9 dicembre 2014
In un libro l’avventurosa biografia di Teresa Ferrero
Quasi nessuno sa chi era Teresa Ferrero, nemmeno nel suo paese natio, Clavesana (CN). Eppure nei più prestigiosi teatri europei di fine Ottocento il suo nome, o meglio il suo nome d’arte Ester, era ben noto. Alessandro Abrate, storico dell’arte ed insegnante, ha ripescato la rocambolesca vita di Teresa e l’ha raccontata nel libro “Ester la ballerina del Kedivé”, prendendo spunto dal diario lasciato dalla stessa artista, da giornali dell’epoca e da lettere scritte da persone che l’hanno conosciuta.
Nata nel 1853 nel piccolo paesino del Monregalese da una famiglia di contadini, a quindici anni Teresa si sposta a Torino per guadagnarsi da vivere come governante. Nell’allora capitale d’Italia conosce il mondo del teatro e dello spettacolo e lentamente inizia ad intrufolarsi al suo interno. Ma intraprendere la carriera artistica richiede, oltre al talento alla costanza, di mettere a tacere la propria coscienza e la morale che una famiglia dignitosa ha insegnato alla propria figlia; per pagarsi le lezioni di danza e canto Teresa si prostituisce con alto borghesi benpensanti solo di facciata. Appena può si sposta a Parigi, sperando nel salto di carriera, ma i tragici eventi della Comune (1871) la costringono ad una vita povera anche nella capitale francese. A diciotto anni arriva però l’occasione con la O maiuscola: Teresa viene scelta come comparsa per la prima rappresentazione dell’Aida di Verdi a Il Cairo. Qui, sebbene il suo ruolo artistico sia di secondo piano, viene notata dal Kedivé, ovvero il re d’Egitto vicerè del sultano turco, Ismail Pacha. Tra la “ballerina di Clavesana” ed il sovrano, passato alla storia come uno dei più illuminati e moderni ma anche come gran spendaccione, nasce un rapporto molto particolare che durerà fino alla morte di Ismail. Conoscenti, amici, amanti, intellettuali, nemmeno Teresa sa definire con precisione questo profondo legame con il re che le suggerisce il nome d’arte di Ester. L’esperienza egiziana fornisce alla ragazza tutte le carte per il successo: il vitalizio che Ismail le assegna le permette di continuare gli studi artistici, la conoscenza dell’ “Oriente” le fornisce un fascino molto apprezzato nell’Europa di fine ‘800. Da Il Cairo a Vienna, Parigi, Monaco, Sanpietroburgo, Montecarlo… non esiste palcoscenico importante che Ester non calchi nella sua lunga e prestigiosa carriera. Ma Teresa non dimentica mai il suo paese natale, tanto da farsi costruire un’egocentrica villa proprio a Clavesana, dove torna sempre nelle pause tra un tournée e l’altra. Qui si ritira nell’ultima parte della sua vita. Le voci di paese la condannano come donna dissoluta ed immorale, ma la parrocchia, i conventi e gli orfanotrofi della zona vivono grazie alle sue generosissime quanto silenziose donazioni. La vita spirituale di Ester è infatti molto intensa, forse anche per gli errori che ha commesso in gioventù e non riesce a dimenticare. Teresa muore “dignitosamente povera”, come sottolinea l’autore del libro, nel 1941; nei suoi ultimi anni quasi tutto il suo ricco patrimonio finisce a enti di carità. La sua storia merita di essere letta e conosciuta senza troppi giudizi, come recita il suo motto “Aimer Ester” o “Aimer et se taire, gioco di parole francese che può essere interpretato come “Amare Ester” o “Amare e tacere”.
Miriam Paschetta