21 Maggio 2014
Intervista impossibile al cantante lirico Italo Tajo
21 maggio 2014
Alla sala concerti “Italo Tajo” devo incontrare il famoso cantante lirico nato a Pinerolo il 25 aprile 1915. In via San Giuseppe, luogo dell’appuntamento, non vedo teatri: la strada è in pendenza e un parapetto delimita un piccolo sagrato oltre il quale c’è una chiesetta. Dal portone d’ingresso, un uomo alto, robusto, un po’ ingrigito, mi fa un cenno e mi chiama con voce possente. Mi avvicino e mi accorgo che è Italo Tajo, che avevo visto solo in fotografia.
Perché mi ha dato appuntamento in una chiesa?
Non è più edificio di culto dal 1° gennaio 1838 quando, con un decreto, il vescovo Andrea Charvaz concesse i diritti parrocchiali. La storia di questa chiesetta è legata a quella del vicino Collegio dei Gesuiti ma, con la soppressione dell’ordine, sono sorte numerose controversie e l’edificio è stato adibito a ospedale di carità per un certo periodo e a casa del fanciullo fino al 1977. Oggi, pagando una tariffa, associazioni, enti o privati cittadini possono disporre della sala.
Come mai c’è uno schermo bianco davanti all’altare maggiore?
Siccome mi hai detto per telefono che non hai mai assistito a un’opera lirica, ti faccio vedere la registrazione del film “L’elisir d’amore”, nel quale canto “Udite, udite o rustici”. Un «melodramma giocoso» di grande successo, girato nel 1946 e tratto da un’opera in due atti di Gaetano Donizetti su libretto di Felice Romani.
Di che cosa tratta?
È una storia a lieto fine in cui la protagonista Adina, appassionata di romanzi d’amore, legge il libro di Tristano che, innamorato della regina Isotta, ricorre a un filtro magico per avere il suo affetto. Adina è amata da Nemorino, povero contadino non ricambiato, che pensa di conquistarla con il magico elisir adoperato da Tristano.
Lei interpreta la parte di Nemorino?
No, io sono Dulcamara, un medico imbroglione. Quando Nemorino mi chiede se l’elisir fa anche innamorare, gli vendo una bottiglia di vino Bordeaux, spiegando però che l’effetto si farà sentire solo dopo un giorno, quando io sarò lontano. Nemorino beve l’elisir e si ubriaca, diventando disinvolto e indifferente nei confronti di Adina, che prova un senso di stizza, abituata com’è a sentirsi desiderata, ma quando conosce lo scopo per cui Nemorino aveva chiesto l’elisir, capisce di essere molto amata da lui.
Per essere un cantante lirico che cosa è necessario?
Innanzitutto tanta passione e molte ore di esercizio. Il linguaggio di tutti gli esseri umani, che parlano, imprecano, urlano o cantano, ma il risultato ottenuto nella laringe dalla vibrazione delle corde vocali per effetto dell’aria espirata non è lo stesso per tutti. La voce che abbiamo dipende dalle corde vocali, ma anche dalla conformazione fisica, che produce suoni più acuti o più gravi, dando origine a quelli che nella lirica si chiamano soprano, basso, baritono e via dicendo.
Lei è stato definito un “basso buffo”. Che significa?
Nel canto, il termine basso designa la più grave tra le voci maschili. Il “basso buffo” è una delle diverse tipologie della voce di bassi ed è caratterizzato da una voce “leggera”, estesa e scattante. Ai cantanti con queste caratteristiche vengono affidati ruoli comici, che richiedono gorgheggi, trilli, abbellimenti, scioglilingua. I personaggi che interpreta il basso buffo sono goffi, ingenui e ridicoli, come il Dottor Bartolo nel “Barbiere di Siviglia” o Dulcamara ne “L’elisir d’amore”.
Come si spiega che alcuni riescono a imitare varie voci?
Il timbro può essere artefatto sfruttando la duttilità dell’organo che produce la voce. In questo caso parliamo di “voce impostata”, che richiede un periodo più o meno lungo di training fisico-artistico.
Per cantare con una voce impostata, senza sottoporre le corde vocali a uno sforzo eccessivo, è necessario un controllo muscolare che produce suoni timbricamente omogenei e del volume desiderato. Ma per far questo è necessario respirare in modo corretto, facendo in modo che la laringe sia rilassata e che le corde vocali siano ben chiuse.
Che importanza ha il maestro di canto?
È determinante per il futuro di un cantante. Io ho studiato canto a Torino con Nilde Stichi, la quale mi è stata di valido aiuto per il proseguimento nella mia carriera, ma c’è chi in seguito alla frequenza alle lezioni del maestro ha deciso di abbandonare il canto. Un esempio è Eugenio Montale, anche lui con la voce di basso, che a 19 anni aveva cominciato a prendere lezioni dal cantante Ernesto Sivori, il quale cercò di trasformarlo in baritono ma senza successo, al punto che Montale ha abbandonato il canto.
Però Montale è stato nominato senatore a vita nel 1967 e otto anni dopo ha ricevuto il premio Nobel per la Letteratura. Le pare poco?
Questi riconoscimenti li ha avuti in età avanzata ma, da giovane, Montale amava il canto e si esibiva, quando poteva, con amici e familiari. La passione per il canto lo portava spesso a teatro e più di una volta, riferendosi al cantante, ha confessato a un amico: «Io potevo essere quello lì e non lo sono diventato». Comunque anche io ho avuto le mie soddisfazioni, perché ho conosciuto persone e luoghi che hanno fatto la storia dell’opera lirica. Ho lavorato con Maria Callas, Luciano Pavarotti, Renata Tebaldi, Mario Del Monaco e ho calcato le scene nei templi della lirica in Italia e all’estero.
La nostra conversazione termina anche perché nella chiesetta fa un po’ freddo. Nel 1966 Italo Tajo ha iniziato l’attività di docente presso il Conservatorio di Cincinnati, città dove è morto il 28 marzo 1993.
Giuseppe Campanaro
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