15 Giugno 2011
Il clero e la Società Operaia di Pinerolo
Monsignor Renaldi, sostenitore di una religione non estranea ai problemi degli uomini, partecipava anche ai pranzi sociali Nel 1848 era stata fondata a Pinerolo, prima in Italia, la Società Operaia “generale”; alcuni studi su di essa ci consentono delle considerazioni, relative al clero, che qui mi limito a evidenziare senza particolari approfondimenti.
Gli studi ricordano, tra i membri del clero che vedevano di buon occhio la Società, il canonico Croset-Mouchet. Originario di Annecy, dove era nato nel 1810, ordinato prete nel 1832, era giunto a Pinerolo nel 1834 in veste di segretario del vescovo Charvaz. Dapprima ripetitore di teologia in Seminario e poi professore, canonico della Cattedrale, rimase in città anche dopo le dimissioni del vescovo. Fu dal 1860 al 1868 provicario generale della Diocesi. Nel 1872 diventò rettore della chiesa del Sudario a Roma. Morì a Pinerolo nel 1875. Croset-Mouchet era savoiardo, ma «nonostante ciò, apertamente a favore dell’unità italiana, evidentemente perché sperava che si potesse costruire uno Stato nazionale nuovo: “moderno” e “liberale”, non “laicista” come il francese. Uno Stato insomma, dove la religione cattolica svolgesse ancora un ruolo determinante».
La prima uscita pubblica del sodalizio era avvenuta non solo con la benedizione da parte del Municipio, ma anche della Chiesa cattolica locale. Benedicendo la bandiera della Società il vicario capitolare Giacinto Brignone, che reggeva allora la diocesi nel passaggio dal vescovo Charvaz al vescovo Renaldi, aveva parlato della necessità della religione, dell’ordine e del lavoro e “nell’atto di benedire il vessillo sociale, notando che si trattava di un tricolore, con scritte a favore dell’unità operaia, ma anche di quella nazionale, aveva augurato che quel segno di concordia diventasse spavento a nemici, nei giorni di battaglia per l’indipendenza italiana”.
Interrogandosi sulla posizione dei preti pinerolesi nei confronti del nuovo sodalizio operaio si osserva che è certo che una parte del clero si mostrò, se non ostile, almeno diffidente. È al contempo vero che due canonici, Solera e Giraudi, e il pro vicario generale Varrone, con un quarto prete di cui si ignora il nome, figuravano sin dall’inizio tra i “soci onorari”.
Il nuovo vescovo, monsignor Renaldi, aperto, tollerante, liberale, sostenitore di una religione non estranea ai problemi degli uomini, partecipava anche ai pranzi sociali.
Su di un giornale degli operai si scrisse: “di non sapere se maggiore sia la meraviglia e la riconoscenza nel vedere come un vescovo, sfidando le ire dei suoi pari, sieda al desco dell’operaio e lo conforti con parole di libertà”. La distinzione tra preti liberali- progressisti e conservatori era reale anche in Pinerolo, ma la presenza di un vescovo progressista come Renaldi, avrebbe messo in minoranza la parte meno aperta del clero locale. Si legge, infatti: “Basti vedere come questo clero cattolico pinerolese si mosse quasi compatto, dando immediatamente il proprio appoggio concreto, materiale, al sodalizio operaio neonato. Quella parte del clero che, in quel momento, si stringe attorno a Renaldi è sicuramente a favore dell’unità nazionale italiana e della necessità di modernizzare l’Italia, pur nel rispetto della tradizione cattolica”.
Non vanno poi dimenticati il canonico Paolo Barone e l’abate Jacopo Bernardi che misero in cantiere iniziative per far conoscere anche agli operai e agli artigiani il sistema metrico-decimale.
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