portare all’attenzione di vari attori problemi, carenze, responsabilità.

In quale dei paesi che hai visitato ti sei trovata meglio?

In Brasile. Per la vitalità, la diversità, i colori, l’entusiasmo, la partecipazione. Sono stata in due missioni diverse visitando varie città e su temi diversi (la prostituzione infantile e l’amministrazione della giustizia). In entrambi i casi abbiamo incontrato grande apertura da parte dei moltissimi interlocutori incontrati.

Come si lavora in Svizzera?

Mi trovo molto bene nel paese che mi ha accolto. La comunità internazionale è molto grande a Ginevra e fa una vita a sé stante, incluse le condizioni di lavoro che hanno una regolamentazione particolare rispetto ad altri impieghi. Ad esempio le giornate di vacanza che spesso non coincidono con quelle svizzere (per esempio la fine del ramadan è un giorno festivo all’ONU).

Come si vive in Svizzera?

Si vive molto bene ma la vita è sicuramente cara. Della Svizzera apprezzo l’efficienza, la serietà della politica e il senso di misura e responsabilità dei politici, l’attenzione al sociale, la qualità del giornalismo e lo straordinario talento svizzero nella realizzazione di documentari, la valorizzazione e salvaguardia del territorio, la capacità di “vendere” la Svizzera come un marchio di qualità e eccellenza, gli investimenti in settori come la ricerca e la cultura. Apprezzo moltissimo l’offerta culturale di Ginevra. Adoro potermi spostare in bici e in sicurezza in ogni parte della città. Tutto questo è caro, , ma fra costo e qualità ritengo che la qualità prevalga.

Come italiana ti senti accolta?

Sì. Quella italiana è la comunità più numerosa di Ginevra, siamo preceduti solo dai portoghesi. Ho letto recentemente le cifre, nel cantone ci sono 45.000 italiani con doppia nazionalità e credo intorno ai 10.000 che hanno solo il passaporto italiano. L’immigrazione italiana è quindi ben conosciuta e radicata in Svizzera. Inoltre, anche se Ginevra è francofona, l’italiano è comunque una lingua nazionale e questo è un’ulteriore elemento che facilita l’integrazione e l’accoglienza. Questo non elimina una rappresentazione non sempre edificante dell’Italia e degli italiani come paese poco affidabile, bello per le vacanze ma poco serio su altri fronti, senza contare i danni delle vicende berlusconiane che qui in Svizzera, come nel resto dell’Europa, sono sempre state aspramente criticate.

E gli altri stranieri come sono accolti?

Dipende da quali stranieri e di quali parti della Svizzera. Ginevra, Zurigo, Basilea sono città cosmopolite dove la presenza straniera è integrata e di apprezzata ma la Svizzera è fatta anche da montanari con poca apertura verso il mondo e la diversità. È soprattutto in queste zone che si concentrano le sacche di xenofobia. Dopodichè c’è straniero e straniero e diverse manifestazioni di integrazione o intolleranza nei confronti di ciascuno. Gli europei sono meglio accettati degli africani, gli europei del nord, in particolare i tedeschi, sono preferiti a quelli del sud, quelli del sud sono però preferibili ai paesi balcanici e avanti così in una catena razzista e xenofoba che è comunque presente. Inoltre, in Svizzera ci sono molti stranieri con professioni qualificate, rispettate o ben remunerate. Ci sono però molti altri stranieri senza documenti o in professioni poco qualificate che hanno ovviamente un’esperienza molto diversa per quanto ritengo che in generale la Svizzera si occupi molto meglio degli stranieri nelle situazioni più vulnerabili di quanto faccia o abbia fatto l’Italia, anche senza parlare di situazioni estreme come Lampedusa. In Svizzera non ci sono stranieri ammassati in stanzoni e pagati una miseria per raccogliere mele (invece dei pomodori italiani). Esistono situazioni di lavoro irregolare, nel settore delle costruzioni o nell’aiuto domestico per esempio, ma certo non nelle dimensioni italiane nè in condizioni di sfruttamento e abuso paragonabili per quanto il numero di stranieri sia ben maggiore che in Italia rispetto alla popolazione nazionale.

È cambiato qualcosa da dopo il Referendum?

Tecnicamente non si è trattato di un referendum ma di un’iniziativa popolare. Finora non sono state adottate misure con un impatto sulla situazione degli stranieri in Svizzera. Più che altro ci sono state delle misure per così dire di ritorsione dell’Unione Europea che ha sospeso il programma di scambi universitari Erasmus per la Svizzera e ha sospeso progetti di ricerca di cui la Svizzera faceva parte. Si è aperta una fase di negoziati con l’Unione Europea per definire le modalità di applicazione di questa votazione. Si ritiene comunque che il governo svizzero, che era contrario a questa iniziativa, farà il possibile per limitarne l’impatto. Il risultato della votazione ha però avuto un impatto emotivo abbastanza forte. Ha evidenziato una spaccatura del paese tra le città che hanno votato in massa a favore di una presenza straniera senza limiti e i cantoni rurali e di montagna che hanno fatto il contrario. Si è anche registrata una spaccatura tra la parte francofona, a favore della presenza straniera, e quella tedesca e italiana, maggioritariamente contrarie. Ho fiducia nel buon senso delle autorità nel dare applicazione a questo scoraggiante risultato del voto.

Perchè questa “chiusura” delle frontiere?

Chi ha votato contro la presenza straniera vive soprattutto in zone dove di stranieri ce ne sono pochi. Se ne può dedurre che abbia prevalso la paura e il rifiuto di quanto e chi non si conosce. Un voto emotivo cavalcato dalla strumentalizzazione politica della paura dello sconosciuto e la sventolata minaccia della perdita dell’identità nazionale. La realtà è ovviamente più complessa ma ritengo che questa lettura sia comunque corretta.

Che cosa ti manca di più dell’Italia?

Sono troppo vicina per essere nostalgica e c’è così tanta italianità a Ginevra che è difficile farsi veramente mancare qualcosa.

La cosa migliore della Svizzera?

Certo non il gruviera, né gli orologi o il cioccolato! La qualità della vita, direi.

 CRISTINA MENGHINI

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