24 Maggio 2017
John Mpaliza, il congolese che cammina per la pace
Un vento impetuoso di denuncia ed una dolce brezza portatrice di pace. Questo è stato John Mpaliza nella sua visita a Pinerolo. È arrivato a Pinerolo il 25 aprile ed è ripartito per una nuova “missione” il 27.
Nella mattinata del 26, con la collaborazione delle associazioni DireFareEcosolidale e Pensieri in Piazza, ha incontrato gli studenti del’ITIS Porro e del Liceo Porporato. Nel pomeriggio di questa giornata molto intensa ha visitato alcune classi della scuola media all’Istituto Maria Immacolata.
Il titolo del suo intervento, che prendiamo a prestito per questo articolo e che rappresenta anche uno dei punti del programma pastorale del Centro Missionario diocesano, è stato “Le vittime della nostra ricchezza”.
I ragazzi hanno molto apprezzato la sua appassionata relazione, tanto che alcuni sono riusciti a portare i loro genitori alla serata pubblica che si è tenuta nella sala Pacem in Terris del Museo Diocesano alle ore 21.
Prima della sua partenza abbiamo avuto la possibilità di passare un po’ tempo con lui e di condividere le nostre visioni sulla situazione dell’Africa in particolare e del mondo in generale.
John, quali sono le ragioni per cui hai lasciato il tuo Paese?
Ho lasciato la Repubblica Democratica del Congo, dove sono nato 47 anni fa’, nel 1991. Dopo la caduta del muro di Berlino soffiavano venti di libertà anche in Africa e proprio la libertà era ciò che tutti, in particolare noi studenti universitari, chiedevamo al dittatore Mubuto. Devo riconoscere che le condizioni di vita in RDC, in quel periodo, erano molto migliori di oggi. Viaggiai un po’ attraverso l’Africa ed approdai in Algeria, dove continuai i miei studi. Poi decisi di fare un viaggio in Europa: volevo visitare Roma e le sue bellezze architettoniche. Per un banale ritardo persi l’aereo che avrebbe dovuto riportarmi ad Algeri, proprio nella giornata in cui avvenne un attentato all’aeroporto Boumediene. Mi sembrò un segno da non sottovalutare e rimasi in Italia. Era il 1996.
Come fu l’accoglienza a quell’epoca?
In pratica non ci fu accoglienza: non ottenni il riconoscimento di rifugiato politico e mi spostai in Campania e in Puglia per lavorare, in condizioni disumane, le stesse che permangono oggi. Solo dopo anni riuscii a trovare una soluzione, divenni cittadino italiano (ho dovuto rinunciare alla cittadinanza congolese perché la RDC non prevede la doppia cittadinanza). Terminai i miei studi a Parma – sono ingegnere informatico – e lavorai 12 anni al Comune di Reggio Emilia. Da tre anni ho lasciato il lavoro.
Perché?
Le condizioni di vita in RDC sono molto peggiorate. La guerra “nascosta” per l’accaparramento delle sue ricchezze dura da 20 anni con milioni di morti, tra cui mio padre e molti parenti e amici. Durante questi anni sono tornato a casa solo due volte, e l’ultima volta l’incontro con mia madre è stato straziante. «Prego Dio ogni giorno perché tua sorella sia morta», ha ripetuto. Mia sorella infatti è dispersa. Non abbiamo notizie da troppo tempo. Da quando sono tornato a Reggio Emilia ogni giorno indosso questo lutto (John indica il braccio ove porta due nastrini intrecciati, uno nero ed uno rosso, n.d.r.). Non ho più voluto dedicarmi al lavoro per impegnare tutte le mie forze per la difesa del mio Paese, e ho incominciato a marciare per far conoscere una situazione di guerra, sfruttamento e povertà che a molti è ancora sconosciuta.
La RDC è ricchissima di minerali, è una zona fertile, con acqua, foreste, con il controsenso dei suoi abitanti poverissimi.
In effetti dico sempre che siamo ricchi da morire! Ma da morire veramente: in particolare nelle miniere di coltan e cobalto, dove lavorano migliaia di bambini di pochi anni. Dove la violenza sulle donne è un’arma di guerra. Il coltan ed il cobalto sono impiegati nell’industria hi-tech: i nostri cellulari contengono un pezzo di Congo, tenuto conto che l’80% del coltan mondiale proviene da lì e anche una grande quantità di cobalto si trova nella Regione del Kivu.
Perché hai scelto di camminare?
Le marce che ho intrapreso mi danno la possibilità di incontrare molta gente, soprattutto giovani. Durante lunghi tragitti (a cominciare dal cammino fino a Santiago di Compostela, e poi da Reggio Emilia a Reggio Calabria, da Reggio Emilia a Helsinki, da Reggio Emilia a Bruxelles due volte) c’è modo di coinvolgere le persone, che spesso mi accompagnano per un tratto più o meno lungo, condividendo con me la fatica per diffondere il messaggio di pace. Attraverso l’amicizia che si crea all’improvviso, per strada. Aggiungo che la sensibilizzazione verso un uso non compulsivo della tecnologia – ad esempio non cambiare il cellulare ad ogni uscita di un nuovo modello – si sta pian piano propagando. Scopo della mia ultima marcia a Bruxelles è stata la richiesta di una legge di tracciabilità dei minerali utilizzati. Per dar modo alle industrie che la applicheranno di essere scelte e preferite a chi invece continuerà ad utilizzare minerali insanguinati. Ad esempio, attualmente solo il 17% del coltan estratto in RDC viene esportato legalmente. Do un’indicazione sui costi: in RDC viene pagato 20 centesimi di euro al kg. ed è rivenduto in Europa a circa 600 euro.
Progetti per il fututo?
La scelta di lasciare il lavoro, e con esso la casa, la tranquillità economica, un futuro stabile, è stata sofferta e dolorosa. Tutto quanto posseggo oggi è contenuto nello zaino che porto con me. La Provvidenza mi ha sempre sostenuto nel trovare riparo in questi tre anni. E ora con un gruppo di amici sto preparando una marcia panafricana, che partirà il 29 ottobre prossimo da Reggio Emilia e raggiungerà Roma. Da dove voleremo in Sudafrica e attraverso il Mozambico cammineremo verso nord fino in Congo. Desidero che, oltre al coinvolgimento dei giovani europei, si faccia leva sui giovani africani per cambiare le sorti dell’Africa. Soltanto se vi sarà più giustizia, il mondo potrà intravedere la pace.
Lucy e Francesco Pagani
Centro Missionario Diocesano
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