8 Maggio 2018
Mariapia Bonanate ricorda Ermanno Olmi
Era l’amico, il cui pensiero mi faceva stare bene. Il suo sorriso, la sua saggezza “contadina” e “biblica” insieme, la sua allegria e la sua “integrità”, retaggio di un’infanzia rimasta intatta, erano per me un ricostituente dell’anima e della mente.Mi mancherà molto Ermanno Olmi, che ci ha salutati dopo avere combattuto e convissuto negli ultimi anni con una salute precaria che non gli ha impedito di continuare a trasferire i suoi sogni e le sue profezie sul grande schermo. Oggi, nel silenzio dell’addio finale, mi sale dal cuore “un grazie, Ermanno, di esserci stato come sei stato, sempre, con coerenza e continuità, onestà”, e una preghiera: “Continua a camminare con noi da quell’Oltre sul quale hai proiettato tanti tuoi meravigliosi film, dove saldavi il cielo alla terra.”
Ci siamo voluti molto bene, di quell’affetto che nasce dall’empatia, convergenza di ideali, sfide e ribellioni, progetti condivisi. Lo riscoprivamo a ogni incontro nel quale finivamo sempre per rievocare quel momento magico degli anni ’70, a ridosso del capolavoro che lo ha rivelato “L’albero degli zoccoli”, quando abbiamo vissuto con entusiasmo giovanile un sogno di bellezza, di poesia, di democrazia e libertà. Eravamo un gruppo di amici, fra cui scrittori che hanno lasciato un solco luminoso nella letteratura e nell’arte, come Mario Pomilio, l’autore indimenticabile de “Il quinto evangelio”, Gianni Santucci, Raffaele Crovi, Gino Montesanto, Italo Alighiero Chiusano. Eravamo convinti che una cultura legata alla realtà delle cose, alla “gente comune”, in continua umile ricerca e ascolto, confronto e dialogo, può cambiare il mondo. Ma ritenevamo anche che la cultura di ispirazione cristiana, può dare “un supplemento di anima” al vivere in giustizia e verità, con moralità civile ed etica individuale.
Per lui, che mi avrebbe detto in un’intervista di qualche anno fa “ ho da sempre un conto aperto con Cristo, di cui sento il fiato sul collo, mi sento più che un cristiano, un aspirante cristiano, perché non sono all’altezza di esserlo”, quei periodici appuntamenti romani, furono un periodo di incubazione e formazione di ideali e progetti.
Sempre in quell’intervista, che mi è rimasta nel cuore per l’affettuosa atmosfera familiare, avevamo parlato delle cose che per lui contavamo “nel fallimento morale” e nel disordine etico dei nostri giorni, a cominciare dall’indifferenza che dilaga e anestetizza le coscienze. “Forse è un po’ una autodifesa, ma rischia di renderci sempre più infelici e acquiescenti. Non sappiamo più indignarci e vergognarci per quanto accade di inaccettabile su tutti i versanti della vita pubblica e privata” mi disse.
E mi aveva manifestato la sua preoccupazione per i giovani, che vivono in un continua, pericolosa precarietà, in uno sradicamento umano e sociale, senza lavoro: “Soffrono di un dolore per il quale non hanno parole, chiusi in una sorte di inesistenza. Ma hanno una moneta alla quale non devono assolutamente rinunciare a spendere per il valore che ha, quello di una giovinezza che deve riscuotere il diritto inalienabile di creare le condizioni di un futuro per vivere degnamente. Devono credere nella possibilità di cambiare le cose nel mondo. Se s’impegnano in questo, saranno un esempio anche per chi non ha inizialmente lo stesso slancio e la stessa carica”.
Un invito che le nuove generazioni ci auguriamo raccolgano, ma che tutti dobbiamo contribuire a far in modo che si realizzi. Anche nel suo luminoso ricordo.
Mariapia Bonanate – AGD
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