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Approfondimenti  

Repubblica Centrafricana. Intervista a Rino Perin, vescovo della Diocesi di M’baïki

Repubblica Centrafricana. Intervista a Rino Perin, vescovo della Diocesi di M’baïki

Una coltre di nebbia pare ricoprire l’Africa. Quello che accade in quel continente normalmente non giunge a noi del nord del mondo. In situazioni molto particolari la nebbia si dirada, come quando papa Francesco spingendo le porte della cattedrale di Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, aprì l’anno della Misericordia. In quel momento il mondo si accorse anche dell’esistenza dell’RCA. Dopo di che la nebbia prese nuovamente il sopravvento. Nonostante gli appelli di padre Alex Zanotelli, comboniano ed articolista della rivista Nigrizia, ai suoi colleghi della carta stampata a cercare di penetrare in quella “nebbia” la situazione non pare cambiare.
Proviamo a farlo noi, nel nostro piccolo, raccontando l’incontro avuto con monsignor Rino Perin a Pinerolo. Da 42 anni è in Centrafrica, e da 22 come Vescovo della Diocesi di M’baïki. Un grande Paese, con una superficie più grande del doppio di quella italiana e poco più di 5 milioni di abitanti, tra i più poveri del mondo con una speranza di vita che non arriva a 50 anni e al 188° posto nella classifica mondiale del reddito pro-capite. Eppure le risorse minerarie non mancano: uranio, ferro, rame, oro e soprattutto diamanti.
Quali sono le ragioni di questa estrema povertà?
Il problema è l’instabilità politica: i colpi di stato si susseguono dal 1975 e dal 2012 è in corso una spietata guerra, tra le milizie Séléka e quelle anti-Balaka. I Séléka sono una coalizione di forze a maggioranza musulmana, con mercenari e gruppi armati di varia matrice provenienti anche da aree dei Paesi confinanti. Gli anti-Balaka – gente del posto “i partigiani”, letteralmente anti-macete – sono per lo più cristiani e animisti. La scintilla della guerra è scattata per la paura delle azioni militari iniziate dai Séléka, mentre in precedenza le relazioni tra musulmani e cristiani erano buone. Non è una guerra di religione, ma di sfruttamento delle risorse e dovuta ad una profonda frattura sociale, che ha portato distruzione, morti e rifugiati.
È però in vigore l’embargo delle armi.
Effettivamente l’ONU impedisce, attraverso l’embargo, l’entrata delle armi in Centrafrica per il Governo, ma i guerriglieri ribelli di tutte le fazioni sono costantemente riforniti.
Viene definita una guerra a bassa intensità, dove anche gli interventi dell’operazione MINUSCA – i caschi blu dell’Onu – sono andati incontro a grandi fallimenti nel disarmare i ribelli. L’operazione Sangaris, delle Forze Armate Francesi, ha portato invece un po’ di ordine, salvando diverse zone, ma ora ha lasciato il Centrafrica.
Numerosi sono stati i casi in cui i primi soccorsi sono stati forniti dalla Chiesa. Le organizzazioni umanitarie sono molto lente negli aiuti: nello scorso maggio l’Onu ha invitato i musulmani di Bangassou a rifugiarsi nella moschea, per poi abbandonarli e lasciarli oggetto di bersaglio delle fazioni opposte ogni qualvolta dovevano uscire per procurarsi cibo e acqua. Li ha portati in salvo in Seminario il Vescovo Juan José Aguirre Muñoz, fornendo loro i beni di prima necessità. La CECA (Conférence Episcopale Centrafricaine) ha tenuto la sua seconda Sessione Annuale a fine giugno 2017 in un’altra città martire, Kagabandoro, al Nord. I Vescovi hanno visitato la cittadina e i dintorni: la situazione è insostenibile ed inumana. Dall’ottobre 2016 la maggior parte della gente ha avuto la casa bruciata e ha dovuto fuggire nelle vicinanze, in periferia, nell’erba, tra il fango, coperta da teli di plastica, dove vive tuttora. In 15 Regioni su 18 in Centrafrica la gente fugge per la violenza e la fame, i profughi sono migliaia. E sono tantissimi i siti ove si rifugiano. In Bangui esiste un hotel di lusso, il Ledger Plaza: per ironia, molto spesso vengono chiamati “ledger” i luoghi dove questa povera gente cerca di sopravvivere, in condizioni disperate.
Al momento non si vedono spiragli di pace?
La situazione è delicata e complessa. Lo stesso accordo del 20 giugno scorso, firmato nella Comunità di Sant’Egidio a Roma, per ora non è stato risolutivo, perché da allora sono di nuovo avvenuti scontri, con molte vittime. Vorrei ricordare la visita del Papa a Bangui, in occasione dell’apertura della Porta Santa il 29 novembre 2015: la città è cambiata da allora, c’è più sicurezza e speranza. Mi auguro che possa espandersi anche alle altre zone del Paese. Il gesto del Papa è stato coraggioso: ha voluto fermarsi una notte in Centrafrica, contro la volontà di tutte le forze di sicurezza. Non so se sia vero, ma si racconta un aneddoto: pare che Francesco abbia detto «Se non atterrerà l’aereo a Bangui, scenderò col paracadute». Il suo discorso ai giovani – nel quale ha usato due parole in lingua sango “ndoye”- amore e “siriri”- pace, che io stesso gli avevo suggerito durante l’incontro di benvenuto dei vescovi, ha suscitato un entusiasmo enorme e ha ridato fiducia a musulmani e cristiani.
Ci ha tratteggiato una situazione di guerra devastante con risvolti sulla vita sociale.
L’aumento della povertà ha portato un aumento degli aiuti umanitari urgenti, con una triste conseguenza: la diminuzione dell’impegno individuale e l’aumento dell’assistenzialismo. Occorrono aiuti in vista di una progressiva autonomia di azione di sviluppo comunitario e individuale responsabile. Vi è un forte rifiuto di tornare alla convivenza tra musulmani e non musulmani. Per quanto riguarda l’istruzione, il livello di preparazione degli insegnanti è scarso, con conseguente abbassamento continuo del livello scolastico ed accademico.
La povertà e l’ignoranza hanno accresciuto e risvegliato la realtà culturale della stregoneria. La gioventù sbandata si accanisce ed elimina, con morte violenta, poveri, vecchi e gente eccentrica, anche bambini, accusati dei mali che possono colpire una famiglia o la società.
Come vive la sua diocesi?
L’insicurezza costante nel Paese ha affievolito la vera fede, con una ricerca più accentuata di protezione: l’accaparramento di forze magiche tramite la domanda esagerata di benedizioni e di svariati oggetti religiosi e prodotti da benedire, come antidoto alla paura. La Diocesi si trova in una delle tre Regioni che attualmente non hanno la presenza di ribelli. Conta 10 Parrocchie (di cui 9 hanno nel territorio la presenza di Pigmei) 5 con preti locali e 5 servite da Religiosi. Esiste una Radio Diocesana: Radio Songo (famiglia); un centro di formazione; un anfiteatro per incontri, alfabetizzazione ed esposizione permanente di un piccolo Museo per i Diritti AKA (pigmei); un Seminario-biennio, per discernimento vocazionale; Il Centro Evangelii Nuntiandi S. Daniele Comboni con sede della Caritas Diocesana, la Promozione della Donna con scuola e laboratorio di maglieria, gli uffici delle 13 Commissioni Diocesane. In provincia esiste un Internato Femminile per ragazze bisognose.
Abbiamo costruito un piccolo villaggio “Buon Samaritano” per accogliere gli accusati di stregoneria e sottrarli alla morte. Esiste una falegnameria, che dà lavoro, e c’è una scuola di falegnameria, per la formazione dei giovani. In M’Baikii c’è l’unico deposito regionale di farmaci.
I binari della nostra pastorale continuano ad essere evangelizzazione e promozione umana. Stiamo portando avanti il rinnovamento della Catechesi secondo lo spirito della Nuova Evangelizzazione. Puntiamo sulla catechesi degli adulti, cerchiamo di far riscoprire la gioia del dono e il gratificante impegno missionario dell’Annuncio del Vangelo della Vita, ai giovani tramite i giovani. Fondamentale è la promozione dello sviluppo della società attraverso l’insegnamento a tutti i livelli, privilegiando i più poveri e gli ultimi, con il sostegno culturale, etico e materiale-economico. Così come fondamentale è la pastorale della sanità. Stiamo sviluppando l’agricoltura con campi sperimentali a sostegno del Seminario-Famiglia, al quale accedono i giovani con una retta simbolica che, naturalmente, non può da sola coprire tutte le spese. Sottolineo come i giovani seminaristi vivano sì in luogo a sé stante, ma sono inseriti nella realtà sociale frequentando la scuola pubblica con i loro coetanei. Teniamo vivo il fuoco delle vocazioni, promuovendo i gruppi vocazionali parrocchiali, con lo slogan “vieni-vedi-vivi”.
Attraverso la dinamica dell’auto-finanziamento cerchiamo di far crescere la responsabilità di ognuno, per sfuggire alle logiche dell’assistenzialismo.
Concludendo si può dire che la Chiesa di M’baiki è veramente in un “permanente stato di missione”.

Lucy e Francesco Pagani
Centro Missionario Diocesano

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  • Cathy says:

    Sto cercando di contattare Mgr Rino PERIN, emerito di M’Baiki. Mi potrete dare un mezzo a questa fine? Grazie di cuore dell’aiuto e della risposta, Dio vi benedica, Cathy BRENTI (Comunità delle Beatitudini in Francia)

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