24 Dicembre 2018
QUANDO SI HA TROPPA FRETTA DI NASCERE. Parla la neonatologa Patrizia Savant Levet

Il termine di una gravidanza è di 40 settimane, ma capita a volte che la nascita venga anticipata anche di parecchie settimane.
«La prematurità è a condizione in cui un bambino nasce prima di 37 settimane compiute di gravidanza, calcolate a partire dal primo giorno dell’ultima mestruazione della madre o stimate sulla base delle ecografie eseguite», spiega la neonatologa Patrizia Savant Levet, primario di Neonatologia presso l’ospedale Maria Vittoria di Torino.
«Il bambino che nasce prima di 37 settimane viene chiamato “prematuro” o “pretermine”, cioè nato prima del termine normale della gravidanza. I neonati pretermine, però, non sono tutti uguali, perché quanto più breve è la gravidanza tanto più sono alti i rischi per la loro salute».
In Italia si stima che la nascita pretermine riguardi circa l’8% dei neonati, mentre la nascita prima delle 32°settimane, prematurità grave, riguarda circa l’1% dei nati.
I fattori che possono aumentare il rischio di prematurità sono, oltre ad alcune condizioni patologiche materne (come, ad esempio, il diabete o l’ipertensione), anche alcuni fattori legati agli stili di vita presenti prima dell’inizio della gravidanza.
I più importanti sono l’età materna avanzata; il sottopeso e l’obesità; le abitudini alimentari non corrette; il fumo, l’alcool e l’uso di droghe; l’inquinamento ambientale; lo stress, l’ansia e la depressione.
A questi si aggiungono l’infertilità e il suo trattamento, la mancata programmazione della gravidanza, un breve intervallo tra due successive gravidanze, le infezioni croniche dell’apparato genitale, un precedente parto pretermine e fattori genetici.
«In certe situazioni la nascita pretermine può essere prevista – rassicura Patrizia -. Se si riconosce la causa in tempi giusti, in alcune situazioni si può intervenire».
Per seguire una gravidanza “a rischio” di parto pretermine è fondamentale che la donna faccia controlli regolari in modo che la comparsa di sintomi o segni “sospetti” portino all’esecuzione di esami specifici a seconda dei casi.
Il percorso definito nella “Agenda di gravidanza” e gli esami indicati previsti, esenti ticket, sono la base per seguire in modo corretto la gravidanza, in modo che qualsiasi valutazione che si discosta dalla normalità venga subito messa in evidenza e porti a controlli più approfonditi ed eventuali interventi di terapia. Questo metodo di seguire la gravidanza è attuato nelle strutture pubbliche (consultori familiari e in caso di situazioni a rischio, ambulatori ospedalieri), ma le “Agende di gravidanza” sono a disposizione di tutte le donne gravide, anche seguite privatamente.
Ci sono conseguenze per un bambino che nasce pretermine?
«Qualsiasi livello di prematurità – risponde Patrizia – comporta rischi maggiori rispetto ad una nascita a termine. Anche un nato a 36 settimane di gravidanza ha rischi di tipo respiratorio, metabolico e neurologico maggiori rispetto un neonato a termine. I rischi sono più bassi se la nascita è vicina al termine, mentre sono altissimi se si verifica tra le 24 e le 27 settimane. La probabilità di sopravvivenza dei nati prima di 32 settimane di gravidanza (i “gravi pretermine”) è intorno all’85%. Il 10% dei “gravi pretermine” può presentare problemi a carico del sistema nervoso, della vista e dell’udito, e il 30% anche dei problemi meno rilevanti a carico della crescita e del sistema respiratorio. Inoltre per questi bambini sono più frequenti i ricoveri ospedalieri ed è maggiore il rischio di morte in culla (SIDS)».
La medicina però viene in aiuto di questi “piccolissimi”. «Grazie al miglioramento dell’ assistenza e della tecnologia possiamo dire che oggi la maggior parte dei “grandi pretermine” ha una buona prognosi ed anche il ritardo di sviluppo che si può notare viene in genere completamente recuperato entro i primi due anni di vita.
Accanto alle famiglie
La nascita di un neonato prima del termine può mettere in grossa difficoltà la famiglia anche dal punto di vista emotivo. La mamma deve recuperare la convinzione di essere capace di fare “la mamma”. Condizione fondamentale è che la mamma trascorra più tempo possibile con il suo neonato anche se nei casi di bambini di peso molto basso (in terapia intensiva) il nodo è la presenza fisica: la mamma deve poter toccare, vedere, rendersi conto, assistere personalmente il proprio bambino in modo tale da riacquistare la capacità a sentirsi adeguata alle richieste del suo bambino.
«Tutti gli operatori – puntualizza la neonatologa -, specie in terapia intensiva, devono essere impegnati per dare adeguato sostegno alla famiglia anche con il coinvolgimento di neuropsichiatri, psicologi, tecnici della riabilitazione, ecc. È un percorso che deve essere eseguito in centri con esperienza di lavoro multidisciplinare. Nelle terapie intensive neonatali esistono programmi bene definiti di follow-up che consentono di seguire la crescita e lo sviluppo dei neonati prematuri in collaborazione tra il medico di base e gli specialisti che hanno seguito il bimbo durante la sua degenza in ospedale (neonatologi, neuropsichiatri infantili, tecnici della riabilitazione, oculisti, chirurghi, otorinolaringoiatri, audiologi, nutrizionisti, ecc.). Il numero ed il tipo di visite vengono decise in base alla situazione clinica del bambino alla dimissione ed il programma può variare in caso di necessità».
Cristina Menghini
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