15 Giugno 2011
Sotto il segno dei Brignone
Giacinto, vicario capitolare nel 1848 e poi riformatore degli studi, abbracciò lo spirito risorgimentale Nel primi mesi del 1848 il vescovo Charvaz, salito sulla cattedra di San donato nel 1834, giudicato moderato ma aperto al progresso, sensibile ai problemi sociali, all’avanguardia nel promuovere l’istruzione femminile, in aperta e vigorosa protesta col governo sardo-piemontese che, a suo avviso intendeva mettere il bavaglio ai vescovi, si dimetteva dall’incarico e lasciava una diocesi in cui gli ideali del risorgimento, sebbene non conclamati, erano vivi sin dai moti del 1820/21. Nell’attesa del successore i canonici della cattedrale elessero all’incarico di vicario capitolare il canonico Brignone. Giacinto Brignone, originario di Bricherasio dove era nato nel 1809, rampollo di un’illustre famiglia, fratello del più noto generale Filippo Brignone, era stato ordinato prete nel 1831. Sin dagli inizi del suo ministero ebbe incarichi di rilievo; fu dal 1834 vicario generale e in seguito riformatore degli studi. Quale vicario capitolare indirizzò alcune circolari ai parroci, scritti dai quali si evince che egli era favorevole al disegno risorgimentale e all’unità della nazione, e auspicava che tutta la Chiesa fosse tale sebbene non toccasse ad essa di intervenire in maniera diretta in questi processi. La circolare ai parroci del 26 marzo 1848 si apriva così: “Egli non è possibile ad un cuore cristiano, e meno ancora ad un cuore sacerdotale di non essere grandemente commosso da tali avvenimenti, li quali si succedono, anzi si incalzano, e che più, o meno direttamente preparano l’indipendenza dell’Italia; la religione non solo ammette, e conserva li sentimenti dell’amor patrio, ma li consacra, li purifica, e li rende più vivi laddove meglio essa annida … Dappoiché il re col suo proclama del 25 andante dichiarò che non ammirava più soltanto il valore dei popoli della Lombardia, e di Venezia, ma che ne secondava i giusti desideri col sostenere la loro causa … egli è permesso non solo, ma doveroso per ogni suddito del re lo apportarvi ciascheduno il suo concorso”. Nel maggio del 1848, nella Lettera alla Diocesi ritornava sulla guerra d’indipendenza; si legge: “Egli non è quasi possibile il passare sotto silenzio le circostanze, in cui ci ritroviamo, ed io tradirei la vostra aspettazione se ne tacessi … Non so se la storia ci racconti, siasi la patria nostra ritrovata in momenti più solenni; sarebbe perciò un’ignominia per noi, ove non vi prendessimo veruna parte, o fosse questa fredda, inefficace, e troppo inferiore alle nostre capacità”. Il 1 agosto, a fronte della necessità della chiamata alle armi di nuove truppe, si rivolgeva così ai parroci: “La prego di instillare, come già scrissi il 26 marzo, que’ sentimenti di fedeltà, anzi di zelo per il proprio dovere, di amore alla patria, di generosità, di ardore, di entusiasmo per la guerra dell’indipendenza dell’Italia, con cui fu da principio acclamata e promossa”. Il vicario capitolare Brignone ha lasciato due circolari per il 1849. Nella prima richiama il dovere di portare il proprio voto in occasione delle elezioni; se questo è un dovere di ogni tempo “nel caso presente v i si deve un a fedeltà tanto più rigorosa, quanto il momento diventa solenne. Cresce infatti la responsabilità del voto in ragione della gravità delle deliberazioni, alle quali sarà chiamato il Parlamento; ora difficilmente incontrare si potrebbero questioni più vitali di quelle, che dovrannosi ventilare, e sciogliere; li destini della nostra patria vi sono talmente connessi che non solo un maggiore, o minor suo bene, la sua vita, o la sua rovina ne può dipendere …”. Nella seconda scrive: “Nello scorso anno, a quest’epoca stessa, l’amato nostro Re fu chiamato dalla voce de’nostri fratelli Lombardi/Veneti accorse in loro aiuto, mentre tentavano di sottrarsi alla dominazione austriaca. Il prode esercito piemontese lo seguiva, e noi accompagnavamo coi più ardenti voti un’impresa che doveva riuscire non solamente a rendere la propria libertà ad una Provincia Italiana, ma a tutta l’Italia la sua piena indipendenza dall’influenza straniera, sicché potesse costituirsi e divenire quella grande e fiorente nazione cui ha diritto per ogni titolo … Ora l’assunto incominciato, la fatta promessa, l’umanità, anzi la carità, il lusinghiero e grande concetto della costituzione della nazionalità italiana, spingono il re a riprendere la guerra … L’esempio dell’amato nostro Sovrano, e quello de’ Reali Principi, i quali generosi abbandonano gli agii della Reggia per il bene dell’Italia, e per evitare i mali possibili del ristauro del vecchio edifizio dela dominazione austriaca, non può nominarsi senza commozione; ed ella vi ritroverà pure un argomento degno di destare un vero e generoso ardore, ed una nobile emulazione nel popolo”.
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