12 Gennaio 2015
Cose buone da scoprire e assaggiare

12 gennaio 2015
Al via una nuova rubrica per raccontare le eccellenze enogastronomiche del territorio
Un territorio dove c’è molto da gustare e raccontare. Anche se, spesso, non lo sappiamo o, peggio, non sappiamo comunicarlo. In tempi in cui la gastronomia corre sul filo immediato dei mezzi di comunicazione più veloci, dove il cibo può essere un valido strumento per la conoscenza e la promozione del territorio, dove esso stesso è cultura e elemento di appeal turistico, tale aspetto non è cosa da sottovalutare. È lodevole, in tal senso, il lavoro del presidente del “Centro Studi Silvio Pellico” Marco Civra e del nuovo portale ‘Terre d’Acaia”, che si propone di far cultura con l’agroalimentare pinerolese.
C’è un interessante lavoro di riscoperta e mappatura da portare avanti. E c’è un team che sta facendo un egregio lavoro, sia sull’ambito gastronomico che agroalimentare e storico.
Un tassello importante è la partenza, su queste pagine, di una rubrica sul buon cibo. Ed è fondamentale, in un anno strategico per la promozione dell’agroalimentare e dell’enogastronomia made in Italy nel mondo. L’anno di Expo, che inizia tra meno di quattro mesi. E, allora, ecco la nostra nuova rubrica di cose buone da scoprire e assaggiare. Ci mancava. E si avvale del contributo di un amico collega giornalista, Jacopo Fontaneto, firma gastronomica di importanti settimanali nazionali ed internazionali. Ha accettato di darci una mano e, da oggi, ‘Vita Diocesana’ ha una rubrica tutta sua da leggere e gustare. Più interattiva di così… Il tutto, ovviamente, in salsa pinerolese, con qualche incursione da altre aree vicine e meno vicine del nostro Piemonte. Perché è importante ‘fare sistema’, in una regione che, dai vini, ai salumi, al riso, agli agnolotti, alle ricotte, ai formaggi d’alpeggio, fa dell’eterogeneità gastronomica il suo vero punto di forza. A voi il resto. Leggere, commentare, proporre e, soprattutto, portare in tavola!
P. R.
Sapori di Vita. Una storia di fieno, ‘Saras’ e cracia…
La stagionatura nel fieno serviva – e serve – a ridurre la ‘cracia’ gialla che, naturalmente, si sviluppa già a poche settimane di stagionatura. Piccoli segreti che, ancora, tramandano millenni di una tradizione casearia che oggi diventa elemento di curiosità, se non autentica arte rurale. Piccoli segreti che durano l’attimo di fermarsi e ascoltare. Vivere, soprattutto, il ritmo di una storia in realtà cristallizzata nel tempo, scandita più che altro dal ritmo giornaliero delle mungiture di sera e mattina e da una stagionalità semplice, che ‘montica’ le bestie d’estate sugli alpeggi di Maniglia in Val Germanasca e le riporta a svernare nella piana pinerolese: il cuore delle terre che furono degli Acaia, che la vastità delle campagne oggi nasconde nel triangolo fra Cercenasco, Buriasco e Scalenghe. Dodici mesi a mangiar d’erba. E a produrre un latte che serve ad alimentare la tradizione del ‘Saras’. Silvano Galfione le fa come una volta, “e solo al fieno si è dovuto talvolta rinunciare, perché spesso è il mercato a chiederlo”. Allora, ecco la ‘cracia’ gialla a rendere ancora più rustico – ma piacevolmente gustoso – un formaggio dalla caratteristica forma ‘a dente’, data dalle tele di sgrondo dove riposano per un giorno intero prima di essere stagionate. L’affinamento ideale va da un mese a un anno, ma in realtà il formaggio si consuma già dopo pochi giorni, con ottimi equilibri di gusto.Non solo ricotta. Perché il ‘Saras’ si distingue da una cottura più accentuata, che lo rende più compatto (e il controllo della consistenza, in fase di lavorazione, è molto importante): ciò si traduce, all’assaggio, in una seducente pastosità, con una nota di nobile agrezza che evolve al palato, con sorprendente e piacevole persistenza.Semplicemente siero di latte e sale. Con un po’ di storia e tanta passione.
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