10 Giugno 2015
Lettera di un insegnante a un genitore
10 giugno 2015
Caro Genitore, mamma o papà (meglio entrambi), tuo figlio frequenta la nostra scuola pubblica. No. Troppi aggettivi possessivi. Gli aggettivi possessivi creano le fazioni: un figlio non è “proprietà” di un genitore e la scuola non appartiene agli insegnanti.
Rifacciamo.
Caro Genitore, mamma o papà (meglio entrambi), il figlio che hai ricevuto frequenta la scuola pubblica del paese. Qui lavorano gli insegnanti. Tra questi chi vi scrive. Come non hai scelto i figli che ti sono stati affidati, non hai scelto gli insegnanti che li seguiranno. Non siamo due fronti contrapposti: entrambi vogliamo il bene di quelle personcine che appartengono a se stesse e che tu e noi abbiamo il compito di rendere autonome e libere.
Il mestiere del genitore è un’arte. Così come educare. Siamo nella stessa barca. Perché allora siamo così spesso divisi? Perché gli insegnanti oggi si sentono così spesso oggetto della tua disapprovazione? Forse per troppo amore. Indiscutibilmente. Ma forse anche perché abbiamo punti di vista diversi non tanto sull’educazione quanto sull’educando che abbiamo davanti.
Tu vedi il “tuo” Piccolo Principe negli aspetti e nelle dinamiche famigliari. Gli insegnanti vedono il “tuo” Pierino nelle dinamiche di gruppo tra i suoi pari (in età) e in un ambiente più ampio.
A casa il ragazzo/a si relaziona con la mamma, il papà e con altri adulti.
Le interazioni paritarie sono con i propri fratelli o sorelle eventuali e con le cose che lo circondano e che sente più vicine a se. A casa i suoi gusti (quelli sì che gli appartengono) sono tenuti in grande considerazione, come è giusto che sia. E le sue reazioni sono legate a quel contesto.
A scuola il contesto si amplia molto: le relazioni principali sono con i suoi compagni e le compagne (che non si è scelto/a); con gli amici che si sceglie all’interno del gruppo classe. Le relazioni poi con gli adulti riguardano gli insegnanti che sono chiamati a giudicare quello che fa – mai quello che è! – e con personale A.T.A.
È naturale che il ragazzo in contesti tanto diversi possa apparire diverso agli occhi tuoi rispetto ai miei e viceversa. Le differenze possono essere anche notevoli: «Come è possibile? Mio figlio a casa è così educato!». «A casa non riesco a farlo stare zitto, come mai a scuola non parla?»
Se tu ed io ci chiudiamo a cercare di stabilire a tavolino chi ha ragione non può che nascere un eterno braccio di ferro dove vince chi ha più forza a discapito della realtà dell’allievo-figlio. È naturale che accada così. A scuola il ragazzo/a cambia. Perché cambia il contesto. Se a casa è al centro dell’attenzione anche a scuola è così ma sotto un altro punto di vista. Poiché il ragazzo/a è inserito in un gruppo classe.
Talvolta – ma sicuramente è una impressione errata – sembra che da parte tua venga richiesta tutta l’attenzione di un singolo insegnante sul tuo ragazzoa, senza voler considerare il gruppo classe dentro cui è inserito. Nella classe non c’è solo lui/lei. Ci sono almeno altri venti Piccoli Principi o Principesse.
Per cui se una classe intera viene punita è naturale che qualcuno tra di loro sia innocente. Il vecchio adagio «per colpa di qualcuno non si fa credito a nessuno» non è andato in pensione. Noi insegnanti abbiamo da dividere attenzioni tra tutti in parti equali. Capita anche a te quando nella tua famiglia ci sono più figli, non è vero?
Certo, l’insegnante, come il genitore, non è perfetto e può talvolta sbagliare. Ma è proprio per questo che l’insegnante non può e non vuole lavorare da solo. L’insegnante si confronta con i colleghi più spesso di quanto appaia all’esterno della scuola: se i corridoi della scuola potessero parlare ti racconterebbero di tanti consigli chiesti e dati tra colleghi nel cambio di ora tra una lezione e l’altra.
Di tanti tentativi per recuperare quell’allievo più difficile, o per promuovere le caratteristiche positive di quello studente che ha la stoffa per grandi cose. Ti potrebbero raccontare di come si sostengono a vicenda quando la frustrazione di un fallimento educativo fa capolino nell’animo di un insegnante. Sentiresti con sorpresa quante e quante tecniche educative, didattiche vengono inventate con fantasia perché gli allievi possano superare i propri ostacoli e limiti.
Per questo ci sono i consigli di classe che formalizzano queste realtà. Per questo ci sono i colloqui con i genitori: perché insieme si può correggere il tiro. Insieme si fa sentire al ragazzo/a che gli vogliamo bene e vogliamo per lui/lei il meglio. Per questo è importante il confronto.
Tra educatori, vige la regola d’oro della “non contraddizione”: se il prof. di matematica dice che devi studiare le tabelline a memoria e l’insegnante di geografia dice che le tabelline non servono a nulla… il ragazzo sceglierà l’idea a lui più comoda. Non necessariamente quella più adatta alla sua crescita.
Allo stesso modo se un genitore critica un insegnante davanti al figlio, non solo rende inutile lo sforzo educativo dell’insegnante ma soprattutto danneggia il figlio che inizierà a guardare il mondo con lo sguardo avido di chi cerca il proprio comodo. C’è una richiesta di fiducia che la scuola ti fa, caro genitore.
Metti il ragazzo a te affidato nelle mani di altre persone, che non sono necessariamente perfette (perfezione e professionalità non sono sinonimi!) ma che si prendono a cuore la crescita del ragazzo. Persone che dedicano la vita a questo scopo e che per questo hanno studiato. Persone che conoscono e sanno gestire i singoli pur nelle dinamiche di gruppo, più ampie di quelle famigliari.
Non si richiede una fiducia “cieca”. Ti è chiesto di vegliare. Sia sui contenuti (che spesso non dipendono dagli insegnanti ma dai “piani alti” della scuola, addirittura oggi imposti dall’Europa) e sia sui metodi pedagogici degli insegnanti. Per questo motivo se c’è qualcosa che non va ci si può parlare. Ci si deve parlare.
Fortunatamente sono rari quei genitori che, snobbando i colloqui con gli insegnanti, scrivono cattiverie gratuite sui giornali. Pure quei pochi fanno un gran danno. Ma unicamente ai figli a loro affidati. È inevitabile che succedano conflitti tra educatori. I punti di vista sono diversi. Ma per questo serve il dialogo. E serve evitare lo scontro. Il dialogo schietto, anche vivace ma aperto.
Caro genitore, come sarebbe bello se tu potessi essere una mosca e potessi vedere e le cose che accadono in classe. Sì, perché talvolta ciò che Pierino racconta a casa è vincolato alla sua percezione particolare delle cose. Una percezione della realtà a volte parziale: una classe vista dal banco è diversa da quella vista dalla cattedra. Dalla cattedra si vede tutto. Un insegnante spesso lascia correre. Per continuare il lavoro. Per non creare tensioni o perdere tempo.
Prova anche tu. Guarda le cose con l’occhio dell’insegnante. Aiutaci ad aiutare il figlio a te affidato. La Buona scuola non esiste. Semplicemente perché non ce n’è una cattiva. Ci sono solo punti di vista sbagliati. Una malattia che si cura con il dialogo non con le valutazioni. Gettando ponti, non costruendo muri. Vogliamo provarci insieme?
UN INSEGNANTE
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