15 Giugno 2011
Un miracolo eucaristico dimenticato
Don Trombotto, negli ultimi anni della sua vita, si era dedicato con passione alla storia locale Ludovico di Savoia in guerra con Carlo VII re di Francia, conquistata Exilles e saccheggiato il paese e la stessa chiesa, si diresse verso Torino con il bottino.
Entrate le truppe in città il 6 giugno 1453, il mulo che portava i vasi sacri rubati inciampò e cadde. Da un sacco uscì un’Ostia consacrata conservata in una pisside dorata. Quest’Ostia si sollevò in aria e solo quando giunse il vescovo Ludovico di Romagnano essa scese nelle sue mani.
Così racconta la tradizione.
A ricordo di quel prodigio venne costruita dapprima una cappella con alcuni dipinti, poi un piccolo tempio ed infine nel 1598 l’attuale chiesa del Corpus Domini.
Don Giuseppe Trombotto nelle sue ricerche storiche trovò un avvenimento simile che avvenne, alla fine del 1400 a Pragelato che allora faceva parte della diocesi di Torino.
Così lo tradusse e lo commentò.
Lo descrive il vescovo di Torino, Claudio di Seyssel, nella sua opera “Adversus Valdenses…”, scritta nel 1518 al suo ritorno da una visita missionaria nelle valli valdesi, ma pubblicata dopo la sua morte nel 1520. Così descrive il fatto: «II Signore… ha compiuto grandi segni e miracoli che sono comprovati da pubblici e autentici documenti e dalla testimonianza di persone ancora in vita e degne di piena fiducia… Ne riferiamo uno che è accaduto circa venti anni fa, in quella regione che è conosciuta come valle valdese, e che noi stessi abbiamo appreso poco tempo fa da molti abitanti di quella regione, testimoni dell’accaduto.
Prese fuoco, per caso o per disegno di Dio, la chiesa di un villaggio, chiamato Pragelato, situato tra le Alpi, nella nostra diocesi torinese. Tra il materiale che fu distrutto dal fuoco c’era una pietra sacra di grande spessore che stava sopra l’altare e fu completamente invasa dalla veemenza del calore. Sopra questa pietra stava il sacro sacramento dell’eucarestia, chiuso in una teca di legno appesa con una cordicella nel mezzo dell’altare, e avvolto in un panno di lino benedetto, che noi chiamiamo corporale. Orbene, quando fu spento il fuoco, o cosa ammirabile e testimonio sicuro della nostra religione!, fu trovata da tutti gli abitanti del paese, tra le ceneri, sopra la pietra spezzata, l’ostia intatta e illesa, ancora avvolta nel corporale intatto, mentre tutte le altre cose all’intorno erano bruciate o incenerite …
Così con un solo miracolo, è stata confermata l’autorità del nostro sacerdozio, la verità di questo sacramento, che noi consideriamo il più grande, e la potenza della chiesa romana» .
Che cosa pensare del fatto e della interpretazione del fatto?
Il fatto certamente è accaduto come viene descritto.
È accaduto appena venti anni prima, è accaduto nelle vicinanze, a pochi chilometri da Torino; tutto il paese è stato testimone e i testimoni sono ancora vivi. Chi lo descrive non è una persona qualunque. È uno dei vescovi migliori che ha avuto, purtroppo per soli tre anni, la diocesi di Torino. In precedenza è stato un umanista e un diplomatico conosciuto in tutta Europa, ministro del re di Francia e stimato dal duca di Savoia che lo volle a Torino. L’interpretazione è singolare. Il fatto viene interpretato come un segno di Dio, non tanto per dimostrare la presenza reale di Cristo nell’eucarestia, come è avvenuto per gli altri miracoli eucaristici: questa verità mai fu messa in dubbio dai valdesi e neppure, almeno all’inizio, dalla riforma; ma invece come dimostrazione della verità della chiesa cattolica e del sacerdozio cattolico, cose contestate dal movimento valdese fin dall’inizio e specialmente nel tempo in cui avvenne il fatto narrato.
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