10 Febbraio 2012
Leo Ortolani, una vita... a strisce

“In un momento in cui tutti sparano a zero su Chiesa, santi e mica santi, ho approfittato di Rat-Man per dire la mia” Nasce a Pisa nel 1967. Ma si traferisce l’anno seguente a Parma, città che gli piacerà così tanto da rimanerci tutta la vita. Qui vive Leonardo Ortolani (per gli amici e lettori semplicemente Leo), un grande del fumetto italiano. Ci piacerebbe definirlo comico ma sarebbe sicuramente riduttivo: lui e il suo Rat-Man fanno ridere, talvolta piangere e, più spesso, fanno riflettere tanta gente da circa vent’anni. Non è roba da poco. Per questo e perché abbiamo scoperto che ha vinto il premio “Fede a strisce 2011” abbiamo deciso d’intervistarlo e lui gentilmente ci ha concesso le sue risposte alle nostre domande.
Da bravi cristiani iniziamo dal principio: la Genesi. Come e quando nasce Rat-man?
All’inizio erano le tenebre. Allora io dissi “Che sia la luce!”. Niente. “Luce!” Insistetti. Macchè. Così ho dovuto ripiegare sui fumetti. E così è nato Rat-Man, parodia del Batman di Tim Burton del 1989, film che peraltro vidi molto tempo dopo, per cui la parodia era essenzialmente di quelle due o tre cose che sapevo di Batman, ma sfruttai l’uscita del film come traino mentale per realizzare questa prima storiellina. Piacque. Così la tenni cara , vicino a me e alla prima occasione la trasformai in una saga torrenziale che viene pubblicata da quasi vent’anni. Solo più tardi, ho trovato l’interruttore.
Adesso siamo al numero 88 (senza contare le miriadi di speciali). Pensavi che il Ratto ti potesse accompagnare per così tanto tempo? Come lo senti dopo 22 anni passati insieme?
No. Non lo pensavo. Diciamo le cose come stanno. Mi sarei accontentato di fare piccole parodie su altre riviste, giusto per campare all’ombra di giganti, ma il destino non lo ha voluto. I giganti, le riviste, sparivano una dopo l’altra, così mi sono trovato costretto a fare una rivista mia, con dentro Rat-Man. Ma è andata bene così. Sono ovviamente molto affezionato a lui e ai suoi comprimari. Mi spiace pensare che un giorno tutto finirà, ma sempre meglio che continuarlo anche quando le cose da dire saranno finite.
I tuoi fumetti non sbagliano quasi mai un colpo. O sì? C’è mai stata una storia di Rat-man che definiresti fallimentare?
Fare fumetti, lo dico spesso perché si capisca bene, è faticosissimo. E fare fatica per niente, nessuno è disposto. Per questo studio bene le storie che voglio fare, prima di fare qualcosa, e ogni tanto, se sento che una storia non funziona, mi sono preso il lusso di rifarla da capo, riscrivendola, ridisegnandola, fino ad avere sul tavolo quello che avrei voluto leggere anch’io. In questo modo non ho storie che definirei fallimentari. Ci sono, alla luce del “poi”, storie magari più deboli, ma si parla di storie come “L’incredibile Ik”, che sono proprio le primissime, o “Dal futuro”. Storie che ero così giovane da muovere i primi passi nella sceneggiatura. E che, nonostante tutto, hanno dentro di sé qualcosa di cui vado fiero.
Parliamo della fede, non quella che ti lega alla Cate (moglie di Leo, N.d. R.). In Rat-Man c’è sempre una tensione verso Dio. Come mai?
Forse ultimamente. Prima era più giovane, non ne aveva bisogno. Un classico! Si inizia a invecchiare, a non essere più così forti, ad avere paura del domani e ZACCHETE! Eccoci a piagnucolare in qualche chiesa. Rat-Man è il codardo medio religioso, quindi non poteva esimersi da questo atteggiamento. Eppure, al di là di questo, effettivamente, anche a sua insaputa, sembra sia in cerca di qualcosa, di una luce. Di Dio?
Rat-Man tra le altre cose vive una crescita di fede: quando è bambino sta dalle suore e prega sotto il crocifisso, si rifugia in Chiesa per sfuggire alle ombre, crede non solo nei supereroi ma anche nella Luce, ha una guida spirituale (Padre Angelini). Come vedi la vita spirituale del tuo personaggio? La senti anche tua?
Oh, no, la mia vita spirituale è molto più povera della sua! E anche la sua, a ben vedere, è frutto più di abitudine che di vera ricerca. Oppure dico così perché lui ricerca qualcosa, e io faccio fatica, quindi c’è anche l’invidia di chi è più religioso di me, detta anche da Freud “invidia del campanile”. Forse la sua vita spirituale è quella che vivrei io se avessi più coraggio.
In particolare il personaggio di Ratto (parodia sui generis di Rambo) nella premiatissima “Quadrilogia di Gerusalemme” connota una confessione specifica (quella cristiana cattolica) ed è pieno di riferimenti biblici e spirituali. Che valore dai a questa storia?
In effetti l’idea di lanciare il messaggio di Salvezza di Cristo attraverso le icone degli action movie degli anni ’80, era così folle che non poteva che riuscire! Mi sono anche divertito a dire che io credo in queste cose qui. In un momento in cui tutti sparano a zero su Chiesa, Gesù, santi e mica santi, ho approfittato di Rat-Man per dire la mia. Qualche lettore ha storto il naso, altri mi hanno detto che ho approfittato di Rat-Man per portare la parola di Dio in giro, altri hanno apprezzato comunque la delicatezza con cui ho trattato l’argomento. Non credo che la gente cambi idea leggendo Rat-Man, ma volevo che sapessero come la penso io. O meglio, come cerco di pensarla io. Perché la certezza non è nelle mie corde. Visto che la capacità di scrivere storie è un Suo dono, glieLo dovevo.
Il Gesù che disegni non si vede mai in volto: è un segno di rispetto il tuo?
Assolutamente sì. Non volevo che ci fosse alcun motivo per poterlo “identificare” e quindi “additare”. O criticare.
Cosa puoi dirci della figura del prete che hai delineato, ovvero Padre Angelini?
Padre Angelini è costruito sulla figura (fisica) di don Enzo Valenti, un sacerdote scomparso qualche anno fa, che era poi il prete della mia parrocchia, un prete “di frontiera”, che aveva tirato su questa parrocchia alla periferia di Parma (allora era periferia, oggi la città si è ingrandita), e che aveva un piglio decisamente insolito e coraggioso. Quando parlava, aveva qualcosa da dire, se vogliamo metterla così. Tutti noi ci ricordiamo di quella messa di Natale in cui aveva tuonato dal pulpito perché era venuto a sapere che una famiglia della parrocchia era senza luce e senza acqua, e nessuno glielo aveva detto, e c’erano tante donne impellicciate in chiesa… Insomma… Una scena tipo “Gesù che scaccia i mercanti dal tempio”. Grande don Enzo. Mi ricordo ancora quando ci portò a casa il proiettore con la pellicola di “Lo chiamavano Trinità”, che a un certo punto aveva proiettato la terza parte al posto della seconda, ma ci siamo divertiti lo stesso.
Parliamo ora dei giovani: tu con Rat-Man entri nelle case di tantissimi ragazzi. Che rapporto hai con loro?
Cerco di non essere loro di esempio. È il massimo che posso fare. Perché io sono una persona terribile, e Rat-man ne è la prova. Allora, se vedi Rat-Man, cerchi di essere migliore di lui. Poi inizio ad avere quell’età che i ragazzi mi danno del lei, e a me sembra di avere qualcosa da insegnare, ma non so bene cosa. Così mi limito a fare fumetti. E a rispondere alle loro email. A fare quel che mi riesce meglio, insomma.
Un tema che ritorna sempre nelle tue storie è la figura del padre. Un riferimento autobiografico alla tua esperienza di adozione e alle tue figliolette Lucy e Johanna?
In parte. Ma la figura del padre è sempre stata centrale, nelle storie di Rat-Man. Adesso che sono papà anch’io, e capisco meglio tante cose, questo tema viene affrontato ancora di più, me ne sono accorto anch’io. In effetti sarà al centro delle vicende finali della serie, così è meglio che faccia esercizio!
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