16 Marzo 2018
Verso Santiago de Compostela. Il cammino di Irene

Irene Mascia, 34 anni, la scorsa estate parte da Milano per Santiago. La sua è una scelta di cuore: «era un periodo di problemi. Problemi sul lavoro, problemi nella vita privata. Problemi, problemi, problemi. La notte del 18 luglio, dopo una profonda crisi di pianto, mi sono svegliata e ho sentito nella mia testa una vocina: “fai il cammino di Santiago”. Da quel momento si verificarono tutta una serie di eventi che mi aprirono la strada verso la realizzazione di questo viaggio. Solo che non avevo minimamente idea a che cosa stessi andando incontro». Partono i preparativi. «Mi attivo, compro tutto quello che mi serve, prendo i biglietti e il 5 agosto parto. Oltre quello dello zaino, avevo un altro peso: la paura, paura di scoprire la mia fragilità. Avevo paura di non sapermela cavare da sola, paura di incontrare me stessa e non sapermi affrontare. Avevo paura di me. Ma sono partita lo stesso».
Irene inizia a camminare dalla città di Leon, in Spagna, quindi più o meno a metà strada. «Ero in centro a chattare con una mia amica e le ho chiesto: “domani mattina da che parte devo andare per iniziare il cammino?” Lei mi ha risposto: “Devi seguire le frecce gialle e le conchiglie”. Metto via il cellulare. E sotto ai miei piedi vedo una freccia gialla e una conchiglia disegnate sulla strada. Chiedi e ti sarà dato. La mattina dopo sveglia alle 5. Vasellina suoi piedi per evitare le vesciche, zaino in spalla e si cammina».
Ed il primo giorno è già una lezione di vita: «La prima cosa che si impara è salutare chi incontri. Qui non lo facciamo mai. Prati infiniti, campi di grano color oro e cieli azzurri, nuvole così bianche da sembrare dipinte, città grandi ricche di storia, piccoli paesi dove il passato è raccontato attraverso i muri di pietra e i tetti di paglia e le rughe dei vecchietti seduti sotto al sole galiziano. Persone che escono dai propri negozi per offriti un caffè o del cibo. Pomodorini appena raccolti, biscotti appena sfornati, un tramezzino. La gente non chiede nulla in cambio, ma nella mentalità italiana esiste il pensiero per cui se qualcuno ti offre qualcosa, è perché in cambio vuole altro. Lungo il cammino ho imparato che non è così».
A condire il cammino di Irene sono le lacrime: «Ho pianto tanto. All’inizio di paura. Poi di dolore. Poi per malessere (mi sono fatta un paio di viaggi in ospedale). Infine di pura felicità. Dopo l’ospedale per la congestione, le flebo, le tendiniti, le vesciche, la gastroenterite, la quantità impressionante di carta igienica lasciata in giro per la Spagna, sono arrivata a Santiago. Ho percorso 350 km a piedi in 15 giorni. Sono arrivata davanti alla Cattedrale di Santiago, credendo che avrei provato l’emozione forte e intensa per aver raggiunto la meta… e invece mi serviva il bagno!»
Qui l’incontro illuminante con padre Paco. «Dopo la cura, una doccia, la cena, alle 22 padre Paco porta tutti noi pellegrini in una cappella privata all’interno della Chiesa, ci fa prendere da un cestino un sassolino con sopra disegnata una freccia gialla – la freccia del Cammino – e ci fa leggere un testo. Poi ci ha invitato ad abbracciarci gli uni con gli altri e a donarci pace. Quando mi ha abbracciata lui, mi dice: “Irene, tu hai il nome più bello del mondo. Vuol dire pace”.
E quello è stato il momento. Il “mio” momento in cui ho sentito qualcosa di unico e potente dentro di me, scaldare il mio petto e irradiarsi ovunque. Mi sentivo come se fossi fatta di luce e calore, come se per la prima volta in vita mia stessi davvero respirando. Mi sentivo in pace. E grata. Grata per la prima volta ai miei genitori per avermi dato la cosa più importante. La pace. Perché non è solo nel mio nome. È anche nella mia identità, nel mio essere Irene ogni giorno. E quella sensazione non mi ha più lasciata. Quella notte ho pianto tanto, sulla brandina sfondata e pulciosa del convento. E ho sentito DIO nel cuore».
Dopo diversi mesi l’esperienza non è sbiadita. E Irene progetta già di riprendere il cammino…
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