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Michail Gorbaciov e Giovanni Paolo II

Michail Gorbaciov e Giovanni Paolo II

Pier Giuseppe Accornero ricorda i rapporti tra papa Giovanni Paolo II e Michail Gorbaciov, ultimo presidente dell’Unione Sovietica, scomparso il 30 agosto 2022.

L’apertura dell’Independent sulla morte di Gorbaciov

«La sera parlai con Giovanni Paolo II dell’incontro con Michail Gorbaciov. Il Papa non esitò: “È un uomo di principi”. Gli domandai cosa fosse un uomo di principi. “È una persona che crede così tanto nei suoi valori da essere disposta ad accettare tutte le conseguenze, anche se possono dispiacergli e non tornargli utili”». Così raccontò il 22 ottobre 2010 in una scuola di Firenze davanti a 250 studenti, lo spagnolo Joaquin Navarro-Valls, l’ex direttore della Sala Stampa vaticana esce in questa sorprendente confidenza.

 

Il crollo del muro

Trentatré anni fa, il 9 novembre 1989, sotto i colpi dei berlinesi e gli sguardi attoniti dei «vopos» della Repubblica Democratica Tedesca, della polizia segreta Stasi e dei «cugini» del Kgb – tra cui il tenente colonnello Vladimir Putin – comincia a cadere a pezzi il Muro di Berlino, a crollare il comunismo in Europa, a squagliarsi l’Unione Sovietica, ad avviarsi la riunificazione tedesca. Neppure un mese dopo, il 1° dicembre 1989, Michail Gorbaciov, presidente dell’Urss e segretario del Partito comunista sovietico, visita Giovanni Paolo II in Vaticano.

 

LA FINE DI UN’EPOCA

La caduta del Muro è la fine del Novecento, secolo di due orribili guerre mondiali e delle più brutali dittature: comunismo, fascismo, nazismo. Crolla la «barriera di protezione antifascista» – come la chiamavano i comunisti – che, per 28 anni, spacca in due Berlino, la Germania e l’Europa, simbolo della «guerra fredda» che intossica i due blocchi, separati dalla «cortina di ferro» da Stettino sul Baltico a Trieste sull’Adriatico. Dall’immane secondo conflitto mondiale  l’Europa esce a pezzi; la Germania sconfitta, smembrata, umiliata; l’Unione Sovietica occupa Europa centro-orientale, Germania e Berlino Est. Gli occidentali si dividono Berlino Ovest. Vige l’equilibrio del terrore atomico tra Occidente (Usa e Paesi Nato) e Oriente (Urss e Paesi del Patto di Varsavia). Il comunismo soffoca Bulgaria, Cecoslovacchia, Germania orientale, Polonia, Romania, Ungheria. Mosca sigilla gli accessi di Berlino (1948-49). Incrociano le braccia 300 mila operai di Berlino Est (1953): «Siamo lavoratori, non schiavi». Al grido «Pane e libertà. Via i comunisti» gli operai di Poznan in Polonia (1956) insorgono. La sollevazione in Ungheria (1956) è stroncata dai sovietici: 4.000 morti, migliaia di feriti, 250 mila fuggiti in Occidente. La «primavera di Praga» (1968) è soffocata nel sangue. I 160 chilometri di cemento armato e filo spinato con la corrente, i cecchini armati, i bunker, la «striscia della morte», i «checkpoint Charlie, Alpha e Bravo» rappresentano, dal 13 agosto 1961, una barriera (quasi) invalicabile che divide lo sposo dalla sposa, il fratello dalla sorella, i genitori dai figli, gli amici dagli amici. Il presidente americano John Fitzgerald Kennedy il 26 giugno 1963 si affaccia sul Muro e proclama: «Ich bin ein Berliner. Io sono un berlinese»; il 13 settembre 1964 il pastore battista Martin Luther King rivendica: «Qui a Berlino ci sono figli di Dio da tutte le parti del muro e nessun confine costruito dall’uomo potrà mai cancellarlo». Il 12 giugno 1987 alla Porta di Brandeburgo il presidente Ronald Reagan invita Gorbaciov: «Abbatti questo muro».

 

GIGANTESCO CAMBIAMENTO SENZA SPARGIMENTO DI SANGUE

Per giudizio unanime degli storici, Giovanni Paolo II fu tra coloro che più contribuirono al crollo e al successivo dissolvimento dell’impero sovietico e del suo dominio. Joaquin Navarro-Valls annota che «quel gigantesco cambiamento è avvenuto senza spargimento di sangue. Era quasi come se Giovanni Paolo II se lo aspettasse». Il 16 ottobre 1978 la sua elezione beffa gli agenti del KGB e i gerarchi comunisti al Cremlino: furibondi, se la pigliano con i polacchi. Il figlio della Polonia apre una crepa con il primo viaggio in patria il 2-10 giugno 1979. C’è anche Anastasio Alberto Ballestrero, cardinale arcivescovo di Torino e presidente dell’episcopato italiano. Nella sua Cracovia, Wojtyła lo indica alla folla: «Quello è il mio presidente perché il vescovo di Roma fa parte della Conferenza episcopale italiana ed è importante perché in Italia i vescovi non sono 70 come in Polonia, ma più di 300». Anche nel 1983 e nel 1987 «continuava a lanciare i suoi messaggi all’Europa. Fu un capolavoro straordinario». Affermava: «Il più grave e fondamentale errore del socialismo reale era antropologico». Spiega Navarro-Valls: «La cosa sorprese le cancellerie. Ma lui capiva benissimo che l’errore di base del socialismo era una visione sbagliata dell’uomo che il comunismo voleva ricreare. Quindi si aspettava il cambiamento e continuò a ripetere il suo messaggio, che fu perfettamente capito nell’Est europeo».

 

MIKHAIL GORBACIOV AMMIRAVA PAPA WOJTYLA

Nel 1989 l’ultimo segretario del Partito Comunista scrive una lunga lettera a Giovanni Paolo II «in cui – testimonia l’ex portavoce – citava frequentemente le encicliche di Giovanni Paolo II. La sua affermazione, e cioè che “non si può capire ciò che è successo in Europa senza tener conto del lavoro, della presenza e delle parole di Giovanni Paolo II”, è una verità storica». Afferma Gorbaciov: «Tutto ciò che è successo nell’Europa orientale non sarebbe stato possibile senza Giovanni Paolo II». Sergio Trasatti, caporedattore de «L’Osservatore Romano» e cronista di molti viaggi di Wojtyla, nel documentatissimo volume «La croce e la stella. La Chiesa e i regimi comunisti in Europa dal 1917 a oggi» racconta: «”E la Chiesa del silenzio?” La domanda raggiunse il Papa come una staffilata, il 4 novembre 1978 ad Assisi. La piazza straripava. Era uno dei primi incontri con la folla e l’entusiasmo era alle stelle. Dopo quelle parole lanciate chissà da chi non si sentiva volare una mosca. “La Chiesa del silenzio? La Chiesa del silenzio non esiste più. Ora parla con la voce del Papa” replicò Wojtyla». Quando Gorbaciov il 1° dicembre  1989 va in Vaticano il Muro sta crollando. Gli dice il Papa: «La visita è un seme carico di promesse che permette di guardare all’avvenire delle comunità dei credenti con maggiore fiducia».

Pier Giuseppe Accornero

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