6 Ottobre 2014
Brasile, terra di meraviglie e di mancanze
6 ottobre 2014
La testimonianza di una giovane volontaria nelle missioni di Cristinápolis e Joaquim Gomes
Mai come quest’estate ho sperimentato la dimensione dell’accoglienza. Un giorno dopo l’altro, l’abbraccio di centinaia di bambini, i ritornelli di “Sejam bemvindos” (Siate i benvenuti), la cura, l’attenzione e la tenerezza per non far mancare nulla a noi, da parte di chi mancava di tutto.
È stato questo il mio Brasile, è stata questa la mia emozione più forte e vera in quella terra lontana: la gratitudine di chi si trova, anima e corpo, abbracciato, all’improvviso e nella gratuità totale.
Grazie al MIG (Gruppo Missioni Giovani), infatti, ho avuto la possibilità di fare un’esperienza missionaria di tre settimane nel Nord-Est del Brasile. L’associazione, nata nel 2007 per volere di alcune ragazze di Buriasco e in seguito diventata Onlus, sostiene alcuni progetti in collaborazione e a supporto delle Suore di San Giuseppe di Pinerolo. Tali progetti si concretizzano a Cristinápolis, una cittadina del Sergipe, il più piccolo stato del Brasile. L’impegno dell’associazione è volto all’alfabetizzazione e al sostegno di ragazzi in condizione di forte disagio sociale ed economico.
Sono partita a fine luglio, insieme a mia sorella Erica, a Greta (di Buriasco) e Simone (di Piossasco). Le prime immagini conservate nella mia memoria sono state catturate al di qua del finestrino. Man mano che il sole spuntava, la luce iniziava a rivelare un mondo nuovo: nonostante la stanchezza non potevo fare a meno di osservare con curiosità e stupore. Paesaggi verdi, alberi rigogliosi, distese sconfinate di pianure e colline. Ragazzi e uomini, sebbene fosse molto presto, aspettavano ai bordi della strada un mezzo che li portasse al lavoro. Noi guardavamo loro, loro guardavano noi. Con sguardi attenti, talvolta sospettosi forse, ci seguivano fino a che sparivamo dalla loro vista. Così poco, qualche sguardo, e già c’era il fascino e il brivido dell’ignoto, dello sconosciuto, del nuovo.
Nei giorni successivi, Cristinápolis è diventata la nostra casa. Abitavamo nella cosiddetta “casa degli italiani” e ben presto abbiamo familiarizzato con le vie sconnesse e le case colorate della cittadina.
Le nostre attività erano state pianificate dalle suore che hanno svolto per noi un fondamentale ruolo di guida e accompagnamento.
Il prezioso lavoro delle suore, nella comunità, lascia evidenti frutti di bene: le famiglie con situazioni critiche, i gruppi cristiani di giovani e ragazzi, le scuole sono tutte realtà che ripongono la loro fiducia nell’operato delle sorelle. Abbiamo visitato le varie zone della città, i cosiddetti “povoados”, da quelli più strettamente urbani a quelli periferici e rurali. Il perno del nostro impegno sono stati gli incontri con le famiglie della comunità e le attività nelle scuole. In particolare abbiamo avuto la possibilità di andare per quattro giorni di seguito al Centro São José, fondato e gestito dalle suore. Un balletto, qualche canzoncina, un “pirulito”, un palloncino, un gioco: e per i bambini era subito festa.
Ma abbiamo subito sviluppato la consapevolezza che l’allegria delle persone in generale, ma dei bambini soprattutto, non dipendeva affatto dai nostri doni, da ciò che portavamo o facevamo. La festa era per la nostra presenza lì, con loro, e per null’altro. E, in particolare dopo che siamo tornati, sentiamo con convinzione che abbiamo ricevuto molto più di quello che, partendo, pensavamo di dare.
Dopo aver trascorso due settimane ci siamo spostati a nord, nello stato dell’Alagoas, con cui il Sergipe confina. Abbiamo passato la giornata a Maceiò, la capitale, visitando il mercato dell’artigianato e alcune zone della città. In particolare abbiamo potuto constatare l’enorme differenza tra la parte della città delle baracche, in cui disperazione e violenza sono realtà di fatto, e la parte turistica, con i grandi alberghi, il lungomare da sogno, i palazzi delle multinazionali. L’aspetto più impressionante di ciò risiede nella compresenza di due realtà così discordanti a pochi metri l’una dall’altra.
È anche questo il Brasile, terra di profonde contraddizioni. La povertà è diffusa, esistono “favelas” e al contempo sono ancora numerose le conseguenze della divisione latifondiaria del terreno, per cui pochissimi proprietari molto abbienti possiedono appezzamenti di enormi dimensioni.
Nascono movimenti di rivolta per il reclamo di terre, diritti e speranze, ma allo stesso tempo persiste, al fondo del sistema di valori, la mentalità sviluppatasi con lo schiavismo, che rallenta l’emancipazione e il miglioramento delle condizioni di vita. Abbiamo sentito parlare di politici corrotti e brogli elettorali non contrastati, seppure clamorosi. Abbiamo visto case di fango con enormi parabole sul tetto, ragazzi che non potevano permettersi il “pranzo al sacco” per una scampagnata pur di poter comprare la ricarica per il cellulare.
La povertà, è chiaro, colpisce non solo nell’aspetto economico, ma parte ogniqualvolta vengano a mancare l’istruzione, la famiglia, la struttura sociale.
Nel tempo rimanente siamo stati a Joaquim Gomes, cittadina dove da alcuni anni abita Michele Mola, missionario piossaschese che, insieme alle suore giuseppine, è punto di riferimento per le missioni italiane tanto quanto per gran parte della comunità. Lì ci siamo uniti dunque al numeroso gruppo missionario partito da Piossasco, proveniente dall’ambito dell’associazione Amici di Joaquim Gomes.
Anche in questa nuova realtà le attività da svolgere erano numerose e impegnative, a contatto con i ragazzi e con gli anziani. Abbiamo vissuto incontri indimenticabili con storie incredibili e toccanti, storie di persone dalle vite lacerate e nonostante ciò desiderose di rialzarsi, di essere felici, sempre animate da una fede viva, vera, semplice e profonda.
Come in ogni esperienza, ci sono stati anche momenti di difficoltà e incomprensione. Situazioni che ti mandano in crisi, che ti destabilizzano e scoraggiano, che mettono in discussione ciò che hai sempre creduto. Domande e dubbi che sorgono nella rabbia e nel senso di impotenza. Ma nello spirito della missione, della solidarietà e della condivisione, aspetti che non sono mai venuti meno, abbiamo potuto confrontarci e trovare, se non risposte, orecchi attenti alle nostre domande.
Si può dire che, come San Tommaso, finché non ho veduto non ho creduto. Finché non ho visto quei tanti occhi scuri pieni di vita, finché non ho toccato con la mia mano le piaghe della miseria, non ho potuto credere veramente che possa esistere gioia nella mancanza. E allora, come l’apostolo, ho potuto dire: «Mio Signore e mio Dio!»
Così, ciò che ho vissuto è il segno di un amore, l’Amore, che in ogni persona è visibile con chiarezza, se accolto e riconosciuto.
È davvero con il cuore pieno di gioia che vi faccio questo invito: accogliete a braccia aperte l’Incontro con l’altro, che sia vicino o lontano, straniero o concittadino. Come ci ha detto Michele, «non c’è Vita senza Incontro». Sejam benvindos nella grande e solidale famiglia che è l’umanità, in cui, solo se lo si vuole, non manca affetto per alcuno.
Da quando sono tornata, oltre alla grande saudade, occupa il mio cuore anche la consapevolezza che la missione è sempre, la missione è ovunque, la missione ha bisogno di tutti.
Perché non c’è contesto in cui non sia necessario fare del bene, in cui non sia necessario amare.
La missione inizia ora. Bora gente!
Annalisa Barra
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