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Al tramonto della vita. Il Documento CEI per la Giornata della Vita

Al tramonto della vita. Il Documento CEI per la Giornata della Vita

«La pandemia fa sperimentare in maniera inattesa e drammatica la limitazione delle libertà e fa riflettere sul senso della libertà in rapporto alla vita». Nella prima domenica di febbraio da 43 anni la Chiesa italiana celebra la «Giornata per la vita», quest’anno sul tema «Libertà e vita» che si collega all’altro documento «Alla sera della vita. Riflessioni sulla fase terminale della vita terrena» della Commissione episcopale per il servizio della carità e la salute e dell’Ufficio per la Pastorale della salute, sul tema del morire: la Chiesa dialoga «con gli operatori sanitari credenti e non credenti, con coloro ai quali è affidata la cura pastorale, con le famiglie che stanno accanto ai malati nella fase finale della vita e con chi affronta la sofferenza».

NELLE CASE PIÙ CANI CHE BAMBINI

Il problema non è tanto la libertà ma l’uso di essa. Osserva la Cei: «La libertà può distruggere sé stessa. Una cultura pervasa di diritti individuali assolutizzati rende ciechi e deforma la percezione della realtà, genera egoismi e derive abortive ed eutanasiche, interventi indiscriminati sul corpo umano, sui rapporti sociali, sull’ambiente. Un uso individualistico della libertà rompe le relazioni; distrugge la «casa comune»; rende insostenibile la vita; costruisce case in cui non c’è spazio per la vita nascente; moltiplica solitudini in dimore abitate sempre più da animali e non da persone». Nelle case degli italiani ci sono più cani che bambini. «Dire sì alla vita è il compimento di una libertà che può cambiare la storia. Ogni uomo merita di nascere e di esistere e possiede, dal concepimento, un potenziale di bene e di bello che va espresso e trasformato, un potenziale non cedibile», come disse Papa Francesco il 25 marzo 2020 nel 25° dell’enciclica di Giovanni Paolo II «Evangelium vitae»: «Ogni vita umana, unica e irripetibile, vale per sé stessa, costituisce un valore inestimabile» per cui non si stanca di ripetere: «Rispetta, difendi, ama e servi la vita, ogni vita».

DAI MALATI NESSUNA RICHIESTA DI EUTANASIA

Il documento «Alla sera della vita» evidenzia che cos’è la vita, perché non è disponibile, perché non esiste un «diritto a morire» né la «libertà di autodeterminazione del paziente». Ai cantori-propugnatori dell’eutanasia va ricordato come «in nessun hospice, cattolico e non, c’è mai stata alcuna richiesta di eutanasia». Non è pensabile un «diritto a morire» perché se ci fosse dovrebbe esserci anche un dovere di qualcuno a porre fine alla vita, cioè a uccidere, cosa inaccettabile. Il malato che si prepara a concludere la vita deve restare al centro del sistema di cure. Determinante il tema delle cure palliative: la legge è buona, ma l’applicazione non è uniforme».

IL GRIDO DI GIOBBE

«Oh, avessi uno che mi ascoltasse» urla Giobbe (31,34), personaggio biblico del quale Francesco parla nel messaggio per la 29ª Giornata mondiale del malato. «Alla sera della vita» è un’espressione presa a prestito dal mistico spagnolo Giovanni della Croce (Juan de Yepes Álvarez, 1542-1591, co-fondatore dei Carmelitani). È il contesto delle relazioni a fare la differenza per cui buone relazioni rendono inutile il richiamo eutanasico e – dice il Pontefice – «l’ombra dell’eutanasia scompare o diventa quasi inesistente». Il documento afferma: «Le comunità cristiane sanno accogliere questa sfida: si tratta di non abbandonare nessuno nell’angoscia e nella sofferenza e testimoniare che siamo destinati a qualcosa di più grande, nella gioia del Risorto».

«PRENDERSI CURA DELLA PERSONA MALATA»

«Al tramonto della vita» si rivolge a tutti, non solo ai cristiani; valorizza al massimo il contributo della scienza; entra in dialogo con il sapere e l’operare di medici e operatori sanitari: «La sacralità della vita può essere riconosciuta da ogni intelligenza umana, credente e non credente». E sostiene la necessità di passare dal «curare la malattia» al «prendersi cura della persona malata» in tutte le sue dimensioni. In questa luce il grido di Giobbe, metafora del dolore e dell’abbandono, potrebbe avere una risposta. Dove ci si prende cura del malato, la richiesta di eutanasia e di suicidio assistito crolla.

Pier Giuseppe Accornero

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