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Lettere al direttore  

Lettera al direttore. "Siamo una famiglia col cuore spezzato"

Lettera al direttore.

Caro direttore,

siamo una famiglia che è stata toccata sul vivo dal caso dei tre sacerdoti torinesi che “reclutavano” vocazioni e che ora sono indagati dalla Procura per abusi psicologici su alcune ragazze candidate alla vita religiosa. Su di loro anche l’Arcivescovo Cesare Nosiglia si è pronunciato in una lettera indirizzata ai sacerdoti della diocesi.

Noi vorremmo portare la nostra testimonianza al vostro giornale, anche perché sappiamo che queste persone si muovevano anche nel pinerolese.

Quando li abbiamo conosciuti ci sono sembrati bravi sacerdoti. Ad un certo punto, però, uno di loro in particolare ha cominciato ad avere un atteggiamento investigativo e di controllo su di noi e su nostra figlia Giulia (il nome è di fantasia). Questo “controllo” ha fatto molto presa su nostra figlia, una ragazza semplice, solare, di fede, ma anche con un temperamento fragile. Lei cominciò  a chiudersi sempre di più  con noi. Si comportava in modo strano e faceva cose che abitualmente non avrebbe mai fatto, come raccontare continuamente bugie. Ci diceva che i tre preti le avevano detto che non doveva sentirsi in colpa se si trattava di non dire a noi quello che loro le dicevano di fare. Non si trattava di menzogne ma di “restrizioni mentali” e per questo quelle bugie non erano peccato.

Giulia iniziò a frequentare solo le persone indicate dai tre sacerdoti. Osservava orari di preghiera con cadenza regolare e in questo veniva controllata con costanti messaggi inviati sul cellulare e rimproverata se non li rispettava.

Le conversazioni con noi genitori venivano registrate ed inviate a questo prete, il quale decideva come nostra figlia doveva comportarsi di conseguenza. Anche i messaggi che Giulia riceveva venivano girati a lui e controllati.

La metamorfosi di Giulia è stata rapida e progressiva: sempre più  chiusa con noi e con sorrisi forzati di fronte agli altri. Avevamo un bellissimo rapporto, ma dopo la frequentazione di quei preti, per lei diventammo nemici. Giulia frequentava un gruppo di giovani in parrocchia e dovette lasciarlo perché, a detta dei tre preti, il sacerdote che li seguiva non era un buon sacerdote. Costrinsero Giulia a farsi terra bruciata intorno e noi di questo soffrivamo molto. Più era sola, più  si legava a loro in modo morboso.

Ad un certo punto iniziò anche ad utilizzare un telefono segreto con una linea riservata alle comunicazioni con il suo direttore spirituale il quale, temendo che potessimo requisire il telefono a nostra figlia, voleva garantirsi una linea di comunicazione diretta.

Oltre all’obbedienza alle ragazze che entravano nella sfera di influenza dei tre veniva chiesto anche di versare il loro denaro in una “cassa vocazionale” per imparare a vivere in povertà,  visto che nel frattempo la persuasero di avere una vocazione per la vita consacrata. E lei versò  lì una cospicua somma dei suoi risparmi.

Quando ci comunicò di voler entrare in Convento fu un fulmine a ciel sereno perché è vero che la ragazza pregava molto, ma questa scelta strideva con il cambiamento del suo comportamento. Al contempo non la ostacolammo abbiamo lasciato che facesse le sue scelte, pur non condividendole.

Ora Giulia è in convento, ma i contatti restano radi e difficili. Quando incontriamo nostra figlia nella sua comunità, torniamo sempre molto sofferenti perché Giulia, benché lontana da quei sacerdoti, non ha ancora recuperato il suo sorriso, il suo sguardo limpido. È  terribile, ma sia a noi che ad altri che vanno a trovarla, sembra che stia recitando un ruolo che impedisce alla vera Giulia di esprimersi in pieno, di essere la lei di sempre.

Noi preghiamo perché capisca se è  davvero quella la sua strada, ma visto quanto non era libera quando è entrata lì, i dubbi ci tolgono il sonno.

 

Una famiglia cristiana

 

 

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