26 Ottobre 2023
LA FISIOTERAPIA IN PIEMONTESE. A tu per tu con Roberto Solera, massofisioterapista
Anche se siamo davanti ad un professionista, per la precisione un massofisioterapista, con Roberto Solera possiamo (e dobbiamo) rilassarci perché “non se la tira”! Il suo curriculum è di tutto rispetto: per 20 anni ha lavorato in una RSA (Residenza Sanitaria Assistenziale) di Pinerolo, 5 da collaboratore e 15 da titolare con una sua collega già compagna al liceo. Da 4 anni a questa parte è libero professionista in una struttura del territorio. Ha conseguito la Laurea all’ISEF in massofisioterapia con la specializzazione in chinesiologia rieducativa.
Chiediamo a Roberto, che è sposato e ha due figli (Giulia di 20 anni e Jacopo di 16), qualche informazione sulla peculiarità del suo lavoro.
Come hai scelto il tuo percorso di studi? Che cosa ti piaceva fare?
Ho sempre amato il movimento: da bambino sono stato particolarmente irrequieto e vivace, forse oggi sarei certificato come iperattivo! Ispirato dai miei insegnanti di Educazione Fisica alle Medie prima e al liceo Scientifico poi, avrei voluto fare l’insegnante. Poi la folgorazione durante il corso di studi per la ginnastica correttiva e infine l’aspetto rieducativo del movimento inteso come momento di igiene di vita.
Che cosa fai ora? Quale è la tua specializzazione?
Attualmente, trascorsi 20 anni principalmente a contatto con il mondo degli anziani, mi occupo più di rieducazione post traumatica in fase post acuta o su patologie croniche/degenerative cercando di spiegare che il giusto equilibrio di una vita in movimento, ma senza eccessi, può ritenersi fondamentale per una buona qualità di vita, soprattutto in una fase di età un po’ più avanzata.
Quale è l’aspetto del tuo lavoro che ti gratifica maggiormente?
Mi dà molta soddisfazione vedere la gratitudine delle persone che riescono a superare i momenti difficili causati da un trauma fisico o ad una limitazione della propria vita quotidiana legata ad un’impossibilità funzionale del proprio corpo.
Quella meno?
Alcuni che “delegano”, visto che ti pagano, la soluzione dei loro problemi a te.
La tua più grande soddisfazione lavorativa?
Vedere una persona, magari uno sportivo, che dopo un trauma e dopo un lungo percorso, fatto anche di alti e bassi, ritorna a fare ciò che più ama.
Ma ci sono anche insuccessi…
Certamente. Alcune volte, nonostante il massimo impegno di operatore e paziente, le cose non vanno come vorremmo e malgrado tutto la situazione peggiora anziché migliorare. A questo punto entra in gioco il medico, grazie alla cui preziosa collaborazione possiamo velocizzare la prescrizione di esami utili alla diagnosi o l’impiego di nuove terapie, magari strumentali o farmacologiche, adatte a migliorare una situazione peggiorata.
Quanto è importante entrare in empatia con i pazienti?
L’empatia con il paziente è fondamentale perché si crei la cosiddetta “alleanza terapeutica” tra l’operatore che fornisce spunti e la persona che cerca di metterli in atto. Dico sempre che il professionista propone, e deve cercare di farlo sempre al meglio delle sue possibilità, e il paziente dispone anche egli al meglio che può.
Con alcuni pazienti parli in piemontese…
L’uso del dialetto, nel mio caso il piemontese, è stato fondamentale per entrare in contatto, soprattutto in RSA, con persone spesso un po’ disorientate dai cambiamenti e che in una parola detta in piemontese vedevano un rimando al loro background ed un’ancora cui aggrapparsi, tendendo a considerati un po’ più vicino a loro.
Ad oggi, per questa caratteristica, vengo bonariamente preso in giro dai miei colleghi perché riesco a sostenere quasi un’intera seduta in piemontese facendo sentire a proprio agio una fascia di persone un po’ più avanti di età.
Quale è il rapporto lavorativo con i medici?
Attualmente il rapporto con i medici è in evoluzione in quanto nello studio medico in cui lavoro, fino a 4 anni fa (di cui 2 funestati dal periodo covid) la nostra figura non esisteva e quindi stanno ancora scoprendo che cosa facciamo precisamente. Per noi, come detto in precedenza, sono una preziosa risorsa per accelerare, se serve, il tempo di recupero del paziente.
Ci racconti un episodio che ti ha colpito?
Diversi anni fa, quando ancora lavoravo in struttura, un’ospite assai taciturna e poco propensa a comunicare ha seguito passo passo le tappe della mia vita privata facendomi recapitare dalla figlia un pensiero quando mi sono sposato e uno per ogni nascita dei miei due figli e non dicendo mai nulla in merito. Questo mi ha fatto riflettere sul fatto che gli attestati non sempre hanno bisogno di parole, cosa assai strana per me che sono, a detta di colleghi e pazienti, un gran chiacchierone!
Cristina Menghini
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