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Personaggi  

Gertrude e Lucia: donne in cerca di felicità

Gertrude e Lucia: donne in cerca di felicità

24 novembre 2014

Una rilettura psicologica e spirituale di due protagoniste de “I Promessi sposi” 

Due bambine, “allevate cristianamente”, crescono; si accorgono con trepidazione che un ragazzo si interessa a loro; decidono, entrambe in una situazione di isolamento forzato e fortissimo stress, di rinunciare al matrimonio.
Questi i tratti che accomunano le biografie di Lucia e Gertrude. Perché hanno avuto svolgimenti così diversi?

La gabbia di Gertrude
Ognuno è responsabile delle sue scelte, ma a sfavore di Gertrude hanno giocato tutta una serie di circostanze, legate al suo “vantaggio” socioeconomico, che sono diventate un pesantissimo “svantaggio” sul piano del cammino di fede.
In realtà la “signorina”, la figlia del principe, non è mai stata evangelizzata. Suo padre ha strumentalizzato elementi e forme del cristianesimo per trasmetterle il culto idolatrico in cui lui stresso è cresciuto, il “culto del sangue”: non il Sangue di Cristo, versato per salvare ogni persona e affratellarla ad ogni altra (pensiamo alla “Passione”, al Coro del “Conte di Carmagnola”) ma il “sangue nobiliare” che distingue i nobili dai plebei, sacralizza i loro privilegi, li destina a dominare il mondo.
Nel Medioevo e nell’Ancien Régime ci sono stati anche nobili che hanno tentato con sincerità di elaborare una “cultura nobiliare cristiana”, segnata dai limiti e contraddizioni, ma in cui è presente in vari modi l’idea di una “autorità come servizio”. Il signore di Monza non è però fra questi, e ciò danneggia anche il suo “senso della famiglia”. Per lui la famiglia non è la comunità dove si realizza il progetto d’amore di Dio, dove si trasmettono ai figli la fede in Cristo e un’eredità di valori, dove i genitori si pongono in ascolto dello Spirito per favorire la chiamata rivolta da Dio ai figli. È una struttura dove il capo, secondo logiche puramente mondane, decide il destino di ogni singolo individuo, mandandolo in un luogo o in un altro, per anunciare e testimoniare non il Vangelo, ma il prestigio e il potere della famiglia stessa.
Questa logica ha sempre condannato Gertrude ad una solitudine spaventosa, a cercare il senso e la gratificazione della sua vita non nella comunione con gli altri, in casa e a scuola, ma nella separazione dagli altri, nel “posto distinto”, nella speranza di comandare e fare alto e basso. È condizionata, invisibilmente tiranneggiata, ossequiosamente coccolata: ma non c’è nessuno che sappia volere autenticamente il suo bene e, nel contempo, possa veramente incidere sulla sua educazione. Dell’ Amore Trinitario che la ama e può renderla capace di amare non sa nulla; non può sviluppare una sana interiorità, un ascolto confidente di Dio, e la sua mente si riempie così di larve, di fantasmi, di una “vita virtuale” (diremmo oggi) sempre nutrita da sogni di potere che inquinano anche il suo istintivo desiderio di voler bene ad un ragazzo ed esserne ricambiata.
Le manca completamente il “senso della Chiesa”: ha passato tutti i suoi anni di educandato in un “ambiente ecclesiale”, ma non ha idea di che sosa significhi essere fraterna comunità cristiana, non sa apprezzare il ministero ecclesiale di chi deve accompagnare i fratelli e le sorelle nel cammino con Cristo. Le manca una guida spirituale vera (a cui sostituisce i maldestri consigli delle compagne) ; vive in modo confuso le varie tappe di un cammino formativo pensato dalla Chiesa per garantirle una scelta responsabile (ma i suoi educatori gliele presentano come “formalità” e le vivono come tali). Il colloquio con il Vicario delle Monache dovrebbe essere il momento della salvezza, quello in cui sperimenta la presenza, la sollecitudine di una Chiesa Madre, che manifesta l’amore di Dio prendendosi cura di tutti i suoi figli: anche di lei, che non ha mai potuto sperimentare la famiglia come Chiesa domestica. Ma per accogliere questa salvezza Gertrude dovrebbe aprire il suo cuore, affidarsi, vedere nel prete colui che è stato ordinato per essere segno della presenza dell’Unico Padre… Lei invece (qui il condizionamento socioculturale è pesantissimo) non riesce a svincolarsi dal clima di terrore creato intorno a lei dal Principe, la paura della sua “vendicativa onnipotenza sociologica” prevale sulla fiducia nella amorevole onnipotenza di Dio.

La libertà di Lucia
Lucia è una povera operaia che rispetto a Gertrude ha il vantaggio di due grandi ricchezze: il vero senso della familgia e il vero senso della Chiesa. Madre, fidanzato, direttore spirituale sono i tre punti di riferimento del suo armonico cammino di maturazione umana e cristiana: ciascuno con un suo ruolo ben preciso, e felicemente integrato con quello degli altri. Nella condivisione di una semplice quotidianità fatta di preghiera e lavoro, la madre vedova e la figlia hanno imparato a vivere una relazione educativa che ha permesso a Lucia di diventare adulta, di fare un camino spirituale personale: grazie al quale sa anche diventare critica nei confronti di Agnese, quando è necessario. L’individuazione della propria vocazione, la costruzione di un progetto di vita con Renzo (diventare marito e moglie «per la strada diritta, col timor di Dio, all’altare») costituisce per Lucia una scelta autenticamente responsabile, che la madre ha accettato e condiviso senza fare pressioni indebite: sa rispettare la figlia, non vuole avere il monopolio della sua coscienza (e anche per questo accetta che Lucia abbia parlato della persecuzione di don Rodrigo a padre Cristoforo in confessione, prima che con lei). Entrambi espressione del vero volto della Chiesa (che fa crescere i figli, non li fa addormentare, direbbe papa Francesco) Agnese e il frate hanno contribuito a formare una personalità assolutamente non plagiabile. Gertrude, che sogna il potere fine a se stesso, è di fatto dominata da tutti. Lucia, che vuole soltanto vivere dignitosamente col proprio lavoro, grazie al suo radicamento in Dio ha una coscienza fortissima che non si piega di fronte a nessuna “superiorità sociologica”; il signorotto che vorrebbe ridurla a “donna oggetto” non l’affascina e non la spaventa, il fidanzato le riconosce un ruolo di guida nel loro cammino di fede, Gertrude e l’Innominato intuiscono in lei la testimone del potere liberante del Vangelo.
Una sola circostanza riesce ad inserire un segno di perdurante angoscia nella sua limpida vita di fede: il sentirsi vincolata a quel voto di verginità fatto nell’angoscia e nella solitudine. Soltanto il suo “senso della Chiesa” l’aiuterà a venirne fuori. Quel blocco che ha frenato Gertrude nel colloquio Vicario delle Monache, Lucia riesce a superarlo con Padre Cristoforo. E riesce a ritrovare la propria totale serenità di spirito comprendendo che il cappuccino non solo può offrirle quella guida, quel confronto che sono necessari per il discernimento spirituale, e che nel castello dell’Innominato erano mancati; ma può esercitare, per il suo bene, quell’autorità che egli ha ricevuto dalla Chiesa e la Chiesa ha ricevuto da Dio.
E lo stesso “senso della Chiesa” salverà Gertrude.Quando grazie al Cardinal Federigo troverà finalmente il coraggio di aprire il suo cuore, inizierà anche per lei il percorso della rinascita.

Anna Maria Golfieri

Virginia-Maria-de-Leyva

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