12 Settembre 2017
L’Africa che colpisce dritta al cuore!

È la quarta volta che torno in Africa e, come si dice da quelle parti, o l’Africa ti respinge o ti trattiene per sempre, ossia una parte di te resta lì, ancorata a quella realtà cruda e vera che un po’ ti “ribalta”.
L’Africa è un po’ come una donna: si cerca di capirla con tutte le forze, ma non si farà mai conoscere fino in fondo. La sua cultura è così ancestrale, così viscerale, così legata a tutto ciò che è tradizione e religione, religione e tradizione. L’Africa è donna, perché ogni volta che ritorno capisco e resto affascinata dalla forza delle donne africane, il loro non cedere mai, l’andare avanti tra carichi e pesi di una vita difficile, con strade piene di buche e sassi, con bambini e pesi sulla testa, come se un po’ si caricassero il peso di un mondo che ancora deruba e non ridona mai.
La cosa che più mi ha colpito di questo viaggio sia stato il ragionare sul diritto alla cura. Siamo stati in villaggi in cui un ascesso ad un dente di un bambino può diventare una morte bianca per mancanza di cure, o dove una lieve complicazione in un parto può compromettere per sempre la salute del nascituro, dove le ferite aperte sui piedi dei bimbi diventano un nugolo di bestie ed insetti di vario genere.
Sono stata in Repubblica di Guinea per quasi un mese. Sono andata con l’Associazione GuineAction di Formia, con cui collaboro da tre anni, grazie all’amicizia nata con don Pierre Babà Mansare, prete locale, conosciuto in un mio precedente viaggio del 2013. Tra il 2013 ed oggi, Ebola, l’uscita del libro “Pozzo e Cenere”, l’idea del progetto di una scuola, l’avvio alla costruzione. Sono state tre settimane intense, speciali, dure ma di una completezza tale che vedere don Pierre tra la propria gente dava un significato a tutto: agli incontri casuali, all’impegno, all’importanza che ha la cultura per costruire un domani per questa terra.
Tre settimane delle quali una trascorsa nella sistemazione di un dispensario medico nella cittadina di Kankan (con farmaci raccolti in Italia), tra prodotti da ordinare e bambini con cui giocare, tra bans e bolle di sapone, tra parti e cure (c’erano nel gruppo un’ostetrica e un’infermiera), tra interviste e riunioni con il personale (nel gruppo c’era una ragazza che stava preparando la tesi in cooperazione e sviluppo). Dopo una settimana dai ritmi frenetici – quasi occidentali – con 10 ore di strada con salti e buche, siamo arrivati a Kissidogou, un villaggio dai ritmi lenti, con l’acqua al pozzo da andare a prendere, con la scuola in costruzione e un cantiere da seguire (c’era con noi un architetto), con bambini perennemente presenti nella nostra vita quotidiana cui dare un nome ed un volto (impossibile non lasciare loro un pezzetto di cuore). Qui l’arrivo dei medicinali italiani è visto come fonte di salvezza. Poi ci sono le 350 adozioni allo studio che l’Associazione GuineAction ha creato: c’è da conoscere i bimbi adottati che scrivono letterine ai loro amici italiani. E ancora: ascoltare con le proprie orecchie che cosa don Pierre ha fatto per la propria gente durante il periodo drammatico di Ebola; ammirare il verde meraviglioso e i bambini di una bellezza ancora più ammagliante del verde dei paesaggi.
Un viaggio che si è concluso con due giorni a Konacry, la capitale. L’inferno. Una discarica a cielo aperto, con ingorghi di traffico e un formicaio di persone. I topi camminano a fianco dei bambini e i bambini non riescono neanche a respirare tra lo smog e la polvere perenne. Dopo i primi minuti già non hai dubbi sul perché molta gente d’Africa cerchi un futuro migliore.
Un viaggio che nella maturità della quarta scoperta, trova l’incanto e la meraviglia di una terra che continua a colpire dritta, dritta al cuore!
Annalisa Bertrand
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