Alcide De Gasperi fu quella eccezionale personalità di politico e di statista che ebbe un rilievo dominante negli anni 1945-54 ed emerge tuttora come una autentica figura di primo piano nel movimento politico dei cattolici italiani.
Egli portò per la prima volta nella storia italiana i cattolici alla direzione dello Stato rinato alla vita democratica dopo il fascismo, abbattendo lo steccato che per tanto tempo aveva tenuto lontani i cattolici dalla collaborazione con altre forze politiche.
Nel 1881, quando nacque a Vienna, regnava Francesco Giuseppe e l’Europa era ancora il centro del mondo, mentre l’Italia celebrava il ventennio dello stato unitario.
Sin dalla sua giovinezza, vissuta a Trento, la fede in Dio costituì la forza trainante della sua vita.
All’università di Vienna, che poté frequentare con un sussidio dello stato, i suoi compagni di studio dicevano che aveva la timidezza di molti studenti poveri per i quali la laurea rappresentava allora una sicura promozione sociale.
Dopo la messa quotidiana trascorreva molto tempo raccolto nella preghiera e nelle discussioni con i coetanei al Circolo giovanile cattolico, auspicando con ardore la necessità di un riscatto e di un rinnovamento culturale dei cattolici. Era il tempo delle tendenze “moderniste” che sostenevano la necessità di conciliare la fede con la scienza.
Furono quei discorsi a convincere il Vescovo di Trento a dare fiducia al giovane ventiquattrenne De Gasperi nominandolo direttore del giornale locale. Questo sarà il primo scalino di un impegno politico sociale che seguirà tutta la sua vita, portandolo dopo la caduta del fascismo al vertice del Governo italiano.
Incarcerato nel periodo della dittatura per 14 mesi, scrive accorate lettere alla moglie, alle figlie e agli amici nelle quali ripete sempre che il suo animo soffre, ma non perde la fede in Dio e nella libertà. Uscito dal carcere troverà un lavoro nella biblioteca vaticana dove avrà occasione di approfondire i suoi studi sociali interrotti nel 1926, quando Mussolini soppresse tutti i partiti politici.
Egli fu la voce di una coscienza che non si arrende, una vita vissuta nel rigore, nella sobrietà e nel distacco dal denaro. Possedeva una onestà intellettuale, una chiarezza politica e rifiutava ogni tatticismo e ogni macchiavellismo.
Il suo senso vivo dello Stato, della democrazia e della libertà, gli faceva dire con Sturzo «siamo forti, perché liberi». Egli intese sempre l’autorità come un fare operoso per il bene comune. L’accettò come croce e sofferenza e non come traguardo e strumento di personale interesse.
Della sua terra natia conservò sempre un carattere riservato, forte e ruvido come le sue montagne. Avvertiva sino all’angoscia la limitatezza dei piani e delle risorse per giungere in aiuto a tutti i cittadini, per realizzare un’autentica giustizia sociale, per salvaguardare le conquiste democratiche nate dalla Resistenza senza mai decadere nell’arbitrio e nel relativismo morale.
Prese in mano un’Italia distrutta, sconfitta ed umiliata ed usò tutto il suo orgoglio, la sua dignità, la sua fierezza per riconciliarla con l’Europa verso la quale guardò sempre come insieme di popoli pacificati.
La democrazia era fragile, ma non cessò il suo impegno per solidificarla. La sua qualifica di cattolico militante non gli impedì mai di muoversi da laico nell’azione politica, rifiutando atteggiamenti clericali, fiero della sua fede, ma libero nelle scelte che talvolta lo fecero anche soffrire, ma che egli con cuore sincero intraprese anche se una parte dell’ambiente ecclesiastico romano era nei suoi confronti, se non ostile, almeno diffidente, soprattutto per il dialogo che intendeva mantenere con tutte le forze politiche e democratiche.
In De Gasperi l’unità dei cattolici in politica non era un elemento di chiusura integrista, ma la chiave di volta di una nuova politica e il risultato di una interpretazione della storia contemporanea.
Di fronte a scelte importanti si ritrovò solo e decise da solo, sapendo però di avere in consenso del popolo.
Diceva agli uomini del suo partito: «dobbiamo agire come cristiani, non possiamo quindi trovarci tra i prepotenti e i truffatori».
La sua scomparsa improvvisa, il 19 agosto 1954, a Sella di Valsugana, lontano dal clamore e dall’attenzione dei palazzi romani, suscitò vasta commozione in tutta Italia: il lungo tragitto in treno con cui la salma raggiunse Roma per le esequie fu rallentano da numerose soste impreviste perché la gente comune era accorsa da ogni parte per rendere omaggio all’uomo che si definì sempre un servitore dello Stato.
Nel 1993 a Trento è stata aperta la fase diocesana del processo di canonizzazione.
Tra gli scritti ritrovati nella sua scrivania presidenziale è stata rinvenuta questa preghiera:
Perdonami Signore,
ti porto con me nelle mie occupazioni.
La tua preghiera
penetra tutta la mia attività.
Prega tu nel mio lavoro
e ricevi tutta la donazione di me stesso.

Aurelio Bernardi