27 Giugno 2014
Vittorio Bachelet, un cattolico a servizio dello Stato
22 giugno 2014
Ai funerali il figlio pregò per «quelli che hanno colpito il mio papà perché senza nulla togliere alla giustizia che deve trionfare, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri».
È senza ombra di dubbio limpido testimone di quella generazione di laici cattolici cresciuti nella Gioventù Cattolica di Bologna e poi nella Fuci di monsignor Montini, di don Guano e di don Costa.
«A quella scuola egli aveva imparato a cercare l’unità dei valori umani e dei valori cristiani, un’armonia tra i diritti e i doveri del cittadino e del cristiano, una sintesi tra la scienza e la fede, la libertà e l’obbedienza e a non dissociare vita della Chiesa e servizio dell’uomo» (Vita e Pensiero 1981/2).
Laureatosi nel 1947, diverrà pochi anni dopo docente di Diritto amministrativo dapprima a Pavia, poi a Trieste e infine alla Sapienza di Roma ordinario di Diritto pubblico dell’economia. Condirettore del periodico “Ricerca” dei Laureati cattolici e poi della rivista di studi politici “Civitas”. Pubblicò vari studi.
Nel 1951 si sposa ed ha due figli.
Non abbandona mai la militanza nell’Azione Cattolica, divenendo vice presidente nazionale nel 1959, nominato da Giovanni XXIII e poi con Paolo VI, nel 1964 presidente generale, riconfermato per due mandati successivi sino al 1973. La missione che riceve dai due Papi è «rinnovare l’Azione cattolica per attuare il Concilio». Egli infatti riporta nella vita interna dell’associazione forme democratiche di elezioni dei dirigenti, accompagna il rinnovamento conciliare della liturgia, promuove una più intensa corresponsabilità dei laici nella Chiesa e guida l’associazione verso un progressivo distacco dall’impegno politico diretto.
La sua formazione di cattolico democratico fece di lui un grande servitore dello Stato.
Iscritto alla DC, in amicizia con Moro, nel 1976 viene eletto Consigliere comunale a Roma e poi Vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura.
Nelle vicende umane del suo tempo non visse mai ai margini e da estraneo, ma sempre nel cuore di esse, preoccupato al tempo stesso di rispettarne l’autonomia, la complessità e di operare perché la ricchezza della fede e dei valori evangelici ne orientassero il cammino storico, germinando attraverso un maturo senso della storia e un vitale innesto nella Chiesa, una autentica responsabilità civile.
Il 12 febbraio 1980, al termine di una lezione, mentre conversa con la sua assistente Rosy Bindi, viene assassinato da un nucleo armato delle brigate rosse scendendo la scalinata dell’Università, con 7 proiettili calibro 32 Winchester. A sparare furono Anna Laura Braghetti e Bruno Seghetti.
Un grande gesto sarà quello del figlio Giovanni, all’epoca venticinquenne, che, nella preghiera dei fedeli durante il rito funebre, pregò per «quelli che hanno colpito il mio papà perché senza nulla togliere alla giustizia che deve trionfare, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri».
Aurelio Bernardi
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